sabato 31 ottobre 2009

I mandanti dei viados e le fregnacce


Lidano Grassucci

Il giornalismo era, una volta, fonti, loro verifica e descrizione dei fatti. Ora? E’ romanzo, è fantasia. Ricostruzioni tipo: se moltiplichi per un milione uno, ci aggiungi mezzo, ne segni uno e mezzo lo dividi per due e casa mia sta esattamente ad un punto rispetto ad Orione e, quindi, ci sbarcano i marziani. Ieri L’Unità (povero Antonio Gramsci che l’ha fondata per il riscatto del lavoro e se la ritrova al servizio della fregnaccia) ha dimostrato, con il metodo di cui sopra, che la questione di Marrazzo è pilotata dalla mafia di Fondi. Insomma se Marrazzo va con i trans è colpa dei finocchi del mercato di Fondi, della cattiva digestione dei carciofi di Sezze, e del sedano. Nel prossimo articolo ci spiegheranno che la crisi del ’29 fu causata dal nonno di Fazzone che passò per caso dalle parti di Wall Street e cambiò mezzo dollaro.
Se a Marrazzo piacciono o no i trans mi sa, compagni de L’Unità, che dipende proprio da lui e non ci sono scuse, che la mafia con le serate del presidente non ha nulla a che fare. Insomma ciascuno fa l’amore in proprio e almeno in quello non c’è mafia.
Alle manifestazioni per l’antimafia a Fondi andavano quelli della Giunta di Marrazzo, i partiti che sostenevano Marrazzo perché gli “altri” erano mafiosi. Ora L’Unità ci dice: “che il capo, il capo loro, era ricattato dalla mafia”.
Mi sento preso per il culo. Su Il Manifesto un tale Ruotolo di Annozero accusava me di essere in odor di mafia per via della mia posizione su Fondi e del fatto che avevo difeso i contadini normali rispetto alla propaganda di vini prodotti da aziende che hanno avuto i terreni dallo Stato confiscati a mafiosi. Avevo sostenuto che dopo aver avuto la terra gratis dovevano, i vini antimafi, competere nel mercato come i vini altrettanto onesti dei contadini. Apriti cielo, sono diventato cugino di Toto Rijna, sodale di Al Capone. Naturalmente essendo contadino e pure di famiglia comunista questi attacchi da borghesi mi fanno un baffo. Ma adesso che scopro che Marrazzo era ricattato dalla mafia per via dei suoi piaceri, mi metto a ridere. Ma come la mafia era Fondi e invece veniva servita a Roma. Non ho mai letto di rilievi al capo Marrazzo.
L’unica verità? Siamo davanti a montature, a sociologia, a fantasie da romanzo.
Marrazzo a trans ci andava da solo. Nella Costutuzione i padri di questa nazione hanno scritto: “la responsabilità penale è individuale”. Hanno scritto che ciascuno risponde delle cose che fa per se stesso. Nessuno da Fondi, da Canicattì, da Napoli o da Venezia andava dietro al presidente del Lazio nelle sue notti di gaudio. Mi dispiace ma siamo davanti a casi suoi, e basta.
La mia idea? Che a Fondi c’è tanta mafia quanta a Roma, che i giornalisti somari ce ne sono a Roma tanti quanti a Latina, anzi un po’ di piu’ perché Roma è piu’ grossa.

venerdì 30 ottobre 2009

ABBOTT - I numeri si riducono: arriva il job posting

Teresa Faticoni
Passa per il job posting il futuro della Abbott. Un modo per favorire, attraverso la mobilità interaziendale, il processo di gestione degli esuberi. Ieri in Confindustria si è tenuta l’ennesima riunione per capire come muoversi rispetto alla necessità del colosso farmaceutico di ridurre di 200 persone il personale tra gli informatori scientifici del farmaco, in particolare nella linea primary care. Quella degli informatori che hanno a che fare con i medici di famiglia. In quel vertice in via Montesanto è stato annunciato che una trentina di persone potrebbero essere ricollocate in altre linee degli informatori, previa disponibilità naturalmente degli stessi lavoratori. Si liberano in questi giorni anche 26 posizioni di contratti a tempi determinato che verranno rioccupate da quelli che all’inizio dovevano andare in mobilità. Per l’accesso agli ammortizzatori sociali, secondo i dettami della legge, si procederà con i pensionamenti, ma su questo punto l’Abbott deve ancora fare una verifica dei numeri, e dei volontari. Per le organizzazioni sindacali in associazione industriali c’erano Dario D’Arcangelis della Filcem Cgil, Roberto Cecere della Femca Cisl e Luigi Cavallo della Uilcem Uil. Alla trattativa, ma su tavoli separati, partecipa anche l’Ugl che ieri era presente con il segretario dei chimici Armando Valiani. Una sorta di apertura è stata registrata dalle parti sociali rispetto all’atteggiamento dell’azienda che ha abbassato le barriere opposte in un primo momento. L’unico punto sul quale si deve ancora trattare è la parte economica, ma l’Abbott ha già annunciato attribuzioni patrimoniali dignitose. Anche coloro che non si opporranno alla messa in mobilità avranno un importante incentivo economico. In sostanza più volontari si trovano e meglio è. Intanto ieri si è chiuso il tutto con un mancato accordo. Perchè sono scaduti i termini per la trattativa sindacale territoriale. Ora tutto dovrebbe spostarsi in Regione. Ma le parti hanno deciso di rivedrsi ancora in Confindustria a Latina l’11 novemrbe in ragione dello spazio di trattativa su cui ancora si può lavorare molto. Intanto nella settimana successiva sono state organizzate in tutta Italia le assemblee. È bene ricordare, infatti, che gli informatori scientifici del farmaco coinvolti dalla procedura di mobilità sono impiegati su tutto il territorio nazionale, ma sono iscritti a libro paga nel sito di Campoverde.



Formia - Gaeta: la dorsale delle discariche a costo zero




di Raffaele Vallefuoco
30 Ottobre 2009

Un vero e proprio cimitero di pneumatici. O una discarica a cielo aperto nel quale vengono smaltiti impunemente materiali di vario genere. Presidi di illegalità perfettamente camuffati. E' quanto si registra lungo la dorsale Formia - Gaeta dove diversi punti delle città vengono trasformati in siti di smaltimento. Almeno due quelli individuati e che non saltano immediatamente agli occhi. Ciò che ad un primo sguardo può sembrare l'incuria del tempo che distrugge, al quale non segue una opportuna sistemazione dell'arredo urbano, si rivela, invece, un rapido sistema di smaltimento perpetrato da ignoti. In particolare, volendo partire da Gaeta, percorrendo la Flacca si trova uno dei siti in questione. A pochi passi dall'ingresso della Pozzi Ginori, sul marciapiede lato mare, la balaustra in muratura con passanti di alluminio, che divide la carreggiata dall’esterno della sede viaria, è stata divelta. Nessuna protezione separa dal vuoto, che,  però, a sorpresa si rivela essere un canale. Adagiati su uno strato di canne e vegetazioni troviamo copertoni da Tir,  bottiglie di plastica e cartoni. Una mini discarica offuscata dalla folta vegetazione che insiste sulla zona. Inoltre il sito in questione è poco percorso. Una strada, si principale, ma attraversata solo in automobile. Ripartiamo alla volta di Formia. Passando per la Formia - Sparanise incontriamo un altro caso di discarica mordi e fuggi. Nell’era dei fast food abbiamo le fast discariche. Ad essere interessato l’Arsial di Formia, ormai abbandonata da mesi dopo i tagli denunciati. La struttura si è trasformata in una vera discarica. Anche in questo caso, lungo la muratura di recinzione è stato perpetrata un’apertura che permette di scaricare all’interno   materiale di ogni genere: sacche di gesso, tubi e immondizia di vario tipo. Ma questi sono solo due siti individuati, adibiti illegalmente a discariche. Chissà quanti altri posti restano occultati, ma ugualmente utili a smaltire a costo zero. 

giovedì 29 ottobre 2009

Nucleare, quando la verità fa male...


Alessia Tomasini


Caro Sergio, le rispondo in pubblico come pubblicamente ho sempre espresso le mie opinioni e difeso (anche se non è questo il caso) il mio lavoro. Il tutto, differentemente da quanto fa qualcuno, senza denigrare quello degli altri e senza cassare le persone solo perchè non hanno la mia stessa opinione. Tacciare questo quotidiano e chi ci scrive di faciloneria e pressappochismo è lecito (per quanto inaccettabile perchè significa non cogliere il lavoro che le persone qui effettuano, il loro impegno e la loro professionalità...ma questo è un altro discorso). Lei non accetta che la visione data sia diversa dalla sua. Sono favorevole al nucleare e non ho mai chiesto a nessuno di combattere battaglie al mio posto. Se condivido, o non condivido qualcosa, sono in prima fila a dimostrarlo quindi stia tranquillo che non avrà il peso del mio futuro sulle spalle. Sono felice della soddisfazione che il ringraziamento di Legambiente vi ha rivolto ma resto della mio opinione con la stessa fermezza con cui accetto ed ascolto la sua: la manifestazione è stata un flop. Lei parla di verità ed è quella che abbiamo raccontato. Tra l’altro il suo intervento integrale è stato pubblicato un paio di giorni prima della manifestazione. Se vuole che le dica che sono in accordo con lei per farla felice, glielo dico: “E’ stato un successo”. Per quanto riguarda la preparazione, non sono un tecnico e non pretendo di esserlo, ma sul nucleare sono pronta a qualsiasi confronto in ogni momento anche con quattro gatti. Sempre con stima la saluto.

Gaeta, primarie PD: la vendetta


Franco Schiano
A Gaeta, come in tutta la provincia, le primarie del PD le ha vinte Bersani. Il neo segretario ha raccolto 1008 voti contro i 540 di Franceschini e i 150 di Marino. Il cosi detto popolo delle primarie ha  invertito – quasi con le stesse proporzioni di 2 a 1 -  il risultato del congresso degli iscritti in cui invece prevalse la mozione Franceschini con 245 consensi contro i 114 di quelle di Bersani e i 3 della mozione Marino. Tradotto in  termini locali: Gli ex DS di Di Maggio & C, insieme ai Progressisti di Raimondi si sono “vendicati” della sconfitta subita a settembre ad opera dell'ex Margheritina Pina Rosato. Una faida infinita, dove una volta vince una parte una volta l'altra.  Si potrebbe disquisire se vale di più il voto pesante ma “inquinato” delle primarie o quello più leggero ma “pulito” degli iscritti, visto che questi ultimi poi determineranno il direttivo e quindi l'indirizzo politico del circolo. Ma sono valutazioni che lasciamo agli addetti ai lavori all'interno del PD, anche perchè in questo campo è assai facile opinare. Non si dovrebbe però dimenticare che l'ultima elezione a cui si sono presentati con i loro vecchi simboli, DS e Margherita, praticamente presero gli stessi voti.

La verità quindi, è che siamo davanti  una situazione di sostanziale equilibrio. Due forze contrapposte sostanzialmente pari che finiscono per annullarsi a vicenda. Il risultato è quello di immobilizzare il partito che  da quando è nato non ha ancora fatto sapere come la pensa quasi su nulla. Finora tutte le energie intellettive – che non sono poche – sono state impiegate per sopraffare gli avversari interni. Il risultato è davanti agli occhi di tutti. Nulla o poco è stato messo in campo sul piano programmatico, politico e amministrativo. Sarebbe questo il momento di mettere un punto e trovare il modo per remare tutti nella stessa direzione.

