martedì 30 giugno 2009

GAETA - Consiglio, va in scena l'atto secondo

Franco Schiano
Esaurita la parte protocollare del Conferimento della Cittadinanza Onoraria al Preside del Nautico Troisi, in consiglio è stato sospeso per consentire alla conferenza dei capigruppo di mettere a punto due ordini del giorno condivisi. Uno sulla chiusura del laboratorio d’analisi presso di “Di Liegro”ed un altro sulla riunione del Comitato Portuale del 30 giugno recante in agenda due concessioni (Interminal un capannone da 3000mq x 7 m di altezza per stoccaggio zucchero e Iannaccone silos per il grano). La decisione sul laboratorio d’analisi è stata rinviata a mercoledì per ulteriori approfondimenti, mentre sul Comitato Portuale, si vota all’unanimità un odg con il quale si da indicazione al Sindaco di votare contro la concessione nel caso la richiesta primaria di rinviare le concessioni per ulteriori approfondimenti venisse rigettata dal Comitato., (si ricorderà la posizione del Consiglio Comunale contraria all’installazione dei silos perché troppo impattanti e comunque ritenuti non conformi al Piano Regolatore Portuale). Una posizione formalmente coerente a quanto a suo tempo deciso dalla massima assise comunale, ma che mette Raimondi in una situazione difficile alla luce delle recenti risultanze delle varie conferenze di servizi che sembrano orientate a non condividere la posizione del Consiglio Comunale. Non è difficile prevedere che su questa faccenda si profila un grande scontro. Sembra evidente che nella maggioranza non ci sia una posizione univoca, ma ci siano posizioni che sull’argomento, possono coincidere con quelle della minoranza, come è indirettamente confermato dall’approvazione di un odg, che non lascia alcun spazio di manovra al Sindaco. Gallinaro ha chiesto che entro luglio il Consiglio si esprima sulla questione portuale. Vedremo, soprattutto alla luce di quanto sarà avvenuto ieri in Comitato Portuale.
Sulla nomina dei due tecnici esperti in materia paesaggistico-ambientale per l’espletamento delle funzioni sub delegate ai Comuni dalla L. R. 59/1995, la maggioranza riesce ad imporre i suoi nomi:Sasso e Sabellico, non senza una viva protesta delle minoranze che chiedevano il voto limitato. All’unanimità vengono invece approvate le lottizzazioni convenzionate “Vivi Calegna”, “Parva Casa”, non senza che dal dibattito emerga che per passare alla effettiva realizzazione occorrerà attendere ad una serie di ulteriori adempimenti:costituzione dei consorzi, opere di urbanizzazione primaria, ecc, ma soprattutto raggiungere il famoso rapporto del 40% tra edilizia pubblica e privato. Elemento che per ora impedisce la pratica realizzazione delle case.

Revisionisti e dignità

Lidano Grassucci



“Mena mena puro lo fero se piega” (trad: “a forza di battere si piega anche il duro ferro”). Dopodomani presenteranno un libro di Andrea Augello che parla dell’eroica resistenza degli italiani contro lo sbarco americano in Sicilia. Un ennesimo testo sul filo di riscrivere, rivisitare la storia. Continuando così nel 2015 gli italiani, i fascisti italiani, avranno conquistato New York nella seconda guerra mondiale, e a Londra nel ‘45 giravano tutti in camicia nera, per tacere di Hitler che è più buono di Babbo Natale. Se continuiamo così il fascismo straccione risulterà essere un sistema efficiente, funzionale, pure eroico e giusto. I dittatori, si sa, amano incensarsi e trovano sempre estimatori. La seconda guerra mondiale fu una tragedia per gli italiani, fu umiliante per un esercito malconcio. Per farvi capire eravamo come l’esercito iracheno di Saddam Hussein, con i soldati che senza armi, nè vettovagliamenti si arrendevano alle telecamere dei Tg. I dittatori non cambiano nel piacere di esaltare se stessi quanto di umiliare i loro popoli. Chissà se Augello ricorda nel suo libro l’eroica resistenza della fortezza di Pantelleria arresasi (unico caso nella storia dell’umanità) ad un bombardamento aereo. Chissà se Augello in premessa spiega l’eroico attacco italiano alla Grecia con tanto di corruzione del primo ministro greco che alla prima fucilata doveva arrendesi, ma non potè farlo perché alla seconda gli attaccati (i greci) invasero il territorio degli attaccanti (l’Albania allora italiana). Racconterà Augello della nostra marina che non poteva muovere perché non aveva carburante e quando muoveva andava alla cieca perché non aveva i radar. Racconterà dei ragazzi della Folgore che dovevano paracadutarsi su Malta e che furono mandati nel deserto a combattere con le mani contro i giganteschi carri inglesi? Scriverà del dittatore che mandò gli alpini a combattere in Russia perchè c’era la neve e faceva freddo unico esempio di truppe di montagna chiamate a combattere nella pian più estesa d’Europa.
E’ vero i soldati italiani servirono anche con eroismo l’Italia, lo fecero morendo a migliaia, mandati al macello da un regime infame in un paese di morti di fame. Quando a Gianni Agnelli chiesero: “Ma lei ha combattuto la guerra fascista”. Lui rispose: “mi ha chiamato il mio Paese, quando il proprio Paese chiama devi rispondere sì, non ti devi far domande”. Avrei risposto sì anche io, ma rimarcando che un paese povero, un paese con un regime straccione non si può salvare ribaltando la storia. I fascisti la guerra l’hanno persa, i liberi l’hanno vinta. E grazie ai ragazzi americani oggi io scrivo questo pezzo come Augello pubblica il suo libro.
Rendo onore ai soldati italiani, tutti, quanto disprezzo per chi li mandò lì quasi a mani nude.

Memmo Guidi e l'onda socialista

Teresa Faticoni
Prevalga il diritto sul privilegio. Memmo Guidi, fresco di elezione con la sua lista civica in Provincia, ha organizzato una grande assemblea socialdemocratica. Ha chiamato a raccolta tutti quelli che si sono candidati con lui, quelli che lo hanno sostenuto, quelli che per affinità possono far parte di questa area riformista che si sta creando in provincia di Latina. E sono tantissimi. «Dobbiamo vederci sempre - dice Memmo fuori dalla porta e saluta con un sorriso tutti quelli che arrivano. Una pacca sulla spalla, un abbraccio e una battuta non li nega a nessuno - . Non solo sotto elezioni. Dobbiamo essere aperti al confronto, come è successo ad Aprilia, un laboratorio per il nuovo modo di fare politica». E infatti ospite attesissimo è il sindaco Domenico D’Alessio. Memmo indossa una cravatta verde in segno di solidarietà con la battaglia di libertà che stanno sostenendo in Iran. In sala ci sono i volti storici del socialismo pontino, ma anche qualche faccia nuova e qualcuna di quelle che non ti aspetti. Al tavolo della presidenza accanto a lui ci sono il segretario del partito socialista Lidano Lucidi (sorridentissimo a buon ragione), Vittorio Proietti dei Comunisti italiani, il sindaco di Bassiano Costantino Cacciotti. Memmo prende la parola e si scatena: Acqualatina, ciclo dei rifiuti, le privatizzazioni che stanno pagando solo i cittadini. I temi sono tanti e caldi: Guidi ha approntato un questionario con il quale avvia le Primaire delle idee. Ognuno può avanzare la sua proposta. «Con Sabino Vona avevamo pensato a contestualizzare gli affreschi di Cambellotti nella sala del consiglio provinciale - dice ricordando un amico - avete visto come hanno ridotto quela sala? è un trono dove siede il re e il resto sono sudditi». Parte proprio da qui la riscossa socialista. Da duecento uomini e donne nella sala dell’hotel Europa che non vogliono essere sudditi e pensano che nessuno debba esserlo.

Consorzio agrario, anche l'indotto va ko

Teresa faticoni
L'entità del danno della crisi del Consorzio agrario di Latina comincia a venir fuori con chiarezza. Ha fatto molto scalpore in città la diffusione di una notizia che sembrava conosciuta da molti, ma che in pochi avevano l’ardire di raccontare. L’ente di via dei Monti Lepini è sul lastrico: non ha un centesimo in cassa (nel 1999 all’arrivo del direttore Giannelli c’era un tesoretto di 13 miliardi), sta svendendo la metà del suo patrimonio immobiliare, ha dimezzato il numero degli agenti. La denuncia dello stato dell’arte è stata scritta nero su bianco da un anonimo - evidentemente molto informato visto che ha fatto tutta la cronostoria con date e numeri alla mano - che ha diffuso due giorni fa un volantino. L’intento di quel folgio esposivo, a detta del Pasquino pontino, era quello di informare chi andava a votare per il rinnovo del consiglio di amministrazione lo status quo dell’ente. Ma proprio rispetto agli agenti viene a galla un altro aspetto. Erano in tutto un’ottantina ed erano legati al Consorzio agrario con un contratto di agenzia. In sostanza erano quelli che andavano in giro a vendere concimi, macchine e tutto quanto in catalogo. Venivano pagati a percentuale sul fatturato. Ogni agente aveva sotto di sé una piccola organizzazione di lavoro: qualcuno impiegava un autista per la consegna a domicilio della merce, qualcun altro impiegava dipendenti per svolgere il lavoro di ufficio. Ora gli agenti, quei pochi rimasti, hanno licenziato tutti i propri dipendenti. Un indotto che occupava circa 150 persone e che ora si ritrova a spasso. Un dramma in conseguenza di un dramma. Domani intanto si terrà proprio nel locali del Piccarello una riunione per la vertenza che vede le parti sociali impegnate nella discussione delle 18 procedure di mobilità aperte dalla dirigenza in ragione della crisi economica. In sostanza si vogliono licenziare 18 persone (su 38 impiegate attualmente) per risparmiare un po’. I sindacati sono stati abbastanza chiari sull’utilizzo delgi ammortizzatori sociali. Non saranno sottoscritti accordi se le persone che vanno in mobilità non sono le stesse che potranno agganciarsi alla pensione negli anni previsti di utilizzo degli ammortizzatori sociali. Di più: le parti sociali hanno proposto al Consorzio di risparmaire riportando all’interno alcuni servizi che erano stati affidati a ditte esterne e in questo modo qualche dipendente potrebbe essere reimpiegato con altro incarico. Che altro può succedere? Una serie di fattori concomitanti hanno messo in ginocchio quello che al’epoca d’oro dei consorzi era il fiore all’occhiello di questo sistema. Aveva anche resistito al fallimento del 1991 della Federconsorzi. Ma ora il declino appare senza ritorno. Di chi la responsabilità? Non solo della gestione che si è esposta in maniera vertiginosa con le banche garantendo cambiali rinnovate e mai estinte. Circola nell’ambiente anche una malcelata accusa alla Coldiretti, che avrebbe avallato la gestione attuale.

PD: IDEE, UN SEGRETARIO GARANTE E PEDALARE

Sergio Corsetti
Un segretario garante e un programma "sentito" dai citttadini. Sembrerà presuntuoso ma il Partito democratico deve semplicemente partire da queste due istanze. Mentre i vertici provinciali del partito di centrosinistra fanno l'analisi sul voto traumatico delle passate amministrative alcune verità vanno evidenziate. Partendo da un semplice quesito: ma il partito è percepito come un elemento di novità e di alternativa? Evidentemente no. Se un elettore deve scegliere un qualcosa di nuovo lo vuole nuovo veramente non ripitturato. Sia per quanto riguarda i protagonisti, in provincia sono sempre gli stessi negli ultimi 15 anni, sia per le idee. Il lettore ricorda qualche proposta innovativa proveniente dal centrosinistra pontino? Leggendo il voto verrebbe di rispondere di no: se si deve scegliere tra due opzioni simili è meglio scegliere quella originale (tradotto se il centrosinistra scimmiotta il centrodestra allora tanto vale votare Pdl). Un altro elemento di riflessione dovrebbe essere analizzato dai principali protagonisti del centrosinistra pontino. Un partito importante può arrivare a due mesi dalle elezioni e non essere ancora in grado di indicare un candidato presidente? La candidatura deve rappresentare la conclusione di percorso di avvicinamento che si è protratto nel tempo e che è maturato a contatto con i cittadini. Il Pd, memore della lezione ricevuta, dovrebbe prendere il risultato elettorale come chiusura di un percorso sbagliato ed attivarne uno nuovo nuovo. Un tragitto che riavvicini il partito alle esigenze delle persone in tutte le realtà locali, che porti ad una progettualità alternativa al centrodestra e che abbia a capo un segretario che venga sentito come garante (super partes) e non come parte in causa nelle competizioni elettorali. Per vincere bisogna guardare i vincenti: ricordano lor signori un segretario democristiano pronto a scendere in campo per la guida del Governo?

