sabato 17 ottobre 2009

La crisi in due strade

Lidano Grassucci


Faccio ogni giorno l’Appia e poi la 156. Sull’Appia da Cisterna a Pontinia si leggevano i nomi di quasi tutta l’industria casearia italiana: Locatelli, Olivieri, Cuomo, Yomo-Pettinicchio. Qui c’era anche la TetraPak la fabbrica che rivoluzionava il confezionamento mettendo insieme carta, alluminio e plastica. Igiene assoluta, costi bassi. Qui era nata la distribuzione moderna con Pettinicchio che aveva fatto scuola di