Ormai l'amministrazione Raimondi si avvicina al giro di boa di metà consiliatura. Se il PD vuole legittimamente aspirare ad essere alternativo – insieme a Raimondi – al Centro-Destra non può illudersi di farlo continuando ad essere diviso su tutto. Non dando alla maggioranza di Raimondi tutto il supporto  e la spinta propulsiva di cui abbisogna. I numeri ridotti di questa maggioranza non consentono grandi voli, ma solo navigazione costiera a vista. E' evidente che occorre poter contare su una maggioranza ampia,  che partendo da tutto il PD,  punti anche al centro. Diversamente non c'è trippa per i gatti in una città come Gaeta, dove il centro sinistra non ha i numeri per vincere da solo. Insomma obbligati a trovare un accordo.

Al contrario, in città si respira un'aria pesante da regolamento di conti, come traspare chiaramente da alcune dichiarazioni di esponenti della mozione Bersani nonchè dal comunicato del Movimento Progressista di Raimondi che addirittura arriva a mettere in dubbio “l'appartenenza morale al PD” della Rosato. Dichiarazioni che certo non contribuiscono alla distensione dei rapporti interni. Anzi  alzano ulteriori steccati .Tutto questo finirà per fare il gioco di chi ha interesse a tenere in piedi questa situazione per poter, al momento opportuno, ergersi come unico salvatore della patria.









Un monumento nell’Italia vuota



Lidano Grassucci



A Sezze, il mio paese, ieri mattina hanno inaugurato un monumento. Monumento alla pace. Sta dentro una rotatoria e le macchine ci girano intorno. La speaker della cerimonia di apertura ha premesso: “sono 150 anni che non si inaugura un monumento a Sezze”. Non era proprio così, a Sezze c’è il parco pubblico che chiamavamo “monumento” che ha al centro la statua in ricordo dei caduti. Il soldato bacia la bandiera come in certe cartoline baciava l’amata. Sono simboli, la vita è fatta di simboli.
 Il monumento inaugurato ieri è un’ala in travertino alta 4 metri e oltre dello scultore De Conciliis. I bimbi delle scuole con le bandiere, l’inno d’Europa e quello italiano. Venivano in fila ordinata dalla scuola. La stessa scuola che ho frequentato io. A noi, ci portavano il 4 novembre al monumento per l’anniversario della vittoria. E’ tutto cambiato, sono cambiati i volti le parole, la gente. Ero piccolo ed erano i primi vagiti del ’68 che da noi si esprimevano anche con sberleffi al soldato, all’idea di Patria che c’era dietro. Mia nonna prendeva d’acido davanti a questa lesa maestà. Lei non aveva la fede nuziale per via di quella scelta di dare l’oro alla Patria. Non lo avevano fatto in molte. Il fascismo era ipocrita come è ipocrita da sempre l’italietta codina, vile che sta sempre con chi vince e mai con chi perde. Lei, mi ha insegnato, che bisogna essere seri, che non si bara con la vita. E’ un’altra Italia, quella seria, rigorosa che tiene ai valori ed ai simboli. Dico questo perché in questi giorni vedo rinascere quell’ipocrisia che fa male: Rutelli, Ciarrapico, Marrazzo che va in convento, i consiglieri regionali di centrodestra che fanno finta di volersi dimettere. Un teatrino di ipocrisie. I monumenti sono di pietra, sono di bronzo. Segnano il tempo. Torno di rado nel posto dove sono nato ed ogni volta è un po’ diverso, un po’ meno mio, ma quel monumento con il soldato che bacia la bandiera sta lì, lo ritrovo e mi fa ritrovare. Era un soldato, forse neanche un eroe ma sta lì  testimoniare un filo di continuità di gente seria. Il monumento alla pace sarà lì, e tra qualche decennio uno di quei bambini con la bandiera magari scriverà che ritrova il suo paese in quel segno, in quella ala. Magari tra breve, alla prossima rivolta giovanile rideranno di questa pace e magari un nonno, o una nonna, spiegherà che la pace è una cosa seria. Un ciclo.
Enrico Letta dice che la nuova Italia dovrebbe ardire a fare nuove cattedrali. Meglio la via di Titta Giorgi fare monumenti… restano.





TERRACINA - Restyling per viale Circe


Rita Alla
“La politica come idee”, questo è quello in cui crede l'assessore Ferrari: Ed è quello che lo ha spinto, appena assunta la carica di assessore ai Lavori Pubblici, a lanciare il concorso di idee, vinto dalla Deon studio di Roma, per la riqualificazione del Lungomare di Terracina. Un progetto in due tempi e in due interventi: riqualificazione di Viale Circe con pavimentazione in travertino del piazzale Lido e realizzazione di una pista ciclabile da via Mayrhofen a via Sicilia. Si partirà con il Lungomare, un progetto di riqualificazione che costerà all'incirca 800.000 mila euro, il 90% la Regione Lazio e il 10% il Comune di Terracina grazie ad un mutuo con la cassa depositi e prestiti. Un intervento che prevederà la pavimentazione in travertino del Piazzale Lido, zona pedonale, e di un tratto di viale della Vittoria fino all'incrocio tra Viale Europa e via Manzoni, semi pedonale, la realizzazione di aree dove i bambini avranno la possibilità di giocare senza pericolo, nuove sedute, nuovo impianto di illuminazione, nuovi accessi al mare in relazione agli arenili comunali e doppi, tramite rampe di scale e discese. E in particolare nuove sedute a gradoni con la visuale del mare, uno dei punti di forza della città da valorizzare adeguatamente. La ditta , sulle 174 partecipanti all'appalto, avrà 245 giorni di tempo inderogabili per consegnare l'opera. L'inizio lavori è previsto per la prossima stagione. Per il secondo tempo, la pista ciclabile, bisognerà aspettare, perché “ senza musica (soldi) non si dice messa”. “Un passo alla volta – continua l'assessore- cercando di capire che per mettere in risalto la nostra città occorre fare gioco di squadra, perché i solisti, seppur bravi, non vanno molto lontano”

Gaeta ore sette: Fermi occupato

di Raffaele Vallefuoco
29 Ottobre 2009

La querelle Fermi di Gaeta non va archiviata neanche dopo la delibera del Consiglio con la quale il Comune di Gaeta provvederà a ripristinare la succursale di via Veneto entro 4 settimane. Ieri mattina infatti un ristretto gruppo di studenti, adducendo come motivazione la sfiducia verso le istituzioni, incapaci di ottemperare a quanto promesso, hanno deciso di occupare l’Istituto. Alle 7, infatti, all’apertura il gruppo ha «cacciato» dall’Istituto il personale non docente, chiudendo con una catena l’ingresso. Sono dovuti intervenire i vigili del fuoco del distaccamento di Gaeta, allertati dagli agenti del locale commissariato e dai colleghi dell’Arma per permettere l’ingresso. Ora rischiano una denuncia per interruzione di pubblico servizio. 

Influenza suina a Formia: altro caso

di Raffaele Vallefuoco
29 Ottobre 2009

Nuovo caso di H1n1 a Formia. Ad ammalarsi un giovane studente del primo liceo dell'Istituto classico Vitruvio Pollione. Il sedicenne martedì aveva cominciato a sentire i primi sintomi dell'influenza. Quindi è stato interessato il medico di base, presso il quale il giovane studente è accreditato. Dopo la visita il dottore ha confermato l'iniziale paura. La diagnosi è chiara: trattasi di H1n1. Ieri mattina la notizia è rimbalzata nelle aule del liceo classico, ma la presidenza non ha ritenuto di adottare nessuna misura. Per il momento è l'unico caso segnalato, ma resta comunque il timore di una pandemia, anche se, ripetono ormai a cantilena i medici «è una banale influenza». Intanto è convocato per sabato mattina un briefing presso il Comune di Formia, nel corso del quale, alla presenza del sindaco Michele Forte e dell'assessore alla cultura, con delega alla sanità, Amato La Mura, saranno illustrate le precauzioni, i rischi e le misure da adottare per fronteggiare l'influenza. Tuttavia la posizione dell'assessore alla sanità è già nota. Nelle passate settimane Amato La Mura ha smorzato gli allarmismi che si era creati alla notizia del primo caso di H1n1 a Formia, derubricandola a semplice influenza e minimizzando l’allarme. Del resto che l'influenza A fosse stata sopravvalutata s'è capito quando dal ministero della sanità hanno affidato la campagna di prevenzione a Topo Giggio, il quale, nello spot mandato in onda a martello, spiega: «Lavarsi spesso le mani; coprirsi bocca e naso se si starnutisce o si tossisce; se non si hanno le mani pulite meglio non toccarsi naso e bocca; ricordarsi di aprire le finestre per cambiare l'aria; se si hanno febbre, difficoltà respiratorie, raffreddore o tosse meglio restare a casa e chiamare il proprio medico». Tuttavia non mancano polemiche proprio su quest'ultimo consiglio. Replicano dal mondo della scuola: «Per prevenire una pandemia si consiglia ai professori di restare a casa. E’ davvero difficile che si assentino, dato che entro i primi 10 giorni di defezione subiscono un taglio fino a trenta/quaranta euro, a fronte di uno uno stipendio già abbondantemente magro» polemizzano. Con buona pace di Brunetta.

lunedì 26 ottobre 2009

LATINA - Ecosistema urbano, ancora in basso

Elena Ganelli
Non si può davvero dire che il Lazio viva una situazione di sostenibilità ambientale rassicurante e Latina non fa eccezione. E non consola avere guadagnato quattro posizioni rispetto allo scorso anno se comunque il capoluogo pontino è al 91esimo posto.
A fotografare l’impietosa situazione la classifica annuale realizzata da Legambiente e dall’Istituto di ricerche Ambiente Italia in collaborazione con il Sole 24Ore sull’ecosistema urbano, classifica  che valuta la situazione dei 103 capoluoghi di provincia sulla base di 125 parametri che rappresentano indicatori di qualità della vita com la viabilità, i rifiuti, i consumi idrici, la depurazione delle acque, i consumi energetici, il sistema del trasporto pubblico, il verde. Insomma tutto ciò che costruisce la qualità della vita di una città.
Per quanto riguarda il traffico, continua ad essere il vero problema per l’intera regione e per il capoluogo pontino che si è collocato al 101esimo posto: continua dunque ad aumentare l’utilizzo da parte dei cittadini del mezzo privato mentre versa in situazione drammatcia il trasporto pubblico. A questo si aggiunge la carenza di zone a traffico limitato, isole pedonali e piste ciclabili. Qualche lieve miglioramento c’è stato sul fronte della produzione dei rifiuti, scesa a 595 chili pro capite, che resta pur sempre un dato pesante. Male la raccolta differenziata  il cui incremento è stato di gran lunga inferiore a quello di altre città: si è passati dal 22,9% al 29,7%.
Nel complesso Latina, come rileva il rapporto di Legambiente, sale di qualche posizione la classifica passando dal 95esimo al 91esimo posto ma mostra un indicatore di mobilità sostenibile molto basso: esageratamente alto il numero di auto circolanti, 73 ogni cento abitanti  mentre non non si riscontra alcuna novità positiva sul fronte del trasporto pubblico anche se scende lievemente il valore delle polveri sottili. Sul fronte della raccolta differenziata il capoluogo pontino ha un valore che resta lontano dalle indicazioni di legge e restano alte le perdite della rete idrica, passate dal 61% al 55% e negativo il dato sulla depurazione.
Legambiente sottolinea inoltre come siano ancora elevati i dati sul consumo elettrico pro capite mentre sono fermi al palo i sistemi di solare termico e fotovoltaico. Sul fronte delle politiche energetiche, comunque, il capoluogo pontino si piazza al 32esimo posto. Mentre resta ancora indietro sulla raccolta differenziata.
«Nella nostra regione - ha sottolineato la direttrice di Legambiente Lazio Cristina Avenali - occorre una netta inversione di tendenza in tema di qualità ambientale. Bisogna cambiare rotta e prendere decisioni concrete verso la sostenibilità ambientale delle nostre città».  