Controproposta Panapesca: ‘solo’ sette licenziamenti





Raffaele Vallefuoco

Dopo un giorno di estenuante confronto in regione, la Panapesca di Gaeta fa la sua controproposta, optando per 7 dei 14 esuberi annunciati. Un timido tentativo di apertura che sindacati e lavoratori stanno valutando in vista del nuovo incontro convocato per venerdì, sempre a Roma. «Anche se l'azienda ha ridotto il numero degli esuberi - affermano dalla pisana i sindacati che affiancano ventisei dipendenti raccolti in sit - in fuori dalla sede della Regione Lazio - le distanze da colmare sono evidenti. Tuttavia - precisa Eugenio Siracusa Flai Cgil - stiamo valutando con i lavoratori». Il testo proposto dalla ditta prevede che, oltre alla riduzione dei licenziamenti, si attivi la cassaintegrazione straordinaria a rotazione per altre quattro unità, più mobilità volontaria con incentivo di 15 mila euro. Critici anche su quest'ultimo punto i sindacati: «Questa soluzione, questo tipo di incentivo, non ci piace. Meglio, invece, la proposta di rotazione ogni 15 giorni per i lavoratori, che di fatto non perdono alcun contributo». In compenso «la ditta - sottolinea Siracusa - che i lavoratori accettino o meno la controproposta attiveranno l'esternalizzazione di alcuni importanti servizi. Per firmare - spiega in chiusura - abbiamo bisogno ancora di altre garanzie». Non preoccupa la scadenza dei settantacinque giorni utili per trovare una conciliazione tra le parti, in quanto, spiegano i sindacati, «è stato firmato dai presenti un verbale che deroga di due giorni la scadenza datata primo luglio». Intanto sul versante Ex Iver - Vtm, l'Ugl torna a tuonare contro l'azienda minturnese di verniciatura paraurti, inserita nell'indotto Alfa Romeo e Fiat, che non ha ancora elargito le ultime mensilità e il tfr agli operai mandati in mobilità. «Abbiamo sostenuto sin dal primo momento che l'accordo siglato tra Cgil, Uil, Cisal, Cisl e azienda, non dava garanzie ai lavoratori. Lo dicemmo allora e adesso i fatti, purtroppo, ci danno ragione» spiegano dal sindacato. «Gli operai - analizza Enzo Valente - responsabile Ugl Frosinone - sono stati trattati manco fossero carne da macello e solo da pochi giorni hanno ricevuto le prime rate della mobilità, pagate dall'Inps, su competenza della Regione Lazio». Meglio, invece, tornando a Gaeta, la Pozzi Ginori, dove le organizzazioni sindacali e l’azienda, in settimana, si incontreranno per monitorare l’andamento della cassaintegrazione straordinaria attivata negli ultimi mesi.

lunedì 29 giugno 2009

TERRACINA - Coop Mosaico, soluzione tampone

Teresa Faticoni
«Il servizio della Mosaico non è mai stato in pericolo». L’assessore ai servizi sociali del Comune di Terracina Francesco Zicchieri è categorico rispetto alle voci che erano girate nei giorni scorsi e al sit in inscenato ieri mattina dai genitori dei 26 ragazzi che frequentano la coop. Pareva che da questa mattina nei locali del centro diurno di Campo Marinello sarebbe sceso il silenzio. Sembrava che fossero in pericolo le colonie estive per i ragazzi disabili che la frequentano. Perché la cooperativa sociale non ce la fa a sostenere da sola i costi di gestione e da otto mesi i nove operatori impiegati non ricevono retribuzione. E invece ieri mattina, mentre i ragazzi e i genitori erano in via Leopardi a manifestare la loro indignazione, negli uffici del settore servizi sociali l’assessore Francesco Zicchieri ha spiegato che il servizio offerto non è stato mai interrotto. «Con gli stessi operatori e le stesse modalità portiamo avanti il servizio che è un fiore all’occhiello e garantisce alle fasce più deboli una sana vita sociale». Il problema del ritardo dei pagamenti sta nella lentezza con cui il Comune di Fondi – capofila di questo progetto socio-assistenziale – trasferisce alla città del monte Giove i soldi che gli spettano. Intanto Zicchieri ha concordato con i rappresentanti della coop l’immediato trasferimento celle rette che i ragazzi pagano, per cominciare a respirare. Poi quei 500mila euro con cui Fondi salderà il debito saranno girati ala Mosaico. I genitori e i ragazzi sono stati molto soddisfatti e hanno ringraziato tutti quelli che si sono impegnati per risolvere questa situazione.

Consorzio agrario di Latina, crisi nera

Teresa Faticoni
Bilancio passivo, zero euro in cassa e Consorzio agrario sull’orlo del baratro. La fotografia, a quanto pare molto veritiera, è stata scattata da un volantino che circolava ieri mattina nell’ente di Piccarello. 18 licenziamenti già annunciati, riduzione di metà del numero degli agenti, vendita di metà del patrimonio immobiliare, vendita della sede di via dei Monti Lepini: questi sono solo alcuni degli sfaceli denunciati dal redattore del foglio messo in circolazione nel giorno in cui i delegati dovevano votare per eleggere il nuovo consiglio di amministrazione del Consorzio agrario di Latina. Un modo per denunciare quello che si sa da tempo, ma in pochissimi dicono. Il Consorzio agrario per via di gestioni disinvolte è stato portato a una crisi strutturale difficile da superare per via del rinnovo delle cambiali. Un circolo vizioso che vedeva il Consorzio farsi garante di gente che prendeva i soldi dalle banche con l’idea di metterli a frutto nei campi, ma poi denunciava sempre raccolti andati a male. E le cambiali venivano rinnovate senza mai essere estinte. Un meccanismo nel quale ci rimette il giusto per il peccatore. Che messo in ginocchio l’ente. Che ha mandato a casa i lavoratori. «In qualsiasi azienda del mondo, in presenza di tali disastri, i colpevoli vengono cacciati. Allora cosa aspettiamo?» si chiede in chiusura l’anonimo Pasquino che racconta una amara verità. In soli nove anni, dati alla mano, la direzione di Giannelli e la presidenza di Canciani – naturalmente considerando contesti diversi e situazione internazionale più florida – hanno mandato in fumo i 13 miliardi di lire in cassa lasciati dalle precedenti gestioni. E ora? Il futuro dei 18 licenziati non sarà incerto: i sindacati hanno già individuato strade per una uscita indolore dalla mobilità. Ma il Consorzio in sé è tutto da rivedere. Uno dei pochissimi rimasti in Italia, sopravvissuto al fallimento del Consorzio nazionale, per via della sua floridità. Tutta persa, tutta dissipata.

Antonio Troisi, una vita per il Nautico di Gaeta.


Franco Schiano

Ieri il Consiglio Comunale, con una solenne cerimonia, ha conferito la cittadinanza onoraria al Prof. Antonio Troisi, preside dell'Istituto Nautico “Giovanni Caboto”, che tra qualche mese lascerà l'incarico per raggiunti limiti di età. La richiesta per il prestigioso riconoscimento era partita alcuni mesi fa dagli studenti , con una nota firmata da tutti i rappresentanti di classe dell'Istituto. Richiesta che ha trovato terreno favorevole da parte di tutti i membri dell'amministrazione comunale, a partire dal Sindaco Raimondi, il vice Di Ciaccio, il Presidente del Consiglio Magliuzzi e tutti i consiglieri ed assessori.
Il prof. Troisi, che nasce a S.S.Cosma e Damiano nel 1942, si può dire abbia dedicato la quasi totalità della sua vita professionale alla scuola di Gaeta. Vi arriva come studente a tredici anni. Nel 1960/61 si diploma Capitano Vi torna come docente nel 1966.Nel 1982 ne diventa il Preside. “In questi 27 anni grazie al suo costante impegno, ha saputo riportare il “Giovanni Caboto” - uno dei simboli di Gaeta – ai fasti degli anni migliori e, per aver contributo -dice la motivazione ufficiale – alla creazione ed alla formazione di alte e nuove professionalità nel settore marittimo, da sempre orgoglio e fonte di ricchezza e prosperità del nostro territorio, oltre che volano dell'economia cittadina.” Unanimi apprezzamenti alla figura di Troisi educatore, organizzatore, innovatore, innamorato del suo lavoro, sono emersi dai vari interventi dei Capi gruppi, aperti da Laselva, che oltre ad essere consigliere è anche un collaboratore del preside, e continuati da Saccone, Guerra, Rosato, Matarazzo, Magliozzi, Gallinaro ed Erbinucci. “La città si onora di avere un Istituto come il Caboto - ha detto il Sindaco, che in chiusura ha voluto ricordare anche il comandate Mario Albano, allievo del Nautico, ancora nelle mani dei pirati somali, provocando un grande applauso da parte del numerosissimo pubblico presente. Applauso che si è ripetuto a lungo al momento della consegna della pergamena a Troisi da parte del Sindaco.
“Il riconoscimento alla mia persona – ha detto, tra l'altro un emozionatissimo Troisi nel suo intervento, rigorosamente a braccio – va inteso come un riconoscimento a tutte le persone che con il loro impegno e la loro professionalità, hanno contribuito a far grande questa scuola.(ricordando i vice che lo hanno affiancato in questi anni:Pizzo, Schiano, Bertelli, Pezone Coccoluto). Il Nautico è un valore della città da preservare e valorizzare sempre di più. Questa non deve essere considerata come la fine di un percorso, un punto di arrivo, – ha detto ancora il Preside – ma un punto di partenza. Un punto da cui la Città – attraverso le sue istituzioni – deve partire e prendere sempre più coscienza del grande valore costituto dal Nautico, che ha in se tutte le potenzialità per fare ancora meglio.”
La celebre ode del poeta americano Walt Whitman potrebbe essere la colonna sonora dei titoli di coda della carriera Antonio Troisi, capitano del Nautico di Gaeta:

O Capitano! Mio Capitano! Il nostro viaggio (stupendo) è terminato,
la nave ha superato ogni ostacolo, l'ambìto premio è conquistato....
Al termine della cerimonia il Consiglio è stato sospeso, chiamando la Conferenza dei Capigruppo a stabilire un ordine dei lavori in merito alla questione della chiusura del laboratorio analisi del “Di Liegro”, nonchè sulla questione della costruzione dei Silos sulla banchina del porto commerciale. Di questo e degli altri punti vi daremo conto nel nostro servizio di domani.

domenica 28 giugno 2009

La scuola, Verdone e la pizza

Lidano Grassucci


Ho scritto di scuola in questi giorni e me la sono presa con i genitori usi a prenotare il voto dei figli, come fanno con la pizza il sabato sera. Un modello che è, per me, barbaro che è distruttivo per i figli. Capisco che il nostro mondo ha valori aggiustati, ma almeno non rovinare i pargoli pensavo fosse un grande segno di civiltà.
E’ morto Mario Verdone, il papà di Carlo (il regista e l’attore). Lui, Mario, era professore all’università di Roma e quando il figlio si presentò agli esami, dopo due domande in cui il giovane faceva scena muta, lo ha bocciato. Il figliò cercò la pietà: “ma mi bocci papà”. E lui di rimando: “mi dia del lei”. Il figlio di questo professore è diventato uno dei più grandi attori e registi italiani pur essendo stato bocciato a Storia del cinema.
Le mamme e i papà contemporanei avrebbero dato al figlio silente almeno la lode, se ne sarebbero vantati con gli amici al mare, e avrebbero festeggiato il 30 e lode rubato in almeno dieci discoteche.
Solo che il pargolo sarebbe stato uno dei tanti dottori ignoranti, sarebbe stato uno dei tanti non sapienti con la medaglia. Mario Verdone voleva bene al figlio, per volergli bene lo doveva non perdonare, coprire, ma doveva farlo studiare. Non serve avere gli attestati, ma serve conoscere, capire, occorre rigore nello studio, come nel lavoro, come nella vita.
I miei erano contadini, gente che conosceva fatica e fame, in abbondanza di entrambi, e non mi hanno mai chiesto la medaglia che avevo, ma chiedevano le cose che conoscevo. Quando passava il maestro lo chiamavano premettendo al nome il “sor”. Che sta per “signore”, che significa uomo degno, saggio. Non prenotavano i voti i miei ma precisavamo: “se serve menate”. Non mi ha mai neanche sfiorato il mio maestro, ora che ci penso so scrivere per lui, so far di conto per lui e mi sono innamorato della storia per lui. Mi sa che la scuola, il conoscere, non è come la pizza del sabato sera.

