mercoledì 24 giugno 2009

La maturità, i voti ordinati

Lidano Grassucci


Oggi inizia la maturità, una sorta di rito di iniziazione dei giovani alla vita. Ma è anche il momento in cui le famiglie pensano di “indossare” i loro figli e di trasformarli in termometro del loro successo. Siamo una società egoista e i genitori sono lì a indossare i figli e non a sostenerli. Arriverà anche quest’anno la lettera del preside del classico che se la prenderà con la degenerazione del valore scuola per l’insoddisfazione delle famiglie rispetto ai voti finali della maturità. Arriverà puntuale senza la domanda su «chi ha creato quelle aspettative». Ma questo è. Nessuno avrà la generosità di ricordarsi che la vita è di quei ragazzi e non dei genitori, che non contano i voti ma la capacità di confrontarsi con il mondo, di affrontare il mondo. I voti facili, predeterminati in funzioni delle aspettative di mamme è papà tanto apprensivi per il voto quanto spesso distratti. Lasciamoli provare, lasciamoli anche sbagliare, non valutiamoli in centesimi ma in capacità di relazionarsi, di rispettare se stessi e gli altri. Non è l’esame che cambia la loro considerazione nella famiglia, ma è lo strumento con cui si sono messi alla prova per il mondo. La più grande iattura della scuola italiana sono stati i genitori a cui è stato permesso di trasformare il luogo della formazione in una appendice del salotto di casa. Il tutto con insegnanti e presidi lanciati nel cercare il loro consenso, la formazione dei ragazzi era varia ed eventuale.
Fate la maturità fatela per mettervi alla prova non per portare a casa il voto che hanno “ordinato” mamma e papà come si fa con il salame al supermercato. Con il pizzicagnolo che si giustifica se qualcosa non va. Maturi perché capaci di giocarsi la partita per sé, non per conto terzi.
Ma il mio appello cadrà nel vuoto, e le famiglie faranno a gara all’indossare i figli come fossero l’ultima collezione Fendi.
Vengo da un mondo in cui la scuola era l’ascensore per non essere più ultimi, per essere alla pari. I nostri genitori non potevano “ordinare” i voti e quando parlavano con il maestro non omettevano mai il “sor”. “Sor mae’”, e i voti del maestro erano giusti, se erano buoni eravamo stati bravi noi, se erano brutti era colpa nostra. Si chiamava cultura della responsabilità, ora c’è l’ignoranza della pretesa. Lessi da ragazzo “Una scelta di vita” di Giorgio Amendola, uno dei più grandi uomini italiani, figlio di Giovanni, ministro liberale morto per le percosse dei fascisti, comunista riformista. Un grande italiano che era stato rimandato in matematica al liceo. La scuola gli aveva dato una grande cultura, ma non aveva mai ordinato il voto. E lui era Amendola.

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