Consiglio contraddittorio e la beffa della "Terracina"

Teresa Faticoni
Che a Terracina si fosse all’ultima spiaggia, in termini di amministrazione, è chiaro da tempo. Ma convocare un consiglio comunale in seduta straordinaria con due soli punti all’ordine del giorno contraddittori tra loro appare una cosa ridicola. Certo, per legge la richiesta dell’opposizione di revocare la delibera di istituzione dell’Azienda speciale che si chiama “Terracina” deve essere calendarizzata. Ma appare una beffa al buon senso e un insulto all’intelligenza dei cittadini mettere come secondo argomento di discussione «Avvio procedure finalizzate all’organizzazione giuridica e gestionale dell’Azienda Speciale “Terracina”». La pantomima democratica andrà in scena venerdì 30 alle 18 e 30. Anche l’anagrafica appare buffa: perchè chiamare Terracina l’azienda dei servizi sociali? Per far confusione, ça va sans dire. Per la serie quando la fantasia non sta al potere. (tieffe)





Terracina ambiente, un nuovo inizio

Rita Alla
La costituzione della Terracina ambiente, società con capitale pubblico – privato con il compito di gestire la raccolta e lo smaltimento di rifiuti solidi e urbani della città fu definita «un atto importante perché finalmente l'amministrazione comunale e di conseguenza la città avrebbe avuto una società strategica in grado di lavorare nell'esclusivo interesse dei cittadini, in un settore, poi, oltremodo fondamentale anche per l'immagine turistica di Terracina». Da allora, 6 dicembre 2006, le cose non sono proprio andate bene per la società e per i cittadini. Su questo argomento anche una assemblea cittadina. Una convocazione “al buio” che ha fatto insorgere i capogruppo del Pd, Antonio Bernardi, e dei Verdi, Gino Di Mauro per la mancanza del tempo necessario per leggere la proposta della giunta e per approfondire la documentazione. Eppure qualcosa si muove. Innanzitutto il cambio della tassa (Tarsu) in tariffa (Tia), un passaggio che comporterà un diverso calcolo del consumo dei rifiuti, in base ai consumi effettivi, mentre in precedenza il calcolo avveniva in base a percentuali fisse e ai metri quadri dell'abitazione e il cambio del soggetto preposto ad incassare i soldi dei contribuenti sarà la stessa Terracina ambiente e non più il Comune. Un consiglio anticipato dall'incontro che il sindaco ha avuto , ieri, con utenti e alla presenza dei sindacati in cui ha annunciato l'avvio della raccolta differenziata. «Una raccolta differenziata che partirà il 1 gennaio, anche se solo in alcune aree periferiche, ma che comunque copriranno il 50% circa e che avrà come base delle normative tecniche inprenscindibili, non come il passato». Oltre alla presentazione del passaggio da Tarsu a Tia, alla presentazione del piano che l'ufficio tecnico ha definito “soddisfacente”, Il sindacato è riuscito a strappare l'impegno del sindaco sulla questione dei 13 operai licenziati. Operai che verranno assunti per due mesi a progetto, in attesa di essere assunti a tempo indeterminato dal 1 gennaio. «Un atto di giustizia, più che una stabilizzazione», l'ha definita il sindacalista della Cgil, Giulio Morgia. Non ci resta che aspettare e vedere se cambierà qualcosa anche per le tasche dei cittadini che fino oggi hanno pagato per un non servizio, ritrovandosi una città sporca, con l'immondizia per le strade e turisti in fuga verso lidi migliori.

domenica 25 ottobre 2009

A Formia il fronte anti - alienazione

Lunedì 26 Ottobre 2009
di Raffaele Vallefuoco

L'alienazione dell’ex Colonia Di Donato e del Seven Up divide Formia. Due fronti accerchiano l'amministrazione che ne ipotizza la vendita. Da una parte i cittadini di Sant'Erasmo e di Gianola che hanno costituito due distinti comitati, dall'altra quelli del Pd che stanno raccogliendo le firme per un referendum cittadino. «La vendita dell'ex colonia Di Donato è uno sfregio ai formiani - affermano in un documento gli esponenti del partito - e in particolare per quelli di Castellone. Quella del Seven Up condanna Formia, e in particolare Gianola, a privarsi di una grande opportunità per lo sviluppo della convegnistica e del turismo. Entrambe le vendite devono essere evitate - pontificano dal Pd -. C'è una sproporzione tra il valore e la potenzialità dei beni che si vorrebbero alienare e quello che poi si andrà a realizzare con i fondi ricavati». Non solo. «Ma c'è anche un'altra grave incongruenza tra le possibilità di introito di risorse per le casse comunali, che sono tante, - precisano - e la decisione di vendere parte del patrimonio comunale. Le potenzialità di entrate sono legate a tutti quei progetti che l'attuale amministrazione ha praticamente paralizzato» continuano dal Pd, rispolverando il leitmotiv della sclerotizzazione della città. «Non c'è solo la riconversione delle aree industriali dismesse ma anche la partita dei Prusst per i quali, ogni anno, i cittadini pagano una polizza fideiussaria a garanzia della volontà dell'intervento». Una riflessione a 360 che ha determinato la raccolta di firme per la consultazione popolare, come prevede l'articolo 21 dello statuto comunale proprio in tema di alienazione dei beni comunali. Ma a dare forza a questa scelta concorre anche il documento che accompagna la petizione a cui stanno aderendo i residenti di Castellone. «Vuole firmare per evitare la vendita della colonia Di Donato?» mi chiede un giovane fruttivendolo vedendomi avvicinare alla vetrina del suo negozio. Attaccato c'è proprio il testo con il quale si esprime «il più fermo dissenso per tale decisione» leggo. Una disamina dettagliata in più punti. Scongiurare la vendita perché: «La colonia Di Donato rappresenta, da molti secoli, la testimonianza della presenza a Formia dei monaci Olivetani, custodi della Chiesa e del corpo di Sant'Erasmo, patrono della città». La struttura  «e il suo terreno annesso rappresentano l'unico grande spazio pubblico dell'intero quartiere che se ne vedrebbe, in caso di vendita, irrimediabilmente, privato». Inoltre «la colonia Di Donato può essere utilizzata per qualsiasi attività di natura culturale, sociale e ricreativa, non solo per il quartiere», spiegano, «ma anche per l'intera città di Formia, così come già previsto dalla precedete amministrazione». Mi interrompe il giovane negoziante: «Vuole firmare, siamo già in trecento?» Ma prima di rispondere continuo a leggere il documento: «Riteniamo pertanto una scelta sbagliata e mortificante per il quartiere e per la città la decisione di alienare e invitiamo a proseguire invece nel progetto del suo recupero integrale, convinti che la sua valorizzazione sia il più grande investimento della città di Formia». Passando per la struttura si vede uno striscione che pende all’entrata. E' firmato con una falce e martello: «La colonia Di Donato come Acqualatiana» accusano. Altro capitolo merita l'ex Seven Up. Anche questa struttura abbondonata è al centro di una petizione popolare. Anche Gianola si sta mobilitando. L’ex discoteca era stata acquistata all'asta dal Comune di Formia. Venderla adesso sarebbe un rischio. Le criminalità organizzate sono in possesso di un credito illimitato, i privati no. La crisi li ha spiazzati. «E' molto strano che un Comune che riceve dallo Stato diversi beni confiscati alla camorra, adesso si voglia disfare dell'unica strutture che è riuscito autonomamente a strappare alle criminalità organizzate» commenta icasticamente Sandro Bartolomeo, capogruppo consiliare del Pd di Formia. 

SABAUDIA, rifiuti tra incura e colpevoli disattenzioni



I cassonetti in pieno centro di Sabaudia, così come apparivano già nella mattinata di domenica 25 ottobre. Una discarica da mostrare ai turisti, che nessuna delle tante forze dell'ordine presenti sul territorio ha saputo impedire o indagare per risalire all'autore. Ma questo è uno dei tanti..., c'è stato anche di peggio. Però Sabaudia, c'ha i Vip (e chi se ne frega di loro)!

TERRACINA - Porto, una questione di sicurezza


Rita Alla
La “messa in sicurezza dell'area portuale” e cioè l'escavo del canale e la rimozione della barra sabbiosa è sì una questione che arreca un danno economico agli operatori del settore, ma è soprattutto una questione di sicurezza. Perché mentre si discute, “oltre il capitale, si rischia la vita”. “Occorre tornare a fare i lavori perché l'intervento tampone di pochi mesi fa non ha risolto il problema. La situazione è insostenibile. Il canale piccolo, insabbiato ( 30 anni che non si scava), quindi poco navigabile, e la presenza della barra sabbiosa all'imboccatura del Porto di Terracina che limita la manovra delle unità in transito, rendono difficoltosa l'entrata e l'uscita dei pescherecci con pescaggio massimo di metri 2,50 ( la maggior parte della flotta peschereccia ha un pescaggio di metri 2,90). Occorre rientrare in porto a bassa velocità camminando per 300 metri con mare di fianco, 3 o 4 colpi di mare e la poppa va in mezzo all'acqua e la barca è ingovernabile. Fino ad ora non è successo nulla, se non che il mare si “ è rubato” il pescaggio (episodio accaduto all'incirca dieci giorni). E se invece si dovesse fermare il motore... non resterebbe che salvarsi buttandosi in acqua, visto l'impossibilità di aumentare la velocità. E allora preferiamo perdere la giornata di lavoro”. Questo lo sfogo di alcuni pescatori, raccolto dopo il “maltempo” dei giorni scorsi. Senza dimenticare il libeccio che fa cambiare il mare repentinamente e non da il tempo alle imbarcazioni di rientrare. “Gaeta esce e Terracina in porto”, l'amara conclusione dei pescatori. Dopo la rabbia, il sentimento di oggi è la paura. “Ci chiedono la sicurezza sulla barca ( anche due mesi per il collaudo) e poi perché non ce la danno ?” Fate presto perché di “lavoro si muore”.
“Gli incidenti sul lavoro sono un fenomeno inquietante e inaccettabile per una società che voglia dirsi civile”, Giorgio Napolitano 59 Giornata Nazionale Vittime del Lavoro.