Il culetto d’oro e i vestiti ... da legare

Alessia Tomasini

Non so se ridere o piangere. Ma l’amarezza sta prendendo il sopravvento. Non sono una moralista ma non so se riuscirò mai a riprendermi da quello che ho visto ieri. Ora hanno inventato, Lele Mora nello specifico, Miss culetto d’oro. E’ l’evento dell’estate vip in Sardegna. Ho letto, su Tgcom, che il concorso è semplicissimo. Vai nella discoteca prescelta per ospitare la manifestazione e il manager più famoso d’Italia seduto su una sedia palpeggia il sedere di una fila lunghissima di ragazze che per una foto ormai mostrano tutto, proprio tutto, quello che hanno in dote da madre natura. Il Mora, dato l’impegno e la fatica che la mission richiede, ha anche un aiutante: il Ciro Petrone del reality La fattoria. Il primo pensiero che mi è saltato in testa è stato. Ma queste una madre, una famiglia, un lavoro non lo hanno? Evidentemente no. Perchè vorrei vedere quando tornano a casa o in ufficio cosa accadrebbe. Ormai per essere qualcuno devi mettere in primo piano le verità nascoste. Per essere considerato Vip, nel senso di very important person, neanche gli slip vanno più di moda. Poi siamo lì a pretendere ministeri delle pari opportunità e robe del genere. Ma per favore. Non siamo in grado di tenere gli attributi dentro i vestiti figuriamoci a controllare un’azienda o un affare politico. Neanche il traffico farei dirigere a queste. Sto seriamente pensando di creare un’associazione per raccogliere fondi da destinare all’acquisto di mutande per le ragazze e giuro mi impegno compreremo le più sexy e striminzite. Di questo passo stiamo davvero raschiando il fondo. Ma è normale che le ragazze crescano con questi modelli? Non voglio nemmeno immaginare un colloquio di lavoro tra qualche anno dove anzichè la laurea si tirano fuori le meraviglie del proprio chirurgo plastico. Si deve, a mio modesto parere, ristabilire il confine tra dove finisce la libertà personale e inizia la decenza se ancora sappiamo cosa significa. E poi non ci lamentiamo che gli uomini ci considerino solo per quello, visto che è l’unica cosa che gli facciamo vedere. Mia nonna diceva che le donne siedono sulla loro fortuna. Di questo passo resteremo per terra.

La lunga marcia Forte su Latina

Alessia Tomasini

La marcia per imporre ed imporsi dell’Udc è iniziata. L’imperativo del partito guidato dal generale Michele Forte è chiaro da sempre. Le tensioni sono rimaste per anni sotto un mare di apparente tranquillità. E’ arrivato il momento della sommossa e della riscossa verso un potere che si è concentrato tutto nelle mani dei grandi alleati di sempre, ieri Forza Italia ed Alleanza nazionale, oggi Popolo della libertà. Scelte non condivise, imposizioni dall’alto, hanno fatto il resto. L’adagio è verificare i rapporti interni alla coalizione. Se i presupposti e le promesse “d’amore” non trovano conferme, si passerà ai saluti e baci. Gli accordi si fanno sui programmi e sul metodo quando uno di questi elementi non viene rispettato salta tutto. La crisi come la fortuna e la morte è stata beffarda. Ha cambiato volto e si è riversata tutta nella maggioranza del sindaco di Latina. Le riunioni tra Michele Forte, Claudio Fazzone e lo stesso sindaco di Latina sono teatro costante del cahier de doleances del leader dell’Udc. La partita si gioca su due tavoli ma ha un terzo elemento che potrebbe farla da padrone nei prossimi mesi che aprono sullo scenario delle elezioni regionali. La formazione della giunta in Provincia avverrà con la chiusura primaria dell’accordo al Comune di Latina dove è stata chiesta con forza la testa dell’assessore all’ambiente Patrizia Fanti e un riequilibrio degli incarichi che sono stati distribuiti in giunta e poi saltati a causa dell’abbandono del partito della Vela di alcuni esponenti. Se in via Costa la questione si concentra di fatto sulla nomina di due assessori e sul tira e molla della presidenza del consiglio tra Forte e Carturan in Comune i passaggi sono molto più delicati. In questi anni infatti il sindaco Zaccheo, nonostante il pressing effettuato da Forza Italia e Udc con il silenzio assenso di Forza Italia, non aveva mai preso una posizione decisiva lasciando di fatto la fanti nonn solo al suo posto ma nel pieno esercizio di tutte le sue deleghe. Michele Forte ha le idee chiare. In questa fase l’Udc non rischia di perdere nulla.
Forte si è reso conto che giocare al rialzo non gli farebbe perdere nulla ma solo conquistare postazioni e rafforzare quelle attuali in vista di una svolta futura soprattutto in seno al consiglio regionale dove il figlio Aldo punta al consolidamento e alla riconferma. Di contro il Popolo della libertà a Latina e nella sua provincia ha bisogno dei voti del partito minore del centrodestra. La crisi che scuote la coalizione che si appresta a governare a suon di maggioranza la Provincia è grave, ma si fa fatica a considerarla anche seria. Ogni partito, dagli ex di Alleanza nazionale agli ex di Forza Italia, passando per l’Udc, ha consistenti interessi in campo. Ogni passaggio si incarna nell’arte del compromesso. Far finta di non vedere questi rimbalzi e di ignorare che le interdipendenze sono elementi costitutivi della politica, è un errore che rischia di produrre conseguenze gravi. Il progetto di Forte consiste nello sganciarsi dagli errori del passato, presentare le sue concrete proposte su temi di governo ed aspettare nella speranza che il suo intervento possa rappresentare una garanzia per la crescita del suo partito.

La morte di Terracina

Lidano Grassucci

Di questi tempi, finita la scuola, mi venivano a prendere le mie zie di Roma per la villeggiatura. Arrivavano di buon’ora, si viaggiava con il fresco, la macchina era carica di vettovaglie e iniziava l’avventura. Durava fino a settembre inoltrato (le scuole riaprivano a ottobre). Andavamo a Terracina. Era bellissima, stavamo in una di quelle casette che erano costruite nelle traverse della strada lungomare. Erano piene di gente, quando si arrivava era come se ci fossero delle braccia aperte di gente. La città era graziosa, ordinata, brillante. I negozi pieni di luci, eleganti, anche i bar erano sfavillanti. Per noi che arrivavamo dalla tristezza della collina, il vuoto della pianura era un luna park. Ogni tanto zia ci chiamava e ci indicava qualche personaggio famoso che stava al mare vicino a noi. Ricordo Aldo Moro con una specie di mutandoni modello Nonna Belarda. In spiaggia lo guardavano tutti con rispetto, sentivo che pensavano fosse uno di un altro pianeta, superiore.
Oggi Terracina è triste già dalla Mediana, lo sporco, l’erba secca. Tutto è sciatto, e anche quando i cassonetti sono vuoti sono sporchi, i negozi non sono differenti da quelli di Latina, di Sezze. I bar pure. Terracina era la spiaggia elegante di Roma.
Da ragazzo andavo a Sabaudia, da noi sulla collina o nel piano, d’estate si moriva. Nel senso che la noia e l’afa avvolgevano tutto da noi, a Sabaudia c’era vita. I romani erano odiosi, gli indigeni non certo sveglioni, per cui c’era spazio per dar fastidio alle ragazze. Ora? E’ triste, è una delle tante città pontine dove comanda l’afa. I ricchi stanno in villa, gli altri a casa.
Così è morto il turismo in questa provincia, è morto per ignavia, per inedia. E’ morto perchè abbiamo la peggiore classe dirigente locale del mondo, perchè abbiamo il minor senso civico dell’universo. Siamo morti per mancanza di dignità.
Lo sporco di Terracina è una bestemmia alla provvidenza. Se fossi un amministratore di Terracina farei atto di pubblica vergogna in piazza tutte le sere. Ma per far questo servirebbero uomini, come Moro, qui abbiamo (come diceva il compagno Rino Formica) nani e ballerine.

Una battaglia di civiltà: firmate l'appello

Marcello Caliman

Pubblicato il 29 giugno 2009 su Il Nuovo Territorio a pagina 10

Questa redazione del Golfo sposa la battaglia di civiltà in onore della giovane ventiseienne che nel centro storico di Napoli di sera è stata picchiata selvaggiamente da uno squadrone di cretini che intendevano umiliare un suo amico gay. E' stata picchiata selvaggiamente e rischia di perdere un occhio. Ora hanno scritto anche alla nostra redazione chiedendo di sostenere la petizione popolare al Capo dello stato per il conferimento di una medaglia alla giovane Maria Luisa Mazzarella. In questi tempi oscuri c'è bisogno di esempi di coraggio come quello della studentessa che ha difeso l'amico gay da attacchi omofobi ed è stata pestata selvaggiamente. Il testo dell'appello: “Signor Presidente, il 23 giugno 2009, nella centrale piazza Bellini a Napoli, una studentessa di 26 anni, Maria Luisa Mazzarella , nella circostanza di trovarsi a difendere un proprio amico omosessuale dalle offese e dalle violenze fisiche per opera di un gruppo di coetanei, è stata lei stessa oggetto di un duro atto di violenza verbale e fisica che le ha procurato lesioni su tutto il corpo e l'ha esposta al rischio di perdere addirittura un occhio. In un contesto sociale in cui si moltiplicano gli atti di violenza dettati dall'odio nei confronti di cittadini con un differente orientamento sessuale e che spesso si consumano nell'indifferenza generale di coloro che vi assistono, il gesto di Maria Luisa assume un innegabile valore non solo simbolico. Ci permettiamo pertanto di chiederLe di valutare la possibilità di concedere a Maria Luisa la medaglia al valor civile per aver messo a rischio la propria stessa vita in difesa di un coetaneo vittima della violenza omofoba. Confidiamo nella Sua sensibilità in modo che Maria Luisa possa vedersi conferita la massima onorificenza della Repubblica”. Sono già moltissime le adesioni dei personaggi della politica di entrambi gli schieramenti. Tra i tanti lo giornalista e scrittore Maurizio Costanzo. Chi scrive ha apposto la sua firma numero 1268 di giornalista cattolico, pur non condividendo tante scelte del mondo omosessuale ma ritenendo da vigliacchi e da nazifascisti offendere, umiliare e picchiare persone che hanno orientamenti sessuali o ideologici diversi. Certo non risultano episodi di eterosessuali aggrediti da gay. Si può firmare l'appello al Presidente Giuseppe Napolitano sul sito http://www.gay.it/unamedagliapermarialuisa/

Ponza, Una settimana con fiato sospeso.

Franco Schiano

Quella che sta per iniziare per Ponza è una settimana carica di attese ed aspettative. Ogni giorno che passa la questione dei pontili si sta rivelando sempre più complessa di quanto potesse apparire agli inizi, quando è scoppiato il caso con il clamoroso sequestro dei pontili da parte del PM Miliano. Intanto si attende quello che succederà domani, dopo che il Gip Tiziana Coccoluto, avrà ascoltato Benedetto Sandolo, assessore al Demanio dimissionario, indagato per abuso d'ufficio nell'ambito dell'indagine sui pontili, e per il quale il PM Miliano ha chiesto l'interdizione dai pubblici uffici. All'interrogatorio davanti al GIP Benedetto Sandolo si presenterà da ex assessore, avendo formalizzato le sue dimissioni il pomeriggio di venerdì scorso 26 giugno.
“Mi sono dimesso – ha detto Sandolo – senza conoscere assolutamente nulla della richiesta del PM. Ho ritenuto di lasciare quella poltrona, per essere più libero di difendermi dalle accusa.” Dimissioni, che a prescindere se sono arrivate un minuto prima o un minuto dopo la richiesta d'interdizione da parte della Procura di Latina, hanno scatenato una serie di reazioni. “Sandolo ha solo cercato di far lavorare i pontili, forse chiudendo in buona fede un occhio su qualche carta non perfettamente in regola. D'altronde quei pontili sono lì da tanto tempo.”- dicono quelli che aspettano con impazienza che la pratica pontili si chiuda al più presto e tutto torni come prima.
“Se sarà interdetto dai pubblici uffici Sandolo, a maggior ragione dovrebbe esserlo il Sindaco Porzio che certo era al corrente di tutto quello che accadeva. D'altronde l'assessore è espressione diretta del Sindaco. - dice Elio Gabriello Zecca, esponente dell'opposizione – Se la posizione del Sindaco non fosse censurabile dal punto di vista giudiziario, certo lo è dal punto di vista politico e morale. Farebbe bene quindi a dimettersi anche lui. Adesso con le dimissioni di Sandolo, il risultato è che la delega è tornata a Porzio. Quindi siamo punto e a capo. Auspichiamo – prosegue Zecca – che il Prefetto intervenga e come minimo nomini un Commissario ad Acta, che prenda in mano l'ufficio demanio. Se poi desse uno sguardo anche in altre direzioni non sarebbe male. Speriamo - afferma Zecca in conclusione - che questa sia l'occasione buona per ripristinare un po' di legalità sull'isola.” Per mercoledì prossimo è prevista un'altra riunione della conferenza dei servizi organizzata presso la Regione Lazio e coordinata da Raniero De Filippis, incaricato dal Presidente Marrazzo di seguire la questione dei pontili. Una settimana in apnea, ma la sensazione è che la questione non sia di facile e sopratutto rapida soluzione. Sull'isola tutti ne sono consapevoli.

GAETA - Soes, a quando l'organigramma?

Franco Schiano

E' passato un mese esatto dal 29 maggio, quando, dopo tante traversie e ritardi, finalmente è stato firmato il contratto di servizio tra la Soes e il Comune di Gaeta. L'evento fu salutato con soddisfazione da tutte le parti politiche che avevano “premuto” sull'amministrazione affinchè si concretizzasse il famoso indirizzo politico votato all'unanimità nel Consiglio Comunale del lontano 17 marzo.
A distanza di mese, nulla sembra cambiato per gran parte dei lavoratori della Soes, che denunciano la mancata presentazione da parte dell'azienda del famoso organigramma. Praticamente l'elenco di chi fa cosa. Anche se non quest'ultima non l'unica omissione – secondo i lavoratori – è sicuramente la più importante, in quanto sarebbe all'origine di una non equa distribuzione tra tutti i lavoratori delle famose 34.000 ore lavorative annue complessive, che l'azienda si è impegnata per contratto a lavorare e quindi distribuire tra gli addetti.
Sempre secondo fonti sindacali locali, sembra che ad oggi, solo 6 o 7 unità riescono a lavorare a tempo pieno. Un altro gruppetto di 5 o 6 unità effettua prestazioni settimanali intorno alle 24 ore, mentre la rimanente maggior parte, intorno alle 25 unità, si deve accontentare di lavorare 16/17 settimanali, che tradotte in soldoni significano intono alle 400euro mensili.
Poca cosa anche facendo il paragone con quello che avveniva solo la scorsa estate, quando tutti gli”stradini” erano attestati intorno alle 24 ore settimanali con punte di 32/36.
Una situazione che i lavoratori della Soes vogliono portare a conoscenza dell'opinione pubblica e sopratutto dell'amministrazione comunale, dalla quale si sentono abbandonati.”Non è possibile – ci ha detto uno di essi – che non ci è dato di sapere quante ore dovrò lavorare la settimana successiva.
Noi vogliamo lavorare e guadagnare in maniera dignitosa almeno il minimo per vivere. Non vogliamo fare la guerra tra i poveri. Chiediamo che l'amministrazione controlli l'esatta applicazione del contratto ed in particolare che ci sia un'equa distribuzione delle ore di lavoro tra tutti. L'organigramma sarebbe un primo passo. Preghiamo tutte le forze politiche di non abbandonarci.”

venerdì 26 giugno 2009

Liste civiche, parentesi politiche.

Franco Schiano
Le liste civiche hanno avuto sempre un ruolo importante sopratutto a livello comunale. Durante la cosidetta prima repubblica esse trovavano terreno fertile sopratutto nei piccoli comuni al disotto dei 5.000 abitanti, dove il sistema maggioritario privilegiava i grandi partiti e penalizzava, allora come ora, le formazioni minori. Nei piccoli comuni delle nostre zone era la DC che la faceva da padrona, così come il PCI dettava legge sui Lepini. Pertanto le liste civiche erano spesso una necessità per controbattere lo strapotere dei grandi partiti. In esse prendevano corpo le alleanze più disparate. Potrei citare citare più di un caso in cui per battere la DC imperante da un trentennio, si mettevano, sotto la stessa insegna civica, insieme esponenti del PCI e del MSI. Erano in sostanza cartelli elettorali. Nei comuni più grandi, dove vigeva il sistema proporzionale, l'esigenza di ricorrere a liste civiche era meno cogente. Quando ne nasceva qualcuna, questa era legata quasi esclusivamente a esponenti politici che, per divergenze nei loro grandi partiti, sceglievano la via della civica per dimostrare la loro forza elettorale senza dover cambiare radicale di casacca (cosa allora assai rara e disdicevole, ma sopratutto difficile per via della forte caratterizzazione ideologica dei partiti). In entrambi i casi si trattava di fenomeni la cui durata, comunque breve, era assai legata alla contingenza elettorale.
Nella seconda repubblica il fenomeno delle civiche ha assunto un'altra dimensione. Con il completo crollo dei partiti tradizionali e sopratutto delle ideologie, il ricorso a formazioni civiche è diventato assai più disinvolto. In genere sono legate al territorio e trovano terreno fertile laddove la politica dei grandi partiti fallisce in maniera netta e clamorosa. Quando più forte si fa l'indignazione popolare, per la cattiva politica che pensa più agli affari propri che all'interesse pubblico. E' successo a Gaeta ed è successo ad Aprilia. In entrambi i casi il fallimento delle amministrazioni in carica è stato certificato dalla loro caduta e con l'arrivo di un commissario. Raramente in questi casi l'elettorato premia chi non è stato in grado di completare il mandato elettorale. In entrambi le circostanze non c'era una sinistra pronta a prendere il posto di chi aveva fallito. Sia a Gaeta che ad Aprilia un gruppo di liste civiche si è fatto trovare pronto cogliendo l'attimo fuggente.

Solo che l'esperienza, sia della prima che della seconda repubblica, dice che le liste civiche sono fenomeni di stagione. Figlie di un preciso momento politico difficilmente ripetibile. Valga per tutti l'esempio locale costituito da Gaeta Unita, che nonostante i lodevoli tentativi di strutturasi in qualcosa di più ampio (Golfo Unito), dopo il successo iniziale,è andata mano mano regredendo fino a scomparire nel giro di poco tempo. La stessa esperienza civica Raimondina, in corso ormai da più di due anni, nonostante i proclami, mostra chiarissimi segni di smottamento verso i partiti. Difficilmente sopravviverà a se stessa, come dimostra quello che è successo in queste passate elezioni. Le prossime regionali finiranno di consumare questa esperienza. Difficilmente il movimento civico di Raimondi alle prossime comunali potrà ancora recitare il ruolo centrale e decisivo che ha avuto nel 2007. La solida esperienza politica e la forte cultura autonomistica del socialista Domenico D'Alessio, sapranno tenere al riparo dal rischio di dissolvimento il suo movimento civico terzopolista?Ammesso che lo voglia fare, sarà difficile.Finora nella vita politica di una comunità le liste civiche sono state parentesi, più o meno rosee, che si sono aperte e chiuse.

Cgil, ecco lo sportello antiusura

Teresa Faticoni

Prevenzione e lotta all’usura: con questi due obiettivi la Cgil, in collaborazione con la categoria Fisac (lavoratori del credito) e l’associazione Baccarato, apre uno sportello contro chi è strozzato da debiti cui non riesce far fronte. L’iniziativa è stata presentata ieri mattina dal segretario generale della Cgil di latina, Salvatore D’Incertopadre, dalla segretaria della Fisac Cgil Annamaria Lupo e dal presidente dell’associazione Baccarato Ignazio Barbuscia.
Ogni mercoledì dalle 15 alle 18 al terzo piano di via Solferino è a disposizione personale volontario che è stato preventivamente formato da Barbuscia la cui associazione antiusura prende il nome dal paese dove è nato e cresciuto in Sicilia, in provincia di Enna. «Tutto il litorale, da Ostia a Napoli è esposto al rischio usura», dice Barbuscia. Famiglie nelle quali un componente perde il posto di lavoro, nuclei familiari che si separano, giocatori ossessionati dall’azzardo, gente che vuole vivere al di sopra delle sue disponibilità, anche malati che spendono per curarsi: la biografia dell’usurato è varia e triste. Presso lo sportello ci saranno vari step: dopo una prima fase nella quale si cercherà di capire dinamiche e cause della situazione di usura, poi si cercherà di usufruire di fondi antiusura per sanare la propria situazione e il terzo passaggio è quella di evitare di ricadere nella rete con una denuncia che recide definitivamente il tragico cordone ombelicale che unisce usurario e usurato. Possono rivolgersi alla Cgil anche i piccoli commercianti e imprenditori. Il tutto in maniera assolutamente gratuita.

Un dono a Giulio Notarnicola

Lidano Grassucci
"Sono entrato nel portone del palazzo dell’intendenza di finanza 41 anni fa, ora ne sono uscito solo da un’altra porta. Per 41 anni ho lavorato nello stesso posto, penso sia un record”. Si emoziona Giulio Notarnicola mentre saluta gli amici nel momento di andare in pensione, quasi gli viene da piangere. E’ entrato nel palazzo di Piazza del Popolo del ’69, un altro mondo. E sempre lì è rimasto, seguendo gli eventi. Lui, direttore della commissione tributaria, ne è quasi il papa. Io l’ho conosciuto agli inizi degli anni ‘80 e mi pare sia sempre rimasto uguale, un uomo dotato di una ironia sottile, con delle osservazioni che lasciano perplessi gli interlocutori. “Non sono legato alla poltrona, me l’hanno data ed io me la sono tenuta” spiega della sua carriera con un intelligente gioco di immagini che rende l’intelligenza di Giulio. Intorno a lui i presidenti delle sezioni della commissione, gli impiegati, i commercialisti, gli avvocati, ma soprattutto gli amici che poi sono tutti amici. Lui è uno che sdrammatizza, che vede il lato umano delle cose: “sono sempre stato innamorato del diritto, avevo Gava come professore, ma nei primi anni facevo anche il segretario delle udienze ed ho imparato tanto in una materia che cambia sempre”. Già è vero, Giulio è una spugna, ha una intelligenza pronta anche se i nipoti gli ricordano che “quando nonno lo mandi a comperare il gelato lui torna con le supposte”. I nipoti prendono il microfono per dire quello che tutti i nipoti vogliono dire e tutti i nonni vogliono ascoltare, ma davanti agli amici del nonno, per dire che il nonno è “grande”. Lui stesso è meravigliato di tanto affetto intorno a lui. Non perché non sapeva non di avere tutti questi amici ma di quanto loro erano amici. E scopre tanta stima verso di lui, verso la sua professionalità. Giulio è apparentemente accomodante, è di fatto rigoroso.
“In 41 anni ho mandato non più di venti certificati medici, in ufficio alle 7.30, fuori alle cinque”.
Sembra di sentire una storia di altri tempi, una volta si sarebbe detto di uno così è “un servitore dello Stato” e tutti si sarebbero tolti il cappello in segno di rispetto. Ecco io oggi voglio togliermi il cappello davanti a Giulio Notarnicola, un uomo dello Stato. Non andrà di moda ma lui è un uomo e questo è cosa fuori dal comune. Buona pensione Giulio, da un amico.

mercoledì 24 giugno 2009

La maturità, i voti ordinati

Lidano Grassucci


Oggi inizia la maturità, una sorta di rito di iniziazione dei giovani alla vita. Ma è anche il momento in cui le famiglie pensano di “indossare” i loro figli e di trasformarli in termometro del loro successo. Siamo una società egoista e i genitori sono lì a indossare i figli e non a sostenerli. Arriverà anche quest’anno la lettera del preside del classico che se la prenderà con la degenerazione del valore scuola per l’insoddisfazione delle famiglie rispetto ai voti finali della maturità. Arriverà puntuale senza la domanda su «chi ha creato quelle aspettative». Ma questo è. Nessuno avrà la generosità di ricordarsi che la vita è di quei ragazzi e non dei genitori, che non contano i voti ma la capacità di confrontarsi con il mondo, di affrontare il mondo. I voti facili, predeterminati in funzioni delle aspettative di mamme è papà tanto apprensivi per il voto quanto spesso distratti. Lasciamoli provare, lasciamoli anche sbagliare, non valutiamoli in centesimi ma in capacità di relazionarsi, di rispettare se stessi e gli altri. Non è l’esame che cambia la loro considerazione nella famiglia, ma è lo strumento con cui si sono messi alla prova per il mondo. La più grande iattura della scuola italiana sono stati i genitori a cui è stato permesso di trasformare il luogo della formazione in una appendice del salotto di casa. Il tutto con insegnanti e presidi lanciati nel cercare il loro consenso, la formazione dei ragazzi era varia ed eventuale.
Fate la maturità fatela per mettervi alla prova non per portare a casa il voto che hanno “ordinato” mamma e papà come si fa con il salame al supermercato. Con il pizzicagnolo che si giustifica se qualcosa non va. Maturi perché capaci di giocarsi la partita per sé, non per conto terzi.
Ma il mio appello cadrà nel vuoto, e le famiglie faranno a gara all’indossare i figli come fossero l’ultima collezione Fendi.
Vengo da un mondo in cui la scuola era l’ascensore per non essere più ultimi, per essere alla pari. I nostri genitori non potevano “ordinare” i voti e quando parlavano con il maestro non omettevano mai il “sor”. “Sor mae’”, e i voti del maestro erano giusti, se erano buoni eravamo stati bravi noi, se erano brutti era colpa nostra. Si chiamava cultura della responsabilità, ora c’è l’ignoranza della pretesa. Lessi da ragazzo “Una scelta di vita” di Giorgio Amendola, uno dei più grandi uomini italiani, figlio di Giovanni, ministro liberale morto per le percosse dei fascisti, comunista riformista. Un grande italiano che era stato rimandato in matematica al liceo. La scuola gli aveva dato una grande cultura, ma non aveva mai ordinato il voto. E lui era Amendola.