GIAL, adesso parla D'Arco


tieffe
Sulla vicenda Gial è arrivato il momento di Silvio D’Arco. L’assessore alle crisi industriali della Provincia di Latina spiega i passaggi compiuti per addivenire a una soluzione dopo la dichiarazione dell’azienda di ridurre l’attività cancellando il reparto di produzione della frutta candita. «Una delle prime iniziative dalla mia nomina è stata quella di riconvocare il tavolo permanente sulle crisi industriali che vede coinvolte organizzazioni sindacali e associazioni di categoria per programmare insieme modalità e tempi di intervento», dichiara D’Arco. In quella occasione l’assessore aveva sottolineato come, pur non avendo l’ente di via Costa competenze dirette in materia, lui stesso avrebbe «garantito una presenza costante e la messa in campo di tutti gli strumenti adeguati a sostenere e difendere il nostro sistema industriale e produttivo». Poi è arrivata la vertenza Gial che secondo l’assessore dà prova «di come l’assessorato possa intervenire con un ruolo di coordinamento e indirizzo prettamente istituzionale nelle crisi aziendali». La concertazione che si sta portando avanti su più tavoli è stata molto sostenuta dalla provincia che richiede però una maggiore chiarezza da parte dell’imprenditore che in un primo momento aveva dichiarato la cessazione totale delle attività. «L’azienda non chiuderà e non dismetterà la lavorazione di marron glacèes – assicura Silvio D’Arco -. I dipendenti e i lavoratori stagionali non perderanno il loro posto, ma subiranno alcuni mesi di cassa integrazione. Tutto ciò in attesa della presentazione di un piano industriale con risorse proprie per il rilancio dell’azienda entro la fine dell’anno». «Da parte nostra, come Provincia, ci siamo impegnati a trasferire la questione in altri appositi tavoli volti al rilancio dell’intera filiera produttiva di settore» chiude l’assessore che non perde occasione per aprire una polemica con l’opposizione di centrosinistra. L’unica presente a fianco dei lavoratori nei giorni delle proteste.



sabato 24 ottobre 2009

Provincia, il controprogramma di Guidi

Andrea Apruzzese
Gestione dei rifiuti e del ciclo delle acque, economia e lavoro, infrastrutture viarie, edilizia scolastica, welfare locale, questione energetica, protezione civile, economia rurale. Sono alcuni dei primi punti, o, meglio, stralci, del lungo programma elettorale (37 pagine nella prima stesura, corredato di altre 10 pagine contenenti i risultati del questionario sullo stato del territorio, elaborato nell’assemblea dello scorso 30 giugno) che Domenico Guidi, capogruppo di Provincia futura in Consiglio provinciale, ha elaborato come “contro-proposta programmatica” rispetto a quello del presidente Armando Cusani. Spunti che saranno utili a Guidi per la prossima discesa in campo per le elezioni regionali e che derivano, come afferma nell’introduzione, proprio dalle elezioni amministrative del 2009, «che hanno rappresentato un appuntamento di straordinaria importanza». «Le forze politiche di centro sinistra, dissidenti del Pd, ovvero Partito socialista, Comunisti italiani, Rifondazione comunista, Circoli dei valori e Provincia futura, hanno costituito la propria intesa programmatica sulla scelta di valorizzare il lavoro positivo svolto e gli obiettivi raggiunti», prosegue Guidi, che da un lato rigetta «la campagna mediatica per l’abolizione delle province» e dall’altro fissa come obiettivo quello di «ridare agli enti locali il loro ruolo originario previsto dalla Costituzione, razionalizzando enti intermedi come società, consorzi, fondazioni, Ato». Il capogruppo indica per prima cosa il metodo dell’azione politica, fatto di concertazione e partecipazione, «per rendere più trasparente l’attività dell’ente e consentire a cittadini, imprese, categorie professionali, associazioni, di essere sempre più parte del processo decisionale». Lungo l’elenco degli “obiettivi di riferimento”, che partono dal Governo del territorio: «Nel Lazio e nella provincia di Latina - spiega Guidi - è possibile fare del territorio un valore aggiunto, usando la leva della sua eccellenza, e operando sulla qualità delle trasformazioni consentite, per generare uno sviluppo solido e sostenibile nel lungo periodo». Tra le proposte concrete, «strategie capaci di generare reddito ed occupazione», «la protezione dal rischio sismico ed idrogeologico», «una moderna ed integrata rete della mobilità», «il consolidamento, riconversione e modernizzazione della presenza industriale», «promozione della qualità del nostro territorio rurale, sostenendo lo sviluppo di una agricoltura di qualità, volta al presidio e alla manutenzione diffusa del territorio». Tra i primi punti, il capogruppo si sofferma sulla gestione dei rifiuti, per i quali «occorre ridurre la produzione», «incrementare il riutilizzo», «incentivare la raccolta differenziata». Inoltre, «ai fini del recupero della parte non trattata è prioritario individuare nella nuova pianificazione interprovinciale soluzioni rivolte alla valorizzazione del rifiuto»; altresì, «è imprescindibile un ammodernamento tecnologico dell’impianto di termovalorizzazione di Colleferro e San Vittore, comprendente anche le più avanzate metodologie di abbattimento degli inquinanti». (A. A.)

2012 a Latina il raduno dei bersaglieri

Teresa Faticoni
Il sessantesimo raduno dei bersaglieri si terrà a Latina nel 2012. Il capoluogo pontino si è aggiudicato l’evento come fortemente aveva voluto il sindaco Vincenzo Zaccheo.
La fanfara con i bersaglieri che corrono suonando le trombe fin da bambini è una di quelle cose divertenti e coinvolgenti. Per chi ha fatto il militare, poi, rappresenta anche un momento per rinnovare in qualche modo lo spirito di corpo. Per chi ama la storia e l’Italia, un modo per celebrare ancora la presa di Porta Pia, quando il 20 settembre 1870 proprio i bersaglieri entrarono a Roma per liberare la città dal potere dei papi.
Dopo gli alpini che hanno piacevolmente invaso la città a maggio scorso, Latina si riempirà di fez piumati. Nella provincia pontina, tra l’altro ci sono 5 sezioni di fanti piumati. Ad Aprilia, a Borgo Sabotino, a Cisterna, nel capoluogo e a Terracina si rinnova la tradizione dei bersaglieri con presidenti e associati. Saranno in tanti a Latina a riempire le strade  di festa, di gioia, di divertimento, di storia, di tradizioni e di gente che ha fatto la guerra.
Il 2012, poi, è una data simbolica. Latina avrà un onere e un onore di altissimo lignaggio. Si tratta della sessantesima edizione del raduno nella storia di questo prestigioso sodalizio. L’esperienza alpina, con la grande partcipazione e lo spirito di accoglienza e integrazione insegna molto. Nel maggio 2010 Milano ospiterà il raduno e Torino sarà protagonista dell'edizione 2011 che coincide con il 150esimo dell'anniversario dell'unità d'Italia.

APRILIA - Multiservizi, dritti al risanamento

 
Fulvio Farì commissario della municipalizzata, Fabio Biolcati, direttore generale

Maria Corsetti

Primo obiettivo: capire quanto costa. Secondo: abbattere le spese. Terzo - ma siamo già in una fase parecchio avanti e comunque eventuale - trasformarla in Spa.
La Multiservizi ricomincia da domani con le nomine di Fulvio Farì a commissario e Fabio Biolcati a direttore generale. Sono loro gli uomini di fiducia del sindaco Domenico D’Alessio che precisa: «Nessun accordo politico sulla scelta di Farì. La sua nomina è dovuta all’esperienza professionale, avvocato esperto in diritto amministrativo e diritto pubblico dell’economia». Quanto a Biolcati dovrà lasciare l’attuale incarico di capo di gabinetto per trasferirsi al palazzo di vetro. Ma veniamo al ruolo di Farì e Biolcati che nei prossimi mesi – il mandato del commissario è limitato a sei, rinnovabile per altri sei -  dovranno farsi rapidamente un quadro preciso della situazione. Tanto per cominciare capire esattamente quanto costa mensilmente, dato che ad oggi si è rivelato estremamente variabile. Dagli iniziali 370mila euro erogati dal Comune si era passati a 420mila durante il mandato del commissario prefettizio. Gli ultimi dati riportano che si sfiorano i 500mila euro se si vuole essere certi di non lasciare in sospeso pagamenti dovuti all’Inpdap. Una cifra alta, ma attualmente viziata dai debiti pregressi: una volta risanati la quota mensile dovrebbe scendere. E ancora: quanti sono i dipendenti della Multiservizi che per la prodigalità nelle assunzioni è stata ribattezzata in città “Il carrozzone”? «Esattamente 257 – precisa Biolcati – ma considerato che ci sono diversi assunti part time è come se fossero 203,7 unità lavorative a tempo pieno». Pochi o tanti? Dipende dai servizi che si intende erogare e dalla voglia di mettere a regime le proprie capacità. A questo proposito è stato D’Alessio a «rivolgere un appello ai dipendenti della Multiservizi e ai sindacati affinché si lavori in uno spirito di collaborazione. Ci va di mezzo il lavoro di più di duecento persone e ci va di mezzo l’intera città. È quanto mai necessario mettere da parte ogni personalismo, si tratta di giocare una partita troppo importante. Quanto all’idea di trasformare le municipalizzata in Spa è sempre il sindaco a precisare che «La Spa è interessante come forma societaria, anche perché prevede importanti sgravi fiscali. La Spa ha un senso se entra anche il privato. Ma il privato non entra se prima non sono stati ripianati i debiti Questo significa che prima bisogna prima quantificare il debito, quindi arrivare a sanarlo. E infine fare una valutazione sul reale vantaggio nell’entrata dei privati».
Farì intanto non si sbilancia, prende tempo, ringrazia per la fiducia e promette di mettersi immediatamente al lavoro, ma di fatto non ne sa nulla di più a differenza di Biolcati che in sei mesi accanto al sindaco ha potuto analizzare diverse situazioni. Comunque i due – Biolcati e Farì – promettono di fare squadra, anzi «siamo già una squadra», precisano. Il tutto sotto lo sguardo vigile di Domenico D’Alessio che delega, ma non molla, dà fiducia, ma tiene aperti gli occhi. 

Il sex gate travolge Marrazzo

Teresa Faticoni
Piero Marrazzo si è autosospeso dalla carica di presidente della Regione Lazio. Il sex gate della Pisana, che si conclude come una triste e ipocrita vicenda all’italiana, è partito qualche mese fa con un video ricatto.
Il passato - Il governatore è stato sorpreso da 4 carabinieri (come lui stesso ha ammesso) in un appartamento di Roma in compagnia di un transessuale. Si parla anche di presenza di cocaina messa ad hoc da quelli che poi si rivelano ricattatori. In quel frangente sarebbe stato girato un video amatoriale che i militari avrebbero cercato di piazzare sul mercato del gossip, senza fortuna però. Da intermediario avrebbe fatto lo stesso fotografo che pizzicò il portavoce di Prodi, Sircana, mentre abbordava trans nelle vie di Roma. «Si tratta di una vicenda personale in cui sono entrate in gioco mie debolezze inerenti alla mia sfera privata, e in cui ho sempre agito da solo», ha dichiarato l’ormai ex presidente. I problemi sono sorti quando lo stesso Marrazzo, ricattato dai 4 carabinieri ora arrestati, avrebbe ceduto alle minacce e alle richieste firmando assegni per pagare il silenzio dei militari.  Da lì una discesa.
Il presente - L’uragano sexy che lo ha travolto lo ha spinto a ritenere «oggettivamente e soggettivamente inopportuna la mia permanenza alla guida della Regione, anche al fine di evitare nel giudizio dell’opinione pubblica la sovrapposizione tra la valutazione delle vicende personali e quella sull’esperienza politico-amministrativa». Marrazzo si è quindi autosospeso con effetto immediato conferendo al suo vice Esterino Montino «la delega ad assumere la provvisoria responsabilità di governo e di rappresentanza ai sensi della normativa vigente, rinunciando a ogni indennità e beneficio connessi alla carica».
Il futuro - L’autosospensione è stata una scelta legata alla necessità di approvare il bilancio regionale. Poi si avvia il procedimento per lo scioglimento con le conseguenti dimissioni di Marrazzo dalla carica. Entro novanta giorni dovranno essere convocate le elezioni e a conti fatti entro il mese di febbraio i cittadini laziali saranno chiamati alle urne per decidere chi dovrà guidarli. Finisce così la parabola discendete del giornalista televisivo prestato alla politica tradito dalle sue passioni. Il peccato non sta nelle scelte personalissime di Marrazzo, ma nel suo cedimento al ricatto. Inopportuno pagare, inadeguato sottostare al ricatto. «Lo faccio per la mia famiglia», dice lui. Siamo italiani, viviamo sotto la pesante cupola del Vaticano, e l’immagine del nucleo felice da mulino bianco non ce la riusciamo a scrollare di dosso.
Il successore - Chi candidrà il centrosinistra? Le ipotesi, scartando le più fantasiose, possono essere due. Da una parte Michele Meta, ex diessino. Dall’altra, se va in porto l’accordo con l’Udc, si potrebbe entrare in camera di raffreddamento con un candidato presidente proprio del partito di Casini. Si vocifera, però, anche di Veltroni, in cerca di collocazione; Giovanna Melandri o Enrico Gasbarra.

Il Pd ha già scaricato Marrazzo

Francesco Furlan
è un momento concitato nel Pd. Marrazzo è al centro della cronaca per la probabile relazione con un transessuale e un presunto atto di estorsione subito da quattro carabinieri. A Fondi all’Auditorium San Domenico, a sostenere la mozione Franceschini alle elezioni che oggi dovrebbero scegliere il futuro segretario del Partito Democratico, ci sono il segretario regionale del Pd Roberto Morassut e il senatore Raffaele Ranucci. Doveva esserci anche il consigliere regionale Claudio Moscardelli ma è rimasto a Roma a gestire la crisi. Difficile parlare del Pd, facile scivolare sulla vicenda Marrazzo. «E’ un momento traumatico e inaspettato – riassume il segretario regionale Morassut -, ma il popolo del Pd ha grande energia. I suoi elettori sapranno reagire con un grande moto di partecipazione a queste primarie. La nostra gente non si farà travolgere dalle vicende personali del governatore in cui, inoltre, è sbagliato entrare». Viene da sé trovare analogie con lo scandalo che ha visto protagonista il presidente del consiglio Berlusconi: «Il nostro popolo – commenta il segretario regionale - è più severo rispetto a quello che vota Berlusconi e gli perdona ogni cosa. A noi viene chiesto di più». Le elezioni regionali sono dietro l’angolo e Morassut pare già prendere posizione scaricando il Governatore, «Raccoglieremo tutte le energie per il voto. Tutto quanto accaduto non toglie nulla all’ottimo lavoro politico che con Marrazzo è stato fatto. Sceglieremo il prossimo candidato con le primarie». E su eventuali matrimoni politici, «Con l’Udc sarebbe un’alleanza importante ma solo se basata su un programma condiviso», non teme voltafaccia dall’Italia dei Valori: «Già sono stati con noi in Regione in questi cinque anni partecipando attivamente e responsabilmente al lavoro di governo. Evitiamo gli steccati ideologici e, soprattutto, che le destre occupino la Pisana».

venerdì 23 ottobre 2009

SAN FELICE CIRCEO - Violenza di gruppo, la vittima perdona i 4 del branco

Elena Ganelli
Prima ha chiesto il permesso al giudice, poi si è rivolta alle quattro persone accusate di averla violentata e picchiata e li ha perdonati. Protagonista di questa sorta di fuori programma la 41enne rumena che il 10 agosto scorso venne portata in una villetta di San felice Circeo, aggredita, stuprata e poi ferita gravemente.
Una vicenda per la quale sono chiamati a rispondere tre connazionali della vittima ed un indiano. Ieri mattina davanti al giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Latina Tiziana Coccoluto era in programma un incidente probatorio nel corso del quale la donna è stata messa a confronto con gli indagati: Florin Neagy, 25 anni, Stefan Tabaranu, 35 anni, Milai Hergheligu, 30 anni, tutti di nazionalità rumena e Bajit Singh, indiano 20enne. Per loro l’accusa è quella di violenza sessuale di gruppo e lesioni gravissime: quella notte, dopo avere bevuto in maniera esagerata, i quattro avevano convinto la donna ad anadare con loro in una villetta di San Felice Circeo dove abitava Neagu. E lì era successo l’inverosimile: la violenza poi alcuni calci e pugni che avevano provocato la frattura di alcune costole ed un versamento, lesionoi per le quali la donna era stata ricoverata in gravi condizioni in ospedale.
Nel corso dell’incidente probatorio di ieri, richiesto dal sostituto procuratore Raffaella Falcione titolare dell’indagine, la vittima ha però chiarito che a violentarla era stato soltanto Tabaranu sottolineando che gli altri partecipanti alla serata si erano limitati ad assistere, tutti ubriachi. Un colpo di scena al quale è poi seguita la dichiarazione della vittima rivolta ai suoi aggressori.
«Vi perdono tutti - ha detto in aula dopo avere chiesto al giudice il permesso di parlare - perchè siete giovani e rumeni. Ora fate i conti con la vostra coscienza».
Ora si attendono gli esiti degli esami dei Dna predisposti all’interno della casa della violenza dal pubblico ministero mentre il legale di uno degli imputati, che si trovano tutti in carcere tranne l’indiano, l’avvocato Antonio Musti che difende Neagu, ha già preannunciato l’intenzione di chiedere una modifica della custodia cautelare in carcere. Il tutto alla luce delle indicazioni e dei riconoscimenti nell’udienza.

Marrazzo, Berlusca e l’ipocrisia



Lidano Grassucci


Ora sotto la lente della curiosità c’è il presidente della regione Piero Marrazzo. Dice per un ricatto dovuto a prove di storie legate al sesso. Mica è una cosa nuova, si fa e si è sempre fatto da destra a sinistra. Il Duce degli italiani si vantava di fare cose turche (ma pare durasse poco) nella sala del Mappamondo. Pure i Papi tra un miserere e una estrema unzione non hanno mai «disdegnato il bene effimero della bellezza» come cantava De Andrè. Insomma, Marrazzo fa quello che fa Berlusconi, quello che faceva Clinton e potremo andare avanti.
Del resto tutti i viventi sono nati da atto sessuale, non possiamo meravigliarci dell’ovvio. Poi sulle modalità di farlo è cosa che attiene alla persona, c’è a chi piace la vaniglia a chi il cioccolato. Non mi sono mai appassionato per queste cose.
Marrazzo fa sesso? Ben per lui. Berlusconi fa sesso? Ben per lui.
L’anomalia sta nel fatto che questi signori non hanno altrettanta cortesia per il loro prossimo, insomma lo fanno ma poi fanno i moralisti sugli altri. Andare con una signoria a Palazzo Grazioli non è diverso da farlo sulla Pontina, solo che nel secondo caso arrivano le multe.
Vedo Marrazzo in foto in cui è contrito di pietà forte davanti al Papa, al cardinale. Ecco questo non mi piace, l’ipocrisia. Se i nostri politici, vale per Marrazzo e per Berlusconi, invece di proporre legge indegne per farsi perdonare dai preti (finanziamento agli oratori, immissione in ruolo degli insegnanti di religione nominati dai vescovi, norme sulla fecondazione assistita da medioevo, leggi sulla buona morte senza pietà) fossero normali. Sarebbe un altro mondo e davanti alle accuse sulla vita privata rivolte al premier quello avrebbe potuto rispondere «sono casi miei». Così Marrazzo «sono casi miei». Invece? Debbono nascondersi, debbono vergognarsi come bimbi a cui è stato vietato di mangiare la marmellata. Tutto qui, il resto è cretinismo puro
Accompagnavo ad una cerimonia una signora del mio paese che aveva un cervello finissimo, una di quelle che è la storia della mia gente, quando sulla 156 incappammo nelle signorine che lì esercitavano il mestiere più antico del mondo. Cercavo di distrarla, ma lei indugiava a guardarle. Poi si rivolse a me commentando: «la bicicletta è la loro e ci fanno andare chi vogliono».
Ecco questa è la cultura profonda della nostra gente, il rispetto per le cose del mondo. Sant’Agostino condensato in una frase. Se questa fosse la nostra morale Berlusconi non doveva giustificarsi e neppure Marrazzo. Il moralismo, l’ipocrisia offendono l’intelligenza e creano solo guai. Correte con le biciclette, evitando i muri delle chiese.

LATINA - Gial, una protesta addolcita

Teresa Faticoni
Si accendono i riflettori sulla Gial. Lo sciopero a oltranza qualche risultato lo ha portato, ma non fino in fondo quelli sperati dai lavoratori. Che chiedono solo di lavorare, tutti. Che hanno deciso di andare incontro al lavoro. Da lunedì, infatti, sarà dismesso il presidio permanente di protesta davanti ai cancelli dell’azienda di Borgo San Michele per mettere in atto una protesta tenue. Uno sciopero a singhiozzo che permetterà all’imprenditore Aniello Ingino di portare a termine alcune produzioni a suo dire vitali per l’esistenza della Gial.
Ieri mattina, intanto, si è tenuto un incontro tra una delegazione di dipendenti e il sindaco Zaccheo il quale si è immediatamente attivato interessando del caso il sottosegretario allo sviluppo economico Stefano Saglia, al quale ha sollecitato un incontro fra le parti che sarà fissato con ogni probabilità entro la prossima settimana.
«Si tratterebbe di un nuovo duro colpo a una economia complessivamente già compromessa; un nuovo focolaio di crisi particolarmente allarmante nel quadro della generale negativa congiuntura che sta colpendo questo territorio», ha detto Zaccheo.
Mercoledì ci sarà anche il previsto incontro in Confindustria. proprio in vista di questo nuovo vertice i lavoratori hanno deciso di entrare in camera di raffreddamento in modo che l’imprenditore arrivi al tavolo con proposte concrete. «Dimostrano per l’ennesima volta senso di responsabilità»,   dichiara Giovanni Gioia segretario generale della Flai Cgil.  Ingino si è fatto due calcoli: dismettendo la produzione di frutta candita gli resterebbe il brand più produttivo. Le castagne gli costano un euro e le rivenderebbe a 20. La frutta candita ha un margine di profitto decisamente inferiore. Vorrebbe, quindi, mantenere la campagna stagionale. E per il resto dell’anno mettere in cassa integrazione (di qualsiasi tipo essa sia, basta che i soldi li cacci lo Stato) i 30 dipendenti con contratto a tempo indeterminato.

mercoledì 21 ottobre 2009

Rose o fagioli e il posto fisso

Lidano Grassucci

Sono di animo contadino che significa avere il senso delle cose. Non ho mai compreso perché nei giardini si amano le inutili rose e si negano i fagioli con i quali, almeno, ci fai la zuppa. Sono di indole contadina e se debbo zappare zappo per i fagioli non per il profumo delle rose. Lavoro per la zuppa non per l’aroma. Per questo resto stupito nel sentire che il ministro dell’economia Tremonti asserisce: “è meglio il posto fisso”. Presa così è come dire: mangiare abbondante è meglio che mangiar poco o niente. C’era un personaggio in una trasmissione di Renzo Arbore, un tal Catalano, specializzato nel dire cose ovvie: è meglio star bene che a letto con l’influenza. Catalanate antesignane delle tremontanate di oggi. Anche il presidente del consiglio, Berlusconi, ha concordato: il lavoro fisso è bello. Sento profumo di rose e prevedo scodelle vuote di zuppa.
Come si fa a parlare di posto fisso quando le fabbriche chiudono, le imprese artigiane chiudono, chiudono i supermercati e chiudono i negozi?
Lo Stato, in nome di un passato sognato, ha tagliato un terzo dei posti alla scuola con l’insegnante unico. Ha accorpato le classi riducendo il numero dei docenti. Non si fanno più concorsi pubblici.
Non sono uno statalista, credo che i pubblici dipendenti trarrebbero giovamento da una buona ventata di mercato. Credo che avere la sicurezza del lavoro sia inversamente proporzionale alla sua efficienza. Berlusconi mi aveva convinto dicendo che il mercato era cosa sana e giusta per tutti, ora torna all’Unione Sovietica, alla Ddr.
Tremonti parli di posto fisso ai ricercatori, ai giovani laureati che debbono fare gli scriba negli studi dei vecchi professionisti per via di quella barbarie corporativa che sono gli ordini professionali. Lo dica ai ragazzi che hanno ambizione e voglio lavorare nelle redazioni dei giornali e delle Tv chiuse da sindacati tanto corporativi quanto unici che in nome della difesa di pochi escludono i molti.
Venga Tremonti a parlare del posto fisso con gli operai della Gial, con quelli della Pettinicchio, con i ragazzi dei call center.
Concordo con il ministro Brunetta che, ascoltato il rinato mito del posto fisso, ha spiegato: “roba del secolo scorso”. Qui siamo tutti precari, ministri compresi. Ma il nodo è anche un altro: stiamo parlando di profumo di rose mentre manca la zuppa, e i giornalisti non vedono la zuppa che non c’è e si disperano sulla fragranza del profumo.

Formia: Marino incanta i suoi sostenitori


di Raffaele Vallefuoco

Martedì 20 Ottobre 2009

La corsa di Ignazio Marino alla segreteria del Partito Democratico passa per Formia. Una fermata obbligatoria per il ruolo rivestito nella mozione da Sandro Bartolomeo. Ed è proprio l'ex sindaco a lanciare il senatore chirurgo, il king maker di questa competizione: l'agitatore dei diritti civili. Il Pd a cui pensa Ignazio Marino deve applicare «quel metodo laico» di cui è vivace sostenitore.  «Ognuno porti con passione, con entusiasmo le proprie idee, le proprie convinzioni, la propria cultura, ma alla fine si faccia una sintesi e tutti ci si senta realmente obbligati a sostenere la decisione che si è presa a maggioranza» afferma il senatore incassando l'applauso convinto dei presenti. La Sala Ribaud è piena. Ma non ci sono solo quelli della mozione. Ci sono i bersaniani e i pro Franceschini. C'è il popolo delle primarie, ma ci sono anche i disillusi: «E' il solito discorso dei politici». Ma Marino piace. Strappa applausi e consensi. C'è chi annuisce quando afferma: «Io credo che abbiamo una risorsa straordinaria. Abbiamo le persone. Sciogliamo queste correnti che producono solo poteri, sottopoteri, controllo e non danno entusiasmo, passione e nuove idee. Utilizziamo una sola corrente, la corrente delle persone, della gente e dei circoli» esalta i presenti. In fondo è proprio questo che chiede la base del Pd. «Io voglio un partito che ritorni alle persone. Che interroghi la gente. Ve lo dico con grande chiarezza. Se per esempio sul tema del testamento biologico, interrogando tutti voi, in tutt'Italia il 98% di voi arrivasse a dire che la pensa come Paola Binetti, io in un Partito Democratico me ne farei una ragione. Ma se il 98% di voi dice che deve avere la libertà di scegliere a quali terapie accedere» lasciando fuori dalla propria stanza il legislatore, «anche Paola Binetti se ne deve fare una ragione» scandisce il senatore. I diritti civili sono il suo cavallo di battaglia. Uno spazio democratico in cui far confluire le istanze tanto degli omosessuali quanto degli immigrati. Su questo tema rilancia: «Sull'immigrazione le regole devono essere chiare, ma devono rispettare le persone». Quindi facendo leva sulla sua esperienza, racconta: «Negli Usa, pagavo regolarmente le tasse, ma non mi è mai capitato di stare in una tenda al freddo per rinnovare il permesso di soggiorno». Diritti, diritti e ancora diritti quando si parla di respingimenti, per i quali nutre una personale riserva, sposando quell'orientamento giuridico che solleva qualche dubbio di legittimità su tale pratica, lesivo del diritto d'asilo. «L'immigrazione attraverso il mare - conclude Marino - è assai limitata rispetto alle altre modalità illegali di ingresso. Si diano, invece, più mezzi alle polizie di frontiera» rileva il candidato. Un discorso ricco di spunti e di grande respiro ideale, che non trascura certo la green economy, che «fa sia bene all’ambiente e crea lavoro», la giustizia sociale, e la legalità. Convince i presenti, se ce ne fosse stato già bisogno. La vera  sfida, però, è quella di riavvicinare i delusi. Se questa missione sarà stata superata lo vedremo il 25 ottobre.

Rapina al Monte Paschi di Siena di Marina di Minturno


di Raffaele Vallefuoco

Mercoledì 21 ottobre 2009

Una rapina mordi e fuggi. Il tempo di farsi consegnare 20 mila euro e di dileguarsi nel nulla. Nessuno sparo, né stridio di pneumatici. E' la cronaca della rapina perpetrata ieri mattina, alle nove, presso la filiale dei Monte Paschi di Siena di Marina di Minturno. Nel pomeriggio attorno allo sportello regna il silenzio più assoluto. A destare la quiete solo le auto che sfrecciano sulla via Appia. L'ingresso della filiale è sbarrato da una cartello «chiuso per rapina». Dentro direttore e sportellisti si celano dietro un secco no comment, dichiarato dall'altra parte del vetro che li separa dell'aria aperta. La dinamica è al vaglio dei carabinieri della stazione di Scauri, giunti sul posto immediatamente dopo la segnalazione della banca. Sarà compito dei militari ora ricostruire la dinamica dell'atto, contando sulla testimonianze degli operatori presenti e sul filmato acquisito dalle telecamere installate  all'ingresso dell'istituto bancario. Attraverso i frammenti video registrati i militari dovranno risalire all'identità dei rapinatori, che hanno potuto operare nella più completa discrezione. Il vigilantes che a giorni alterni presidia l'ingresso della banca di Marina di Minturno ieri mattina era in servizio presso un altro istituto bancario del territorio. E' quindi molto probabile, che i rapinatori, abbiano messo a segno la rapina solo dopo aver studiato le mosse della banca. Nel quartiere nessuno ha visto né notato niente. Non c'è clima omertoso, realmente i rapinatori hanno agito senza farsi notare. L'ennesima rapina. Ultima di una lunga serie. Solo quattro giorni fa era stata la Banca Cooperativa del Garigliano, situata nella frazione di Grunuovo a Santi Cosma e Damiano, ad essere vittima di una simile atto: diecimila euro il bottino e fuga verso sud, secondo qualche testimone. Questa volta, però, a Marina di Minturno nessuno ha visto niente. Solo l'amara considerazione della titolare del locale bar: «Andiamo sempre peggio!».

martedì 20 ottobre 2009

Attentato mafioso?

di Irene Chinappi

È stato tutto studiato nei minimi particolari. Lunedì sera il quartiere periferico e residenziale di via Udine sarebbe stato illuminato a giorno. Dalle alte fiamme che sarebbero divampate sulle due auto di Bruno Fiore, una Daewoo Leganza, e di sua moglie Rita, una Renault Scenic. Ma per fortuna l’attentato è fallito. Secondo la ricostruzione effettauta dagli agenti della squadra scientifica del Commissariato di Fondi, sarebbero stati almeno tre i malviventi che hanno raggiunto, poco dopo il suo rientro, l’abitazione di Bruno Fiore. Il segretario del Pd di Fondi era rientrato attorno alle 22 e 30 da una riunione con il Comitato di lotta contro le mafie. Dopo aver consumato la cena è andato al piano di sopra della sua abitazione e si è messo a guardare la tv. È passata poco meno di un’ora quando la sua vicina ha bussato alla porta per avvisarlo che un forte odore di benzina sembrava provenire proprio dalle due auto dei coniugi.  Quando Fiore si è precipitato fuori tutto gli è stato subito chiaro. Tutt’e due le auto erano cosparse di benzina, una tanica da 20 litri giaceva abbandonata a terra, ancora mezza piena. Ma la vista più pericolosa è stata quella di uno straccio imbevuto di liquido infiammabile a cui era stato dato fuoco e che era stato gettato sulla Scénic. Fortunatamente l’innesco non ha funzionato e la miccia si è spenta in una manciata di secondi. Qualcuno aveva tentato di dare fuoco alle due auto di Fiore. Qualcuno che non poteva agire da solo per trasportare, attraverso la campagna circostante e il cantiere aperto confinante con la casa, la tanica da 20 litri. Qualcuno che evidentemente non è riuscito a portare a termine il lavoro. I malviventi, secondo la ricostruzione fatta dalla Polizia, devono aver seguito Fiore di ritorno dal Comitato. Poi devono aver atteso il silenzio. Ma quando sono sbucati dal cantiere e hanno inziato a cospargere le auto con la benzina qualcosa li ha disturbati. La vicina della famiglia Fiore è uscita in veranda per sistemare alcune cose. È stato in quel momento che ha sentito l’odore della benzina. I malviventi a quel punto hanno dovuto sbrigarsi. E il lavoro è riuscito male. «Se l’attentato fosse andato a buon fine le fiamme avrebbero potuto avvolgere anche le abitazioni vicine, mettendo in pericolo di vita i residenti» commenta Bruno Fiore che non si lascia intimidire dal gesto criminale. «Siamo preoccupati  perché aumenta la tensione in città. Chiediamo a tutti di riflettere con ponderatezza e al Pdl di abbassare i toni». Ma perché questo gesto? «Qualcuno potrebbe essersi sentito autorizzato a colpirmi visti i duri attacchi contro di me. Oltre al fatto che l’episodio è chiaramente collegabile alla scia di attentati che si sono verificati a Fondi nell’ultimo anno, tant’è che la polizia sostiene che le modalità siano sempre le stesse. Continueremo la nostra battaglia per la legalità. E chiediamo - termina Fiore - a Maroni e al Consiglio dei Ministri di rivedere, a questo punto, la non decisione sul caso Fondi».

Un gatto e un ragazzo

Lidano Grassucci

C’è un ragazzo molto triste per via di un gatto. Un gatto che non ha avuto più la forza di essere il forte che era stato. Non credo che lo conforti sapere che c’è stato un ragazzo che si era molto rattristato per via di un gatto e prima di lui tanti ancora. Capita che arriva un momento nella vita in cui vedi la fine, vedi quella cosa che sembra non essere mai. C’è un momento in cui tutto non è come il momento prima.
Il gatto del secondo ragazzo era nero con delle macchie bianche, saltava da fermo fino a quasi un metro. A suo modo un atleta tra i gatti che atleti sono tutti. Quel gatto capiva quando era il caso di esserci e se ne stava per sé quando era altrimenti. Appariva, furtivo, quasi da agguato degli indiani agli ingenui visi pallidi. Poi faceva le fusa con quel ronzio che fanno i gatti per dire, per adesso sei amico mio. Perché con i gatti è così, mai amicizia per sempre, sempre amici per scelta in quel momento, eppure restano per sempre. Il gatto quando il ragazzo era solo veniva e con le unghie sui pantaloni si annunciava. Durò tanto questa scelta di essere amici, durò tanto e ogni volta che i due quasi si pensavo per eguali. Di tanto in tanto li trovavano abbracciati a dormire insieme. Naturalmente mal ne coglieva al ragazzo e al gatto, ma loro, per loro, non litigarono mai. Poi, poi un giorno come un altro il gatto saltò il primo appuntamento, poi il secondo e poi… non c’era più. Non che avessero un accordo scritto su quell’incontro ma era stato sempre così. Il ragazzo non si preoccupò al primo mancato incontro, i gatto sono così talvolta per via delle femmine. Le femmine giustificano qualche indulgenza verso gli amici. Una volta era stato via per giorni. Poi tornò, mezzo storto con qualche pezzo di orecchio in meno. E tutto riprese il suo corso.
Il secondo giorno il ragazzo ebbe qualche dubbio, il terzo andò a cercare l’amico, ovunque, in tutti quei luoghi in cui solo i gatti sanno andare. Niente, lo rivide il giorno dopo, un sorriso stampato, gli occhi ancora aperti. Lo chiamò due volte, poi la terza urlò. Aveva un nome, il gatto, che era un suono. Ma non rispose, il pelo era nero con le macchie bianche, ma non si muoveva. Era quel momento in cui tutto non è come il momento prima. Il gatto aveva lasciato solo l’amico, senza salutare, i gatti sono così, non salutano mai, non lasciano biglietto, non si preoccupano del testamento. Sono così, non li trovi più dove hai appuntamento, non li trovi più dove sono sempre stati. Così, i gatti non muoiono, mancano agli appuntamenti con gli umani, tradiscono quelle amicizie particolari che fanno con certi umani.
Il ragazzo piangeva per il dispetto dell’amico gatto, aveva gli occhi rotti, il padre si avvicinò: perché piangi, per il gatto?”. “Sì, non gioca più”. “Non si piange per un gatto, si ricorda un amico”, gli disse. Finì così, ogni sera quel ragazzo ripensa al suo gatto, ogni sera lo ricorda nelle preghiere che fa alle illusioni degli uomini e al paradiso dei gatti. Ogni sera, ora è vecchio ma per il suo gatto resta un ragazzo e per lui il felino resta un compagno di strada furbo e pronto al tradimento. Ogni sera un frammento di un ricordo, è rimasto vivo per sempre quel gatto che altri non ce n’è. Morirà quel gatto? Sì, il giorno in cui il vecchio dimenticherà di ricordarlo e forse di soppiatto spunterà da un angolo e con le unghie ferirà il tessuto dei calzoni, poi davanti al camino si riscalderanno e non parleranno per sempre. Ma si capiranno sempre.
Capita che un gatto e un ragazzo, è capitato che un gatto e un ragazzo, capiterà  che un gatto e un ragazzo…

Attentati e rispetto

Lidano Grassucci


Hanno fatto un attentato, volevano intimidire Fiore. Lui sa che sull vicenda della mafia a Fondi non ho le sue idee, la penso diversamente (decisamente diversamente). Questo non mi ha impedito di ospitare la sua posizione in tv, sul giornale, di essere presente quando mi ha invitato a convegni pubblici in cui tutto mi era contrario, anche la sua personale comprensione.
Dico questo perché non mi rimangio neanche una virgola di quel che ho scritto e di quel che penso, questa mia coerenza non mi impedisce di essergli vicino, di testimoniargli la mia partecipazione davanti a chi ha osato minacciare la sua libertà. Ora le sue tesi non sono piu’ forti o piu’ convincenti, ma sono egualmente libere per me. Un liberale ha il vizio di rispettare lp’avversario perché sa che chi non è con lui non ha ragione, ma potrebbe, non ha torto, ma potrebbe. Fiore non cambierà opinione, non cambierà comportamenti, non deve aver paura. Credo di dover togliermi il cappello davanti alla moglie di Bruno Fiore che ieri mattina dopo l’accaduto è andata a lavorare con la sua auto. Questa è la risposta giusta comunque si legga il vile attentato.
Voglia Bruno accettare questa mia, voglia sentirmi a lui vicino da uomo leale con chi è lontano da me, non nel senso civico, ma nel leggere eventi e città.
La libertà è questo il rispetto per la libertà degli altri. Non cambio idea, ma rispetto la tua idea.

Violante racconta il 1992. La trattativa Stato - mafia secondo l'ex Presidente della Camera


di Francesco Furlan



La statura politica di Luciano Violante non si discute. Già Presidente della Camera, Violante ieri sera era a Minturno a sostenere la mozione Bersani nell’ambito della campagna elettorale che domenica prossima, quando giungerà al termine, dovrebbe eleggere il nuovo segretario del Partito Democratico. L’incontro minturnese, alla Pasticceria Morelli, è incentrato sul tema della legalità ma è inevitabile scivolare su argomenti che, in questi giorni, invadono quotidianamente la cronaca nazionale ovvero la presunta trattativa Stato – mafia. Violante nel 1992 era presidente della commissione nazionale antimafia, un ruolo che lo espose a richieste di incontro da parte di personaggi non sempre rivelatisi poi raccomandabili. Una di queste richieste gli arrivò da l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, i magistrati che indagarono il primo cittadino lo definiranno «la più esplicita infiltrazione della mafia nell'amministrazione pubblica”, l’uomo che sarebbe stato incaricato di portare avanti la trattativa con lo stato per conto dei mafiosi di Corleone, Riina e Provenzano. “Non l’ho mai incontrato segretamente seppure per tre volte mi fu chiesto l’incontro. Ci sono politici che sanno dire di no e non scendono a patti” –, ha sottolineato Volante. Gli abbiamo allora chiesto se, al di là dell’incontro, avesse avuto notizia all’epoca di questa trattativa tra criminalità e istituzioni. “Non ne ero a conoscenza”. E, infine, come commentava dichiarazione, rilasciata qualche giorno fa al tg3, dal procuratore nazionale antimafia Piero Grasso (“Con la mafia ci fu trattativa. Salvata la vita di molti ministri”). Violante a questo punto si è trincerato, quasi rimproverandoci: “Lei è un giornalista. Stia ai fatti. Ci sono i magistrati che stanno appurando questa vicenda”. Già, i fatti. Violante è vero politico nella sua ultima risposta. Rivendica il suo lavoro da magistrato contro l’antiterrorismo, racconta, in modo magistrale, cosa sia per lui un partito, che sia il Partito Democratico sembra quasi un dettaglio, seppure si sfila, e non potrebbe essere diverso visto l’appoggio a Bersani, nettamente da Veltroni (“Si è dimesso durante una conferenza stampa senza rendere conto ad alcuno”). Quando riparte verso Fondi, forse ultima tappa di un tour di giornata che in mattinata lo ha visto impegnato anche a Palermo ascoltato dai magistrati proprio per la presunta vicenda relativa alla trattativa Stato – mafia, il presidente Violante appare stanco. Noi restiamo con l’impressione che quella trattativa ci sia stata. Che sia passata sulla testa del poi Presidente della Camera? Difficile da credere. Ci sono i magistrati a doverlo scoprire. Era una trattativa politica? Se si, perché con la mafia si, e con il terrorismo, quando ad esempio ci fu il sequestro Moro, no. La risposta è apparentemente più semplice di quanto la domanda, per la risonanza dei nomi citati, faccia pensare. Se lo Stato è sceso a trattative con il potere criminale è perché, probabilmente, non controllava il territorio. E oggi? Mah. All’incontro di Minturno c’erano anche diversi altri esponenti politici del centro sinistra. Dal consigliere regionale Di Resta, al consigliere minturnese Lepone, a Vito Romano dell’Idv, al coordinatore formiano Francesco Carta, alla commissaria del Parco Ermina Cicione, al padrone di casa Rotasso. La nota più interessante, oltre gli slogan di Di Resta già in clima elezioni regionali (“Minturno è una realtà dove si sommano tutti gli elementi negativi del potere che calpesta le regole” … “Città omertosa” … “…indifesa e destinata ad avere grandi problemi”), la presenza di Aristide Galasso al tavolo di presidenza. Un’autorevole investitura alla carica di sindaco.

sabato 17 ottobre 2009

La crisi in due strade

Lidano Grassucci


Faccio ogni giorno l’Appia e poi la 156. Sull’Appia da Cisterna a Pontinia si leggevano i nomi di quasi tutta l’industria casearia italiana: Locatelli, Olivieri, Cuomo, Yomo-Pettinicchio. Qui c’era anche la TetraPak la fabbrica che rivoluzionava il confezionamento mettendo insieme carta, alluminio e plastica. Igiene assoluta, costi bassi. Qui era nata la distribuzione moderna con Pettinicchio che aveva fatto scuola di consumi per tutti i pontini, per quelli dei Castelli, per i residenti di Anzio e Nettuno. Pochi chilometri tante storie industriali, poi? Cominciano le bandiere, rosse della Cgil, verdi della Cisl, azzurre di Uil e Ugl. Le prime le ho viste alla Tetra Pak ed è stato l’annuncio della fine, poi la Gambro faceva prodotti medicali, pochi metri più avanti le bandiere sono comparse alla Pettinicchio. Non lo sapevo ancora ma di bandiere in questo mio percorso di meno di 10 chilometri ne avrei viste tante. Quelle della Pettinicchio sono ormai consunte e lo stabilimento dietro è chiuso, degrada come le bandiere. Le ho viste dove non avrei pensato mai di vederle, alla Pacifico. Quando arrivavo a Latina da Sezze, il mio paese, capivo la modernità quando la torre serbatoio mi annunciava orgogliosamente “Pfizer”. Capii di stare al mondo e nel mondo quando leggevo nei bugiardini delle medicine “prodotto nella stabilimento di Borgo San Michele, Latina”. Ho visto le bandiere rosse anche lì, gli operai in strada per difendere la fabbrica che stava per chiudere. Adesso le bandiere rosso vivo ancora stanno alla Gial, lì facevano i marron glacé. La fabbrica sta dopo la Pfizer ed era, per chi veniva dai monti, come toccare con mano l’Italia industriale. San Michele era Milano in scala, poi incontravi il magazzino dei mangimi, con il silos alto e proseguendo arrivavi al Consorzio Agrario, lì i silos erano gialli e sopra il casotto azzurro si vedeva da lontano, erano grandi perché a servizio di una grande agricoltura, quella che ha inventato l’uva Italia, il kiwi, prima i cocomeri, i meloni, le carote, i fiori. Ci mettevano il grano nei silos, tanto grano in un posto nato per fare il grano. Ora ci sono le bandiere, davanti al Consorzio Agrario, anche lì, cominciano a sgualcirsi. E non ci sono più i cocomeri, spariti i fiori, grano poco e anche il kiwi fa fatica.
Un piccolo circuito, quello tra l’Appia e la 156, che riporta già le ferite delle altre crisi. Qui era il cuore dell’industria tessile pontina: confezioni Europa, ora c’è un pezzo di architettura moderna negozi, ma non si produce niente; la Rossi sud, ora è un tentativo di fiera, era stata una fabbrica con centinaia di operai, un gigante, quelli della mia età quando passavano lì davanti sentivano la grandezza dei filati italiani che erano tanto forti da avere anche una squadra di calcio, Lanerossi Vicenza, i colori erano rosso e bianco. Non c’è più.
Perché vi racconto questo? Semplice, perché non lo racconta nessuno. Vi parleranno tanto di mafie sociologiche, di improbabili crisi politiche, di guerre nei partiti.
Su 20 chilometri di strada c’è la storia di una crisi profonda che rischia di travolgerci, ma di cui non si parla. Sulla 156 c’erano i tir, ora ci sono auto che vanno a fare la spesa, poi? Se non si produce. C’è un libro scritto in queste due strade, nessuno lo vuol leggere, nessuno vuole sentire questo odore di fine che c’è. E parliamo di Fondi, parliamo di fidanzate di un improbabile capo.
Parliamo, le bandiere anche alla Gial sono destinate a ingiallire. Qualcuno disse di questi posti: le città del silenzio, ecco abbiamo fatto confusione per un po’ ora torniamo a stare zitti.

LATINA - Gial, passo indietro per la chiusura

Teresa Faticoni
Una specie di baratto. Aniello Igino, titolare della Gial, vorrebbe che i lavoratori desistessero dall’intenzione di scioperare da domani e poi a oltranza in cambio di un ripensamento sulla chiusura. Giornata campale quella di venerdì per il sito produttivo di Borgo San Michele. In mattinata si è tenuta la riunione tra le parti sociali e l’impreditore (accompagnato dal suo legale consulente) per discutere della cessazione dell’attività annunciata per il 31 dicembre 2009. Poi in serata il clamoroso passo indietro. In una nota inviata alle rappresentanze sindacali unitarie Ingino annuncia l’intenzione «di valutare la possibilità di riconsiderare la scelta». «In tale direzione - continua Ingino - la Gial opererà  in tempi brevi la verifica per formulare un piano che consente un adeguato recupero di redditività». In sostanza l’imprenditore vuole presentare «un programma per la prossima campagna che faccia leva sul recupero della produttività e sull’utilizzazione della forza lavoro in modo flessibile e adeguato rispetto agli effettivi volumi produttivi attuali». Il tutto, però, a patto che non si scioperi. «La continuità produttiva dello stabilimento di Borgo San Michele era e resta l’obiettivo del sindacato e delle agitazioni sindacali proclamate - dichiara Tinono Passaretti della Uila Uil -. Lunedì, valuteremo le nuove posizioni aziendali e, insieme ai lavoratori, assumeremo le decisioni conseguenti».

mercoledì 14 ottobre 2009

Scuole: disagi e proposte

Le Rsu del *Magistrale di Formia chiedono l'intervento dell'Usp
di Raffaele Vallefuoco

Giovedì 15 Ottobre 2009

Disagi e scuola negli ultimi anni vanno di pari passo. Non c'è anno che non presenti difficoltà. La situazione, poi, si sclerotizza quando non ci sono le condizioni per far fronte alle disabilità, nonostante la Repubblica, e in via di deroga la scuola, debbano rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Purtroppo, però, i principi costituzionali restano su carta e i deficit sono a carico di dirigenti scolastici, professori e alunni. E' quanto denunciano la Cgil Scuola e l'ufficio H della Camera del Lavoro territoriale della provincia di Latina, che danno pieno sostegno alle istanze dell'assemblea sindacale delle Rsu dell'Istituto Magistrale Cicerone di Formia. In particolare nel documento unitario si «sottolinea l'insostenibilità della condizione in cui operano alcune classi».  Inutile il riferimento al decreto ministeriale  141/99 che, spiegano, prevede: «Un massimo di 20 alunni per le classi prime, in presenza di studenti disabili, e di un massimo di 25 per le classi intermedie». Le situazioni di cui si fanno portavoce Cgil Scuola e Camera del Lavoro, infatti, sforano il tetto imposto per legge. Una situazione che «mette in discussione oltre che la sicurezza degli stessi alunni, anche la possibilità di compiere un normale percorso di apprendimento». Quindi proseguono: «Un'attenzione particolare va posta riguardo all’esiguo numero di ore di sostegno». In tal senso, vale la pena ricordare quanto  previsto all'articolo 3 della legge 104: la persona gravata da handicap «ha diritto alle prestazioni stabilite in suo favore in relazione alla natura e alla consistenza della minorazione, alla capacità complessiva individuale e residuale nonchè alla efficacia delle terapie riabilitative». Tale norma è  rafforzato dall'orientamento della giurisprudenza, per cui determinati diritti, come ad esempio quello di essere assistiti nell'affrontare un percorso di integrazione in ambito scolastico, non può essere messo in discussione da ragioni finanziarie o organizzative. Con queste motivazioni la Cgil Scuola e l'Ufficio H della Camera del Lavoro della provincia di Latina si uniscono alla Rsu, agli studenti, ai docenti e al personale tutto dell'Istituto Magistrale «per chiedere alle competenti istituzioni, prima fra tutti l'Usp di Latina, il rispetto delle norme vigenti così da poter ricreare le condizioni necessarie per un proseguio sereno e proficuo dell’anno scolastico».

Le ipotesi in campo per il Fermi di Gaeta
Il sindaco di Gaeta Antonio Raimondi conferma l’apertura alle istanze degli studenti del Fermi. «Riaprire la succursale di via Veneto» avevano tuonato nel corso delle proteste. E così il primo cittadino ha confermato la sua posizione nella conferenza dei capigruppo convocata martedì pomeriggio. Alla riunione erano presenti, tra gli altri,  l'assessore provinciale Giuseppe Schiboni, la dirigente scolastica del Fermi Gelsomina Gonnella e l'assessore comunale Salvatore Di Ciaccio. Raimondi ha ribadito la disponibilità del Comune, come stabilito dall'odg dell'ultimo consiglio comunale, ad effettuare i lavori necessari al ripristino dell'agibilità della succursale di via Veneto. Ma nella conferenza dei capigruppo sono emerse anche altre possibilità, come quella illustrata dall'assessore Di Ciaccio che prevede «l'affitto della scuola americana da parte della Provincia. Naturalmente, in questo caso bisogna tener conto della disponibilità della proprietà a cedere in affitto i locali». «Tutte operazioni che spettano ovviamente all'ente di via Costa» sottolinea Antonio Raimondi che continua: «Ricordo ai consiglieri che chiedono di discutere della situazione del Liceo nella massima assise che venerdì, pur essendo in piena sessione di bilancio, sono state dedicate circa cinque ore alla situazione del Fermi giungendo all'approvazione di un ordine del giorno nel quale si impegna il sindaco «a mettere in atto tutti quei provvedimenti previsti dalla legge atti al ripristino dell'edificio sito in via Veneto per consentire il regolare svolgimento dell'attività didattica. «Quindi - puntualizza - c'è già stato ampio confronto e se non emergono nuovi elementi è inutile continuare a parlarne tra di noi ripetendoci sempre le stesse cose». Continua la disamina: «Al contrario, la soluzione definitiva del Liceo può e deve essere motivo di discussione consiliare. Ovviamente se ci dovessero essere delle novità rispetto a quanto espresso dall'ordine del giorno, queste costituiranno motivo di convocazione di consiglio durante il quale verrà invitato a confrontarsi anche il presidente Cusani e i sindaci delle città da cui provengono i ragazzi - conclude Raimondi -. In ogni caso, occorre ribadire che tutte le scuole comunali stanno svolgendo regolarmente le lezioni e che, nonostante le protese di una variopinta opposizione, chi sta tentando di risolvere concretamente questa situazione, pur non essendo di sua competenza è il sindaco e l'amministrazione comunale» bacchetta in conclusione Raimondi. Una replica alle opposizioni che lo attaccano da più fronti. 

prima pagina di mercoledì 14 ottobre


martedì 13 ottobre 2009

BASKET - Da Reggio Emilia a Latina andata e ritorno


Paolo Iannuccelli
Reggio Emilia contro Latina, domenica al PalaBigi, in Lega 2 di basket. Per chi tifare?  Difficile la scelta per uno come me legato a entrambe le città. Ho deciso di preferire i colori nerazzurri per un motivo molto semplice: qui ho trascorso 46 anni della mia vita, lì solo 10. Facile comprendere perché esulterò se vincerà la band di Ciaboco. Vivo di basket, dal mini sino alla Nba, facendo di tutto, eccetto l’arbitro. Eppure, proprio nella Città del Tricolore ho visto, da bambino, la mia prima partita, nella vecchia palestra dell’epoca fascista con fondo in parquet e tutte sedie attorno al rettangolo di gioco. Lì giocava La Torre Reggio Emilia, società ancora in vita, ed i miei idoli erano Chico Ovi, grande tiratore, ed i fratelli Castagnetti, le partite più attese erano quelle con Biella. Reggio disputava la serie A, il secondo campionato nazionale dopo l’Eccellenza o Prima Serie. Tutti reggiani in campo, provenienti da una scuola di basket che è ancora la migliore in Italia, un vivaio eccellente. La mattina, mi recavo con la famiglia sul campo della parrocchia di Correggio ad assistere alle evoluzioni – anche sotto la pioggia e la neve -. della Libertas ( la squadra dei preti …) che disputava la serie C e batteva sistematicamente gli odiati cugini carpigiani, distanti solo nove chilometri ma sempre spocchiosi. Il pomeriggio viaggio in auto fino a Reggio per la categoria superiore. Un giorno scoprimmo chi i carpsan avevano pitturato di vernice rossa il monumento ad Antonio Allegri, detto Il Correggio, un grande pittore, un mostro sacro per noi paesani. Guai a toccarlo. La vendetta dei correggesi fu immediata, verniciarono di bianco la statua equestre del generale Manfredo Fanti, ai giardini pubblici di Carpi. Un eroe risorgimentale era stato vilipeso dai correggesi. Se ne parlò per settimane, noi eravamo fieri delle nostre origini e scansavano quelli di Carpi, boriosi per essere i primi in Europa a produrre maglie e “sboroni” con le loro macchine lunghe da “pidocchi rifatti” – cosi dicevano i loro denigratori. La squadra di basket di Carpi era “La Patria”, noi cantavano alla fine dell’incontro: “Mia Patria sei bella e perduta”, prendendo spunto da una canzoncina che imparavamo a scuola. Un nostro giocatore – mi sembra Benatti – andò a provare con la Virtus Bologna di Calebotta e Pellanera, Masselli e Masoni si trasferirono ad Aprilia e giocarono al Cral Simmenthal, Zaccarelli – mio compagno di scuola – fu tesserato dalla Forst Cantù che arrivò alloa scudetto, poi fu la volta della mano caldissima di Rustichelli e di Gualdi che giocava con una sola mano. A Reggio hanno sempre mangiato pane e basket, tanto da arrivare ad ingaggiare il mitico Bob Morse, negli anni ottanta, grazie al’intuizione del presidente Enrico Prandi, ora alla testa del Panathlon International. La Reggiana, dopo aver assaporato la serie A del calcio, non è quella di una volta, il basket fa da padrone. Adesso sono primi in classifica con due successi all’esordio, una sorpresa per tutti, all’inizio della stagione non erano certo tra i favoriti ma le sorprese sono all’ordine del giorno. Domenica sarà una partita tutta da vivere con il piccolo ma ben costruito Latina pronto ad espugnare il PalaBigi. Tortellini in brodo contro mozzarella di bufala, lambrusco contro Vini del Circeo, il carrello dei bolliti opposto alle grigliate di pesce fresco, giunta di centro sinistra da una parte e di centrodestra dall’altra, Del Rio vs Zaccheo, in panchina duello ruggente tra Ramagli e Ciaboco, in campo tra Frosini e Dalipagic. Reggio è terra di intenditori di canestri e di motori, vive di grandi passioni, soprattutto per la politica. Latina ha visto la pallacesto nascere nel lontano 1932, anno di fondazione della città. La prima squadra costituita era femminile, la Pallacanestro Littoria che batteva le avversarie con piglio deciso. Il primo incontro avvenne con l’Anagni che sospettò sul risultato: “Loro sono della città cara al Duce, non possono perdere”. Nella scuola reggiana i cesti al muro ci sono sempre stati, anche alle elementari si insegnava tiri liberi e palleggio. Latina ha visto fior di giocatori crescere sul campo all’aperto, in terra battuta, dell’Opera Balilla, ha ospitato Vittorio Gassman, Giancarlo Primo, Nello Paratore, Cafiero Perrella, Francesco Ferrero, tutti guru che hanno fatto la storia della via italiana al basket. Così vicino, così lontano. La LegaDue è  così vicina, così simile al campionato che la precede (la serie A) ma, al tempo stesso, ne è del tutto lontana. Se il livello tecnico è spesso paritetico rispetto a quello della massima serie, la quotidianità della LegaDue è invece viva, appassionata come si vede a Latina e Reggio. E’ distante anni luce da certe realtà della massima serie, dove per avere una cornice di pubblico appena decente bisogna inventarsi entrate di favore, abbonamenti aziendali e biglietti regalati davanti alle scuole.
Niente di tutto questo: Brindisi, Jesi, Latina, Udine, Venezia, Pistoia, Sassari, Reggio Emilia, ed anche piccoli centri come Casalpusterlengo, Veroli, Scafati, Casale Monferrato, rendono la seconda serie nazionale come un’autentica boccata d’ossigeno. Con piazze storiche (Reggio, Venezia, Brindisi, Pistoia e Udine mettono insieme, sommandoli, quasi 150 anni di serie A), e giocatori autentici, giovani futuribili e stelle esperte ma tutt’altro che arrendevoli o a fine carriera. Spesso giocare in LegaDue è una scelta, economica. Essere leader nella ex A2 è spesso più remunerativo che fare il panchinaro in serie A ma anche tecnica: piuttosto che giocare brevi scampoli di partita, facendo da cambio ad americani viziati e spesso sopravvalutati, meglio, molto meglio essere protagonisti al piano di sotto.