La matematica e Aprilia

Lidano Grassucci



Un mio amico fece un brillantissimo esame da maturità, i professori si alzarono per complimentarsi. Arrivò quello di matematica che mesto gli comunicò: “certo che proprio il compito di matematica doveva sbagliare” . Eravamo al liceo scientifico e la matematica non era proprio un particolare. Lui non se la prese e commentò: “mica se pò n’dovinà tutto”. Ecco forse questa è la spiegazione di quello che è accaduto ad Aprilia con la vittoria di D’Alessio sulla Bencivenni. Se non fosse che Aprilia, come la matematica allo scientifico, non è un particolare. D’Alessio, vecchio militante socialista, ha battuto al primo turno il Pd di Longobardi, poi il centrodestra di Bencivenni. Sembrava l’italietta di Spagna che ha vinto i campionati del mondo battendo Argentina e Brasile.
Cosa hanno detto gli apriliani? Che sono delusi dai partiti, che non stanno nelle logiche Pd, Pdl. Guardate che è un risultato unico perché alle provinciali gli stessi elettori avevano deriso la proposta civico-senile di Umberto Macci, prospettiva già rigettata a Latina con Cirilli.
Qui? Un vecchio, e coerente, militante socialista fa tutto da solo e vince. Aprilia resta una anomalia, accentua la sua diversità dal resto della provincia, quasi si chiude in se a non ricercare sostegni romani o pontini. Diventa enclave di autogoverno, si proclama fuori (o oltre?) dagli schemi bipolari, per altro da poco nati.
Si tira fuori dalla provincia dalla regione. Non so dirvi dove porterà questa scelta, so dirvi che è una scelta forte. Per la classe dirigente del centrodestra è un segnale, nulla è scontato, per la classe dirigente del Pd è un messaggio, c’è la possibilità di organizzare altrimenti il dissenso. E’ piu’ vicina alle risposte della Lega al nord di quanto si immagini. E’ un segnale forte, ma Aprilia avrà bisogno di tornare ai partiti, di non perdersi. Questa la sfida che la costanza di D’Alessio ora deve raccogliere, questa è la sfida che non può lasciare inevasa la Bencivenni, a cui non può sottrarsi Longobardi. Ricordo loro che Mitterand, fu sconfitto due volte alla corsa per diventare capo dei francesi, ma poi ha cambiato la Francia da capo. E’ un esempio per gli sconfitti di oggi, è il segreto di D’Alessio a cui va riconosciuta la costanza, la determinazione ed il coraggio. Ora la sfida piu’ grande, governare Aprilia e, forse, lì avrà bisogno di tutti.

...E RISPOSTA - I limiti alla libertà

Lidano Grassucci

Cara Teresa ti rispondo pubblicamente perché la tua domanda riguarda l’idea di giornale, e tv, che facciamo. E riguarda l’idea che io ho del vivere civile. So da me che mai alcun giornale di qualsiasi curia ospiterà un mio scritto, ma il problema della libertà non è un loro problema è un mio problema. Mi spiego: per chi ha la verità assoluta il problema della libertà non si pone, per chi crede di stare nel giusto il dubbio è male. Quindi non mi aspetto di essere ricambiato, rispettato per quel che sono. Ma non possono non consentire a chi è lontano da me di dire quel che crede, di farlo nel suo mondo. Per questo pubblico la rivista della Curia di Gaeta, come faccio per i ragazzi di Azione Giovani, per quelli dei collettivi di sinistra. L’ho fatto, lo faccio e lo rifarei perché il mondo è bello se ci sono tanti fiori dai colori differenti. Credo, come Benedetto Croce, che la storia sia un percorso di libertà, credo che chi legge il nostro (inteso come lettori e chi ci lavora) si può fare una opinione confrontando, valutando. I liberi non pensano di avere verità, ma opinioni. Noi non scomunichiamo, non mandiamo ai roghi, non diamo lavoro a mastro Titta (il boia dello Stato della Chiesa).
La mia Patria è nata contro la Chiesa, la mia Patria è nata nonostante le chiese. Ancora sono offeso con l’artigliere italiano che a Porta Pia sbagliò l’alzo e buttò giù un pezzo di muro di cinta, se ci prendeva avrebbe colpito il cupolone e oggi forse saremmo europei. Mah, quel giorno comunque la Chiesa divenne libera di parlare alle anime senza dover dar lavoro a Mastro Titta. Come vedi la mia parte ha un limite per esistere deve consentire anche agli assassini di libertà di poterla maledire.

BOTTA... - Perchè li pubblichi?

Teresa Faticoni
Caro direttore,
ogni giorno discutiamo di giustizia e di libertà. Quindi questa mia, che decido di scriverti pubblicamente per via di terzi coinvolti, per una domanda alla quale ti chiedo una risposta. Pubblichiamo settimanalmente su Il Territorio un inserto dedicato all’Arcidiocesi di Gaeta. Quando ti chiedo perché, o il perché mettiamo in pagina posizioni a mio avviso troppo estremiste, o contesto alcuni argomenti o il modo in cui essi vengono trattati, mi sottolinei che sei un liberale. Che tutti sono liberi di avere il proprio pensiero. E che noi per amor di libertà ospitiamo tutti i contributi, legittimi sempre. Certo, la solita storia della libertà individuale che finisce laddove comincia quella degli altri. Ma, e arrivo alla questione, la controparte – nel qual caso il mondo dei cattolici praticanti, la Diocesi, l’Arcidiocesi, fino alla più piccola parrocchia sperduta in provincia – darebbe a te lo stesso spazio se esprimessi un’opinione diversa da quella imperante in quel contesto? Sarebbe, secondo te, garantita la reciprocità non solo di ospitalità, ma di libertà di pensiero? A mio avviso non pubblicherebbero neanche una delle tue righe liberali, scanzonate e “capoculo” nemmeno sul giornale della parrocchia.

Il nuovo che avanza: esperienza e competenza tra Aprilia e Gaeta

Franco Schiano

Nella straordinaria vittoria di Domenico D'Alessio come Sindaco di Aprilia c' è una cosa che ha particolarmente attirato la mia attenzione:non è giovanissimo anagraficamente e neanche nuovo della politica.
Ha alle spalle una lunga e coerente carriera politica e sindacale. Di lui non si può certo dire che sia un “improvvisato” della politica. Uno nuovo. Cosa che finora sembra aver rappresentato un passaporto indispensabile per essere giudicato eleggibile, come è successo a Gaeta con Raimondi. Domenico è sicuramente un politico di lungo corso, preparato e capace. Eppure ha vinto, e per giunta senza neanche avere un santo protettore. Incredibile! Non che la sua non verdissima età, anagrafica e politica, sia la sola ragione della sua grande vittoria, ma è un fatto che fa riflettere, come un ulteriore segnale di un'inversione di tendenza. Sembra la gente abbia voglia di tornare all'antico, visto i molti casi in cui i nuovi hanno deluso le aspettative e le promesse.

A Formia l'anno scorso le elezioni le ha vinte Michele Forte, che non è uno nuovo. E' stato anche confermato alle Provinciali insieme ai non certo neofiti Assaiante, Fusco, Graziani, Taddeo, Cardogna, Di Maggio (per rimanere nella sola zona del Golfo). Tutta gente che fa politica da sempre e che in molti casi ha lasciato al palo le novità.
A Gaeta , alla quale immediatamente torno, dopo questo sconfinamento del quale chiedo scusa , in effetti è successa la stessa cosa: i migliori risultati li hanno avuti personaggi come Salvatore Di Maggio (PD) e Massimo Magliozzi (PdL), ultra cinquantenni e politicamente più che navigati.

Il primo(1.447 voti e il 23,61%), nella sua vittoriosa campagna elettorale per un seggio in provincia – sempre a proposito di novità - è stato supportato da un segretario di Sezione come Agostino Di Mille che viene addirittura dal vecchio PCI. Il secondo - pur fallendo la corsa per via Costa – ha raccolto ben 1444 voti pari al 34,62%, miglior risultato della città, distanziando notevolmente altri candidati nuovi e giovani.
Tutti indizi che porterebbero a concludere che una certa fase si possa considerare chiusa o quantomeno indirizzata in quella direzione. Sembra che all'orizzonte torni a spuntare la vecchia inossidabile politica, con suo bagaglio di competenza ed esperienza. Forse perchè il nuovo, in cui tanto si era sperato, finora non è andato oltre gli annunci e le buone intenzioni, delle quali come tutti sanno è lastricato il pavimento dell'inferno.

venerdì 19 giugno 2009

Consorzio agrario, si tratta per la mobilità

Teresa Faticoni
«Il nostro obiettivo è scongiurare i licenziamenti». Eugenio Siracusa, segretario provinciale della Flai Cgil, parla a margine del primo incontro che si è tenuto ieri presso il Consorzio agrario che vuole mettere in mobilità 18 lavoratori. Il totale dei dipendenti dell’ente di via dei Monti Lepini è di 38: un taglio radicale dell’organigramma per rimettere in sesto una situazione finanziaria ed economica che rischia di sfiorare prima o poi il crac. Ieri a Piccarello erano presenti oltre a Siracusa, anche Bellezza della Fai Cisl provinciale e Chiesa di quella nazionale; Cartisano della Uil Tucs e un rappresentante del Sinalcap. Il Consorzio agrario, per stessa ammissione del direttore Bruno Giannelli, è in gravissime difficoltà. Il mercato non tira più. Le vendite hanno subito una flessione del 67% - dai 15,9 milioni del 2008 si è passati a 5,3 nel 2009 – e considerando che il consorzio vive di risorse sue proprie questo è un discrimine di quelli che fanno la differenza. Di più: la questione più volte rimbalzata agli onori della cronaca delle cambiali agrarie rinnovate ad libitum ha messo in ginocchio il consorzio. In sostanza un circolo vizioso nel quale, come la vulgata insegna, ci hanno rimesso i giusti per i peccatori. Insomma: i sindacati non mollano di un centimetro la posizione acquisita. Senza capire quale sia il percorso non si va avanti. La prossima riunione è aggiornata al 2 luglio, quando le parti sociali si aspettano che Giannelli si presenti con un piano industriale e i numeri relativi a bilancio e personale. «Non siamo disponibili a firmare mobilità che licenzi persone che non abbiano i requisiti per la pensione – precisa ancora Siracusa – siamo aperti a ragionare rispetto a un piano alternativo che preveda l’utilizzo di altri ammortizzatori sociali, con un piano industriale e sociale che traghetti la situazione in una migliore». Dei 18 papabili licenziati 10 hanno certamente i requisiti per agganciarsi alla pensione tramite la mobilità, qualcuno potrà essere recuperato riportando all’interno del consorzio alcuni servizi che ora sono affidati a ditte terze.

GAETA - Raimondi torna alle cose locali

Franco Schiano

Come al solito a tutto campo la conferenza stampa mensile di Raimondi, ma che non può non partire dai recenti risultati elettorali. Dopo aver sostanzialmente difeso il “suo” risultato alle europee e un po' meno quello del suo partito, Raimondi distribuisce i suoi personali oscar elettorali.
“ A Gaeta ci sono due grandi sconfitti – afferma il primo cittadino, sollecitato dai giornalisti – Mitrano e Matarazzo.” Il primo reo di non aver raggiunto l'obiettivo di far eleggere un consigliere provinciale di maggioranza. Il secondo aver ridotto il partito ai minimi storici, a causa di una opposizione cavillosa, “non tollerata dai cittadini”. Bene il PD, che ha eletto Di Maggio, e bene anche Ciccariello – che pur se non eletto ha conseguito un ottimo risultato(grazie all'appoggio dei Raimondini, che a livello provinciale hanno diviso il loro voto tra Idv e PD). Apprezzamenti distribuiti anche a Magliozzi ( “che lasciato solo dal suo partito, ha fatto bene”) a Sasso e Gallinaro(che si è distinto se pur inserito in una formazione che a livello provinciale non ha brillato). Tornando alle problematiche amministrative, Raimondi, annuncia la prossima definizione della questione della delocalizzazione del Pontile Petroli. Entro il mese di luglio è previsto un incontro con l'ENI e l'A.P., per precisare modalità e tempi certi dello spostamento della petroliera dalla Peschiera ad altro sito(probabilmente un nuovo molo petrolifero nell'ambito del porto commerciale). Si dice ottimista per la prossima estate, che – afferma – è partita bene, ma l'amministrazione dovrà fare la sua parte (pulizia, traffico, ecc.). Le commissioni consiliari, secondo il Raimondi-pensiero dovranno essere ridisegnate e riportate a 5 membri, entro l'estate.
“Non è previsto nessun cambiamento della giunta – afferma, rispondendo ad una precisa domanda-
Ma mi aspetto una decisa accelerazione da parte di tutti i componenti dell'esecutivo. In autunno valuterò il risultato del lavoro, che deve essere meno tecnico e più politico. Chi non capirà queste esigenze sarà sostituito.”Una frase che si presta a molte chiavi di lettura, ma che comunque ammette una certa carenza dell'azione complessiva della giunta, se non altro per quanto riguarda una visione politica definita e che comunque rimanda a dopo l'estate qualsiasi tipo di “verifica”.
Le ultime battute sono destinate all'on. Moscadelli e si riferiscono alla famosa nota di “suggerimenti” sull'AVIR, inviata da quest'ultimo al Comune.”Respingo in maniera totale quello che il Presidente della Commissione Urbanistica ci ha scritto nella sua lettera, peraltro inspiegabilmente inviata anche all'associazione Caponetto (che non potrebbe più usare questo nome) e ad una fantomatica piccola associazione di ex vetrai. La Commissione Urbanistica regionale – ha detto ancora Raimondi – parli di urbanistica e tralasci di darci consigli sulla sicurezza e sul commercio. Adotteremo la procedura accelerata prevista dalla L.R.22/97, non vogliamo aspettare i tempi biblici del PRG.” Una dichiarazione “di guerra” che lascia intuire che presto la questione AVIR, arriverà in aula, dove evidentemente si consumerà lo scontro con la minoranza, che finora si sente esclusa da qualsiasi coinvolgimento.

Il cimitero e la lezione di Collodi

Lidano Grassucci

Va di moda parlare del cimitero, ora tutti sono affranti per la chiusura settimanale di quel luogo della memoria. Anche chi non ci va neanche per gli altri sei giorni. Non mi lego a questa schiera, non per essere bastian contrario ma ho in odio il populismo che è quell’arte di cavalcare comunque le proteste per ricavarne nulla se non le proprie carriere politiche. Il movimento di rivolta per il cimitero fa il paio a quello contro Acqualatina e quello sui rifiuti. Si rivendicano a gran voce diritti, omettendo accuratamente ogni riferimento ai doveri. Stiamo facendo nascere una società in cui le richieste non hanno nulla a che vedere con la realtà: acqua gratis, omettendo che portare l’acqua in ogni casa costa. Qualcuno dice: ma l’acqua non si pagava. Infatti, infatti non arrivava a casa e le donne dovevano andare ai fontanili pubblici, spesso a decine di chilometri da casa, per procurarsi l’acqua. Cosa che fanno ancora nei due terzi del pianeta. Dice ma morire era gratis, perché c’erano le confraternite, quelli della buona morte, che si facevano carico di seppellire i morti, per i ricchi c’erano le cappelle che si pagavano.
'Sta società del bengodi dove tutto è gratis dove l’hanno vista?
Collodi l’ha raccontata: era il paese dei balocchi, il paese che poteva “convincere” gli sciocchi, gli sprovveduti che infatti venivano trasformati in asini. Mentre è lo studio, il lavoro, la fatica che rendono virtuosi, non sudditi ma cittadini.
Ma per sapere questo bisognerebbe aver letto Pinocchio, avere rispetto per il lavoro e conoscere il senso del sacrificio.
Cose che in Italia nessuno cura più, povero Collodi voleva contribuire al senso civico con il suo Pinocchio e invece…
Siamo come Lucignolo e Pinocchio sempre pronti a seguire chi ci regala le caramelle.
Buona notte popolo.

venerdì 12 giugno 2009

L'avventura europea di Raimondi

Franco Schiano
Fin da quando i primi di Aprile il Sindaco di Gaeta Raimondi, annunciò la sua partecipazione alla corsa per un seggio a Bruxelles, nella semisconosciuta lista della bella Daniela Melchiorre dopo aver flirtato con il PD e l'IDV- furono in tanti ad interrogarsi sulla bontà della scelta del primo cittadino di Gaeta, sempre professatosi civico. Perplessità di vario ordine che non venivano solo – come forse potrebbe essere naturale – dal campo avverso, ma che venivano sollevate++, sia pure a bassa voce anche tra gli amici ed estimatori.
In primis l'oggettiva difficoltà di raggiungere un traguardo difficile per tutti, aumentato in maniera esponenziale dallo sbarramento al 4%. Ostacolo difficile da superare per qualunque partito strutturato a livello nazionale, figuriamoci per un partito praticamente inesistente come quello scelto da Anthony. Dice, ma la Melchiorre buca il video, negli ultimi 15 giorni con la “par condicio” televisiva, si raggiungeranno almeno i 660mila voti che occorrono per attestarsi intorno al 2% e puntare ad essere almeno il miglior perdente.
L'altra difficoltà di raccogliere preferenze in circoscrizioni molto ampie ( solo quella centrale comprende Lazio, Umbria, Toscana e Marche), si sarebbe superata con la potenza di internet e sopratutto con una rete ben distribuita di Case Salesiane. C'era poi la questione dell' incompatibilità tra la carica di Sindaco e quella di parlamentare europeo. Una questione che, sia pure con motivazioni opposte faceva perdere il sonno, sia ai sostenitori che agli avversari. I primi preoccupati per il vuoto che avrebbe lasciato nella guida della città, i secondi attanagliati dal dubbio se votarlo pur di “liberarsene”. A questo dettaglio avrebbe provveduto una leggina varata alla chetichella a pochi giorni dal voto, eliminando il veto per i sindaci già in carica.
La credibilità quasi taumaturgica che Raimondi si è conquistato in occasione della sua strabiliante vittoria alle comunali del 2007, alla guida di due liste civiche composte quasi esclusivamente di assoluti neofiti della politica, ha fatto sì che nessuno osasse dire chiaramente al Sindaco di Gaeta, quanto fosse come minimo velleitaria la sua sfida. In fondo - diceva qualcuno – potrebbe ripetere il miracolo delle amministrative!
Com'è andata a finire lo sanno tutti. Sarebbe troppo facile ironizzare su un insuccesso annunciato, almeno per quello che riguarda il risultato finale, ossia l'approdo a Bruxelles. Quello che invece – forse – Raimondi ha sottovalutato è il danno d'immagine che si è auto procurato a livello locale sottoponendosi ad un inutile referendum. La sua immagine vincente risulta ora piuttosto appannata, anche e sopratutto rispetto ai suoi seguaci, che da oggi si sentiranno meno “protetti”. L'invincibile Braveheart ha lasciato il posto ad un più normale signor Raimondi. Uno che può anche perdere, come tutti gli altri. Ma tutte queste cose sono lecite, poiché in fondo attengono la sfera personale, e ognuno della sua vita è libero di fare le scelte che vuole. C'è solo un vulnus che probabilmente resterà dopo tutta questa storia: a Gaeta, nel prossimo futuro, saranno in pochi a dare credito a proposte elettorali provenienti da candidati cosidetti civici.

mercoledì 10 giugno 2009

Gaeta, chi ha vinto e chi ha perso.

Franco Schiano
Succede ovunque, quindi anche a Gaeta, che le elezioni le vincono sempre tutti. A sentire le dichiarazioni dei vari esponenti politici nessuno ha perso. Anche quando le cose sono andate veramente male c'è sempre qualcosa a cui attaccarsi, Come minimo a eufemismi, paragoni improbabili, litoti, se non addirittura a ossimori. Un vera orgia di parole pur di negare o almeno almeno attenuare una sconfitta. Cominciamo dal Sindaco Raimondi, candidato alle europee nella lista dei Liberal-Democratici, che in città ha raccolto solo 1359 preferenze. Risultato – a parere di chi scrive – assai modesto, ma che il primo cittadino ha provato ad attenuare osservando di essere secondo solo al Premier Berlusconi, quanto a preferenze in città. Una bocciatura che dovrebbe consigliare Raimondi a concentrarsi sull'amministrazione della città, magari cambiando qualcosa, per evitare che questo non brillate risultato possa essere foriero di altri smottamenti nella sua ormai risicata maggioranza consiliare. Per non parlare di quella tra la gente che stando a questi numeri sembra essere assai ridotta.
Ma se Sparta piange Atene non ride. Nel PdL, nonostante il buon numero di consensi, nessuno è stato eletto alle provinciali. Inoltre c'è un'aria da day after che non promette nulla di buono per l'attuale dirigenza di Mitrano. Nonostante la pubblica investitura avuta dal Senatore Fazzone è probabile che, nei prossimi giorni, dovrà fronteggiare i mal di pancia dei vari Magliozzi, Balletta, ecc. che non hanno gradito molto, una campagna elettorale tutta puntata su Fulvia Frallicciardi (prima dei non eletti, ma che potrebbe rientrare se uno degli eletti della lista Cusani verrà nominato assessore). Magliozzi sul secondo collegio si è difeso come un leone, ma pur con un buon 33%, è finito lontano dai promossi. Anche Balletta avrà da lamentarsi, ritenendosi abbandonato al suo destino sul primo collegio, dove ha raccolto un onesto (viste le condizioni)15,18%, ma che purtroppo non gli permette di evitare l'onta dell'ultimo posto tra i candidati del PdL.
Senza contare il dissenso più o meno palese di quelli di Nuova Area, che comunque insieme ad altri “dissidenti”, possono mettere in campo un pacchetto di voti superiore a quello dell'UDC, il quale peraltro non ha brillato in questa tornata elettorale. Voti dai cui sarà difficile prescindere in un'ottica di riconquista del Comune.
Gli unici che – a livello locale – possono dire di aver vinto qualcosa sono quelli del PD e di Nuova Area. I primi con il 23,68% eleggono Di Maggio nel primo collegio, confermando un soddisfacente 19,68% con Scinicariello (anche se non eletto) nel secondo. Nuova Area, su Gaeta 2, elegge con Mauro Sasso il suo unico, oltre Macci, rappresentante in via Costa. Circostanza che fa sì che Gaeta esprima due consiglieri provinciali, entrambi di minoranza.

mercoledì 3 giugno 2009

TV - 2 giugno, sfilata di pace e di solidarietà

Sergio Corsetti
Tranne i leghisti, c'erano tutti. Parliamo della sfilata ai Fori imperiali in occasione del 2 giugno, festa della Repubblica. La televisione, come al solito, ha fornito le immagini della parata militare che si tiene a Roma alla presenza del capo dello Stato e della più alte cariche istituzionali. Per chi non soffre d'orticaria a vedere cose militari, la parata rappresenta un momento particolare, una mattinata da passare a studiare le differenze tra le diverse divise e i diversi corpi. Lo spettatore pontino, con ancora negli occhi la sfilata a tratti scomposta degli alpini, si è trovato di fronte alla perfezione delle vari divisioni. Posizione, distanze e ritmo tutto preciso, studiato a lungo e provato nottetempo. La maestosità della divisa storica dei Granatieri di Sardegna, la fierezza della Folgore, il passo lento e compassato degli alpini (100 passi al minuto invece dei 130 delle altre specialità), il ritmo delle bande e della fanfare, la caratteristica corsa dei bersaglieri. Quest'anno i commenti si sono soffermati sull'alta presenza femminile. L'apertura delle Forze armate alle donne è stata rimarcata ed evidenziata in tutte le salse. Molti volti femminili in divisa sono stati inquadrati e messi a fuoco. Ma come al solito il momento clou della mattinata è stato il passaggio delle Frecce tricolori. La pattuglia acrobatica ha deliziato gli spettatori, in particolar modo i bambini, che sguardo al cielo hanno ammirato il tricolore dai gas di scarico dagli Aermacchi in dotazione. Il tutto risparmiando anche un miline di euro per l'Abruzzo che non è poca cosa.

Macci, tre briganti e tre somari

Lidano Grassucci


Ma che fine hanno fatto i maccisti, i seguaci di Macci? Non li incontro per strada, non li vedo nei comizi. Li leggo solo su un giornale, fossero virtuali?
Mi sorge il dubbio che Macci e i macisti siano una sorta di triangolo delle Bermuda della politica. Tutti ne parlano, tanti raccontano dei disastri ivi avvenuti, nessuno ne sa nulla. Ma che pensa sto Macci? Non lo sa neanche lui, ma c’è e fa la sua porca figura.
Sul giornale di riferimento, invece, il sindaco di Priverno parla sempre alle masse oceaniche, così masse e così oceaniche da far impallidire anche quelle del maestro romagnolo che voleva comandre gli italiani. Il nostro è sempre presente con accanto i prodi Conte e Ciarrapico. Che a ste riunioni non ci vanno in tre?
C’era una canzone di Modugno in cui c’erano tre briganti e tre somari, come la rigiravi erano sempre tre. Tre cavalli e tre somari. Sempre solo tre. Mo li puoi mettere in fila per uno, in fila per due con il resto di uno, in fila per tre senza resti.
Sempre tre cavalli e tre somari.
E non c’è verso. I voti non arrivano con le pagine dei giornali. E, adesso che ci penso, Ciarrapico vota a Roma. Quindi ne restiamo due. Si potrebbe votare per gamba, allora le cose cambiano ci sarebbero sei gambe di briganti e dodici di somari. Mo fa tu quella che ti conviene.
Ma sempre tre, tre somari e tre briganti.

Lo scaduto della politica

Lidano Grassucci



Ho presentato un libro di Merlino, Michele non il mago, su Valle Giulia. Era fascista, così l’avrei definito solo qualche manciata di anni fa. L’occasione era la presentazione di Filippo Cosignani candidato nella lista Cusani alle provinciali. Anche lui era di Destra. Parlano e io mi estraneo un po’. Cosa ci faccio qui? Loro usano parole che forse uso, ho usato, anche io. Parlano di ideali, di valori, parlano di sogni. Che i fascisti avessero i sogni sarebbe stata una bestemmia per me, una manciata di anni fa. Ascolto, parlano di rivolta generazionale. Di ragazzi di allora che negli anni che andarono tra il ’68 e il ’78 pensavano di poter cambiare il mondo.
Ora eravamo lì, pance pronunciate, capelli che avevano tutte le sfumature del grigio sino al bianco, dentro una società che è tanto uguale a quella che si voleva cambiare. Le signore camminavano sotto i portici e ci guardavano come animali rari, i signori con la coda dell’occhio nascondevano un senso di fastidio, i ragazzi non ci curavano.
Mi estranio ancora di piu’ e penso: come posso raccontare questa gente, quella che passava, se ho le categorie di noi che parliamo. Come faccio a spiegare che “tutto è politica” quando chi passa pensa che la politica è una malattia virale. Un virus come quello della febbre suina, o peggio una malattia alla Ebola.
Capisco quelli che parlano, capisco Michele Merlino e lui comprende me, e stavano lontani, le nostre parti si sparavano. C’è stata una incredibile guerra civile generazionale in quegli anni. La gente passa, non gli interessa di sogni, di futuro, di un mondo diverso da quello che c’era.
Forse se facciamo le battute su Noemi ci capiscono, ma i sogni…
Che racconto a chi mi sta davanti se sono vecchissimo, sono reduce di una generazione che non ha partecipato al gioco, si è autoesclusa.
Ma certo ci siamo scontrati sulle idee, ci siamo scontrati su modi di vivere. L’unico argomento di questa campagna elettorale è stata la virtu’ di Veronica Lario, gli incontri del presidente del Consiglio e pure le sue corna. Non mi piace, non mi diverto. Ciascuno a casa sua fa quel che crede, basta che ci sia consenso al gioco.
Per queste ragioni e per quella gente che passava indifferente credo che comincio ad avere poche cose da raccontare, di poter aiutare poco chi deve scegliere. Ho difficoltà a spiegare Fondi con la categoria di guardie e ladri. Noi, delle generazione della rivolta, istintivamente abbiamo difficoltà a stare dalla parte delle guardie, ma ora le categorie sono onesto-disonesto, una volta in poitica ci si divideva tra chi era per la libertà d’impresa e chi per la giustizia sociale. Capite perché chi fa il mio mestiere dovrebbe avere la scadenza come la mozzarella. Io non sono capace di raccontarvi di amori e di corna come Liala, non sono capace di scrivere romanzi come Mario Puzo con Il padrino.
A me piacciono ancora Machiavelli, Croce, Marx, Norberto Bobbio, Hannah Arendt. Mi sa che sono scaduto.

martedì 2 giugno 2009

Berlusconi e la giacca alla riversa

Lidano Grassucci


Una volta l’infamia peggiore era quella di essere cornuti. Se ti apostrofavano come tale, eri rovinato. A Roccagorga ancora fanno la festa dei cornuti e ogni volta ricordo quell’aneddoto del contadino che prima di uscire di casa chiede alla moglie: “Eh, Marie’… me tenca mette la giacca alla riversa?” (trad. “mia cara Maria debbo indossare la giacca alla rovescia?”). Perché se il cornuto faceva presente ai paesani di essere a conoscenza del tradimento della moglie, era esentato dalla messa alla berlina. La signora con garbo consigliò il marito, lei che conosceva la sua virtù: “ ’Nto’, pe’ sicuranza mignitella”. (trad. “io non sono fedifraga, ma tu per sicurezza (perché neanche io sono sempre sicura di me), indossala”)
Il consiglio evitò brutte figure al marito.
Ora Libero, il giornale di Vittorio Feltri per aiutare il presidente del consiglio, ci ha fatto sapere che la signora Berlusconi aveva una simpatia per una guardia del corpo. Spesso a voler servire troppo il padrone si fanno danni non voluti, si fanno fare figure un po’ barbine. Ci ha messo in mezzo anche un’altra signora, una tale Santanchè che, come tutte le comari la sanno sempre troppo lunga.
Non credo che il presidente leggerà questa mia, ma vorrei dargli qualche consiglio da paesanotto quale sono. Primo: dire a chi vuol servirlo di evitare di farlo con eccessivo zelo; secondo di invitare gli amici a non mettere in mezzo le comari, si finisce sempre con una guerra tra galline. E il terzo è quello di Marietta, pe’ qualche giorno usa le giacca alla rovescia così riesci a neutralizzare certi amici troppo amici e pure un po’ coglioni.

Sono europeo e non per denaro o fede

Lidano Grassucci


Mi chiedo sempre dove sta l’Europa? Sabato e domenica ci chiamano a scegliere chi ci rappresenta in Europa. Ma non ci dicono che cosa è questa Europa. Sento, di tanto in tanto, richiamare le radici giudaico-cristiane. Capisco ma i giudei vivevano in Palestina, che sta in Asia, e i seguaci di Cristo sono nati da quelle parti pure loro. Non credo che l’Europa sia una cosa di religione. Qui, in Europa, è nato un signore che “distingueva” la fede dal vivere insieme, il pregare dal governare, dal guidare le città. Altri dicono: l’Europa è un modo per far circolare meglio le merci, per diventare, tutti più ricchi. Pensano che l’Europa sia una banca e noi tanti piccoli banchieri. Sarebbe roba di soldi, sarebbe una questione di vil denaro. Ho dei problemi con i soldi, amministro i miei malissimo, e sono quasi sempre in bolletta, odio la partita doppia. I contabili mi paiono persone grigie, mi paiono poco avvezze alla fantasia, poco compatibili con una grande idea.
Allora che è questa Europa? Per me è il posto in cui è nata l’idea che ciascuno conta per uno. E’ il posto in cui ciascuno è tutto. In cui ciascuno ha diritto a vivere la sua vita.
In molti si innamorano delle piramidi, delle grandi civiltà d’oriente, della muraglia cinese, ma lì non conta l’uno ma il tutto. Qui, e solo qui, siamo per nome e cognome, qui siamo per ciò che possiamo fare. Qui abbiamo pensato che la res pubblica era l’insieme di “particolari”. Qui abbiamo pensato che la politica non doveva aver nulla a che spartire con le preghiere.
Qui abbiamo spiegato al mondo che gli uomini, tutti e ciascuno, nascono liberi, uguali e fratelli. Dice, è facile. No, è eccezionale: prima nascevi animale se non eri signore o chierico, se nascevi nel posto sbagliato non avevi l’anima. Eri figlio di re e re, figlio di servo e servo. Non era scontato: ancora oggi se nasci in India non sei eguale, se nasci donna dove comandano i preti non sei uguale, non puoi leggere, non puoi scrivere, non puoi amare. Ancora oggi se non preghi giusto sei infedele e non degno di vivere.
Per questo sabato e domenica vado a votare per l’Europa, non per i soldi, non per far pregare gli altri come prego io. Ma per dignità. Da italiano voto, perché tra noi che stiamo qua in questo continente non ci dobbiamo nascondere le differenze.
Vado a votare perché con questa storia di stare insieme da 60 anni evitiamo le guerre civili. A me poco non pare.

Sono europeo e non per denaro o fede

Lidano Grassucci


Mi chiedo sempre dove sta l’Europa? Sabato e domenica ci chiamano a scegliere chi ci rappresenta in Europa. Ma non ci dicono che cosa è questa Europa. Sento, di tanto in tanto, richiamare le radici giudaico-cristiane. Capisco ma i giudei vivevano in Palestina, che sta in Asia, e i seguaci di Cristo sono nati da quelle parti pure loro. Non credo che l’Europa sia una cosa di religione. Qui, in Europa, è nato un signore che “distingueva” la fede dal vivere insieme, il pregare dal governare, dal guidare le città. Altri dicono: l’Europa è un modo per far circolare meglio le merci, per diventare, tutti più ricchi. Pensano che l’Europa sia una banca e noi tanti piccoli banchieri. Sarebbe roba di soldi, sarebbe una questione di vil denaro. Ho dei problemi con i soldi, amministro i miei malissimo, e sono quasi sempre in bolletta, odio la partita doppia. I contabili mi paiono persone grigie, mi paiono poco avvezze alla fantasia, poco compatibili con una grande idea.
Allora che è questa Europa? Per me è il posto in cui è nata l’idea che ciascuno conta per uno. E’ il posto in cui ciascuno è tutto. In cui ciascuno ha diritto a vivere la sua vita.
In molti si innamorano delle piramidi, delle grandi civiltà d’oriente, della muraglia cinese, ma lì non conta l’uno ma il tutto. Qui, e solo qui, siamo per nome e cognome, qui siamo per ciò che possiamo fare. Qui abbiamo pensato che la res pubblica era l’insieme di “particolari”. Qui abbiamo pensato che la politica non doveva aver nulla a che spartire con le preghiere.
Qui abbiamo spiegato al mondo che gli uomini, tutti e ciascuno, nascono liberi, uguali e fratelli. Dice, è facile. No, è eccezionale: prima nascevi animale se non eri signore o chierico, se nascevi nel posto sbagliato non avevi l’anima. Eri figlio di re e re, figlio di servo e servo. Non era scontato: ancora oggi se nasci in India non sei eguale, se nasci donna dove comandano i preti non sei uguale, non puoi leggere, non puoi scrivere, non puoi amare. Ancora oggi se non preghi giusto sei infedele e non degno di vivere.
Per questo sabato e domenica vado a votare per l’Europa, non per i soldi, non per far pregare gli altri come prego io. Ma per dignità. Da italiano voto, perché tra noi che stiamo qua in questo continente non ci dobbiamo nascondere le differenze.
Vado a votare perché con questa storia di stare insieme da 60 anni evitiamo le guerre civili. A me poco non pare.

Domande assurde, inginocchiatoi e preghiere da seduti

tieffe


A proposito di domande assurde che i giornalisti sanno fare eravamo rimasti basiti all’epoca del terremoto in Puglia. Si era sollevata anche una polemica nazionale. Ma chi ha seguito Costume e società di ieri potrebbe ricredersi sul record. La rubrica che segue a ruota il tg delle 13 sul secondo canale Rai mandava in onda un servizio sui cambiamenti effettuati nella celebrazione della messa. Ora, che il Vaticano non sia uno Stato riformista lo si può dire senza timore di essere smentiti. Il giornalista, un pennellone il cui nome non rimane impresso per ovvi motivi, ha avvicinato una signora e le ha chiesto: «Lei sente la mancanza dell’inginocchiatoio?». Ora, le riflessioni che vengono in mente sono due. Innanzitutto si tratterebbe di capire cosa passa nella testa di uno che vuole fare questo mestiere per porre una domanda simile. Si può sentire la mancanza di una persona, si può avere nostalgia del passato e di quello che è stato se si vive una situazione peggiore, si può rimpiangere la giovinezza, avere rimpianti per ciò che ci si è lasciati sfuggire, o rimorsi per qualcosa che invece non ci si è lasciati sfuggire. Ma ditemi voi se si può sentire la mancanza di un inginocchiatoio. E poi: la cosa più innovati che la Chiesa cattolica ha fatto negli ultimi anni è spostare centinaia di migliaia di inginocchiatoi dalle chiese ai magazzini? Un po’ poco per essere nel terzo millennio. Su papa Ratzinger, si può impegnare un po’ di più. Chi scrive, per restare nel misero, è anche contenta che siano stati distrutti quegli inutili strumenti di tortura per vecchiette. Le anziane donne di chiesa, infatti, subendo retaggi del secolo scorso, in certi momenti della funzione religiosa, ritenevano necessario sfidare periartriti e sciatiche per una preghiera. Le più evolute restano in piedi con la testa abbassata. Basta, si può pregare anche da seduti lasciando i reumatismi a posto loro.

TV - Radicali, Saxa Rubra e lo sciopero della fame

tieffe
«Riparare al danno fatto nei confronti della lista Bonino-Pannella restituendo così agli italiani l'informazione negata da 45 giorni di costante ostracismo delle proposte e delle iniziative radicali». Con questa motivazione ieri pomeriggio Emma Bonino ha iniziato un’occupazione non violenta degli studi della Rai. Accompagnata da Marco Beltrandi, deputato radicale eletto nel Pd, membro della Vigilanza Rai, si è piazzata a Saxa Rubra per protestare contro l’iniqua suddivisione degli spazi elettorali che non seguirebbero la par condicio. Ora: se non avessimo avuto i radicali nell’Italia che soccombe alla Chiesa cattolica il presidente del consiglio Berlusconi non potrebbe divorziare da Veronica Lario. Anzi, non l’avrebbe nemmeno mai potuta sposare perché veniva da un precedente matrimonio fallito. E così vale per l’aborto. Chapeau, quindi, a un movimento ideologico che ha portato per mano l’Italia verso la civiltà che include le libertà fondamentali. Considerarlo un partito, però, proprio non viene facile. Perché nella loro storia si sono alleati a destra e sinistra a seconda della convenienza. Di più: radicale era anche Francesco Rutelli, che ora è diventato amico del Vaticano antiabortista. Radicale è stato anche fino a pochissimo tempo fa il portavoce del governo Berlusconi, l’irritante Capezzone. Quindi qualche peccato originale ce lo hanno pure loro. Ma quello che proprio ha rotto le scatole è lo sciopero della fame, della sete, della pipì, dello sbadiglio, dello starnuto e del colpo di tosse. Nel senso che mica ogni cosa la si può ottenere con il ricatto? Marco Pannella, il leader storico è anche anzianotto. La smetta di fare il barricadiero senza macchia. Si faccia un bicchiere di vino e dica le cose così come le vuole. Combattendo nelle piazze e fra la gente come faceva una volta quando riusciva a vincere. Alla Bonino consigliamo di abbandonare Saxa Rubra, di farsi una birretta e spendere gli ultimi giorni di campagna elettorale come si deve. Anche perché se tutti gli oscurati dovessero occupare Saxa Rubra non basterebbe nemmeno l’enorme parcheggio antistante.

Elezioni - Altobelli, un tecnico in provincia

Teresa Faticoni
Antonio Altobelli, detto Antonello, è nipote di uno degli uomini della bonifica dell’agro pontino. Da 43 anni vive a Sabaudia. È uomo pacato e consapevole. Si candida alla provincia nella lista Mpa – Riformismo e Libertà.
Perché un uomo come lei decide di buttarsi in politica?
«Io ero completamente insoddisfatto della situazione di Sabaudia. Da dieci anni a questa parte c’è stata una caduta verso il basso. Ho cominciato a parlare con i miei amici ragionando sulle condizioni della nostra città. Poi mi ha contattato Silvio D’Arco. Non sono tifoso di calcio, ma non mi piacciono quelle persone che guardando la partita si credono allenatori, per giudicare bisogna giocare».
Da qui l’impegno in prima persona. L’assessore provinciale alle attività produttive ha messo in campo una lista “sostanziosa”, chiusa già a marzo. Ma nella città del Parco non ci sono liste che concorrono al consiglio comunale. Perché il progetto voluto dallo stesso D’Arco in sinergia con l’Mpa di Fausto Faticoni ha un respiro più ampio, per il momento.
Altobelli ha una società di consulenza per industrie, ha poco lavoro qui in provincia?
«In effetti la mia attività si svolge soprattutto a Milano. Io ho intenzione di entrare in politica come tecnico, portando in provincia la mia competenza. Voglio offrire alla provincia un servizio per la parte tecnica: io credo che pubblico e privato vadano gestiti entrambe come aziende. Certo, il pubblico ha tempi ed esigenze diverse, ma sempre di azienda si deve trattare». Un’idea chiara di come i tecnici debbano affacciarsi alla politica: con obiettivi e strumenti che sono quelli di chi lavora puntando dritto al bersaglio. È ingegnere meccanico, con grande esperienza in materie di risparmio energetico. «Le logiche attuali a Sabaudia non sono condivisibili, ma la mia autonomia è un valore aggiunto per la mia candidatura».
Che senso ha, quindi, la sua candidatura?
«Se avrò consenso voglio tornare nella prossima consiliatura a Sabaudia e entrare con un gruppo, un movimento che sta nascendo che crei un legame saldo e diretto tra Comune e Provincia».
Un’idea, questa, che va avanti a prescindere dalle elezioni e dal risultato delle urne: il movimento apolitico che sta prendendo le mosse nasce dall’esigenza di cittadino prima che politico di tenersi aggiornati e informati su quello che succede nelle amministrazioni. Uno dei progetti è, infatti, la creazione di una bacheca che sia in piazza o tramite un giornalino, per rendicontare alla gente il programma operativo. Trasparenza su tutto, dunque, è il punto di partenza e di arrivo del movimento che si pone anche la priorità di cercare sponda nella prossima giunta comunale per la pubblicazione di budget e obiettivi.
Altobelli ha stilato anche un breve sunto del suo programma elettorale. Sì alla centrale biomasse per esempio è uno dei punti qualificanti.
«Non possiamo avere l’eolico, non possiamo sfruttare le maree: l’unico modo per avere energia elettrica nel nostro territorio è sfruttare fotovoltaico, biomasse e turbogas. Il discorso del nucleare non è più proponibile, perché in questo ambito abbiamo già dato».
Per quanto riguarda Sabaudia, che poi sarebbe il territorio di riferimento che Altobelli andrebbe a rappresentare in via Costa, la situazione dei rifiuti è critica.
«Eppure tutto parte da lì. Sabaudia non ha praticamente la raccolta differenziata dei rifiuti, siamo sotto l’11% con una drastica riduzione del budget. Ma senza rischiamo di perdere le Bandiere blu e le vele di Legambiente, con il rischio di perdere la più grande risorsa economica che è il turismo».
Un circolo vizioso dal quale come si può uscire?
«Vantaggi indotti, turismo, occupazione e decoro: tutto questo si può ottenere con un semplice sistema di differenziazione a scomparsa come già avviene in altre città del nord Italia, Genova per esempio. Si chiamano ecoisole e lasciano la città pulita e i cittadini soddisfatti».
E poi, piccoli esempi di vivere civile: nei posti di campagna dove i ragazzi aspettano nelle mattine buie d’inverno i mezzi che li portano negli istituti scolastici della provincia si può pensare di mettere dei lampioni a energia solare: con una spesa una tantum di 3mila euro si risolve una situazione critica e si evitano anche pericoli mortali.
Altobelli dall’8 giugno in consiglio provinciale. Quale sarà la sostanza del suo primo intervento?
«Chiederò la pubblicazione del budget annuo, del programma operativo almeno a tre mesi e dentro il programma anche l’elenco degli appalti in essere per un questione di legalità». Quando si dice avere idee chiare e obiettivi precisi.

Scontro elettorale tra Ponza e Campo nell'Elba.

Franco Schiano
Spunta la questione “ponzese” in occasione dello scontro elettorale in corso nel comune di Campo nell'Elba. L'orgine ponzese di molti abitanti della frazione di Marina di Campo è al centro della polemica politica tra le liste in competizione per conquistare la maggioranza nel comune di Campo.
La frazione di Marina di Campo conta più della metà dei 4.500 abitanti di tutto il Comune. Moltissimi di questi sono di chiara origine ponzese. Pescatori che la cui storia elbana comincia nei primi decenni del secolo scorso, quando alcuni di loro decisero di stabilirsi all'Elba, precisamente a Marina di Campo, dal mare pescoso e poco sfruttato. Dopo i primi insediamenti – la famiglia di Giuseppe Calisi fu una delle prime a stabilirsi a L'Elba negli anni '30 – la presenza dei pescatori ponzesi è aumentata gradualmente, con un forte incremento negli anni dell'immediato dopoguerra. Ma torniamo alla querelle elettorale che in questi giorni di vigilia elettorale è balzata agli onori della cronaca elbana . Scorrendo due delle tre liste in competizione(Alleanza per Campo, d'ispirazione Centro-sinistra e Lista Ragone ispirata all'UDC) troviamo nomi come Aprea, Calisi, Vitiello, Di Meglio, Mazzella ecc., di chiara origine ponzese, a riprova dell'ormai dell'ormai avvenuta integrazione della comunità d'origine ponzese con quella dell'isola d'Elba. Il problema “razzista” nasce invece nella terza lista “Per Segnini” (PdL) che si è vantata non avere tra i suoi candidati cittadini d'origine ponzese, ma solo ed esclusivamente campesi doc. Un'impostazione che chiaramente ha sollevato un vespaio di polemiche nel comune elbano. Insomma stabilire un discrimine per l'origine degli candidati – peraltro assai lontana nel tempo – non è stata per i sostenitori del candidato Segnini un'idea molto brillante e che probabilmente gli alienerà non solo i suffragi dei cittadini di origine ponzese, siciliana o campana, ma anche quelli della popolazione meno incline alla xenofoba. Appare un vero e proprio auto goal quello della lista capeggiata dal medico Segnini. A Marina di Campo è diventato l'argomento principe della campagna elettorale. A questo punto, quelli della lista “antiponzese”o dei “campesi doc” si rendono conto delle conseguenze nefaste che una tale scelta potrebbe avere sui risultati del voto e cercano di porvi rimedio. Non potendo fare marcia indietro, includendo nelle liste cognomi ponzesi, pensano d'invitare all'Elba il Sindaco di Ponza, Rosario Porzio, forse per testimoniare comunque la loro”vicinanza” ai cittadini d'origine ponzese. La visita di Porzio, probabilmente ignaro di tutto, secondo voci provenienti dall'isola toscana e non confermate dall'interessato, sarebbe prevista tra oggi e domani. Ma francamente, resta difficile pensare che il Sindaco di Ponza si rechi nel comune elbano per sostenere le ragioni di chi avrebbe discriminato i cittadini provenienti da Ponza, specie una volta venuto a conoscenza dei reali motivi a monte dell'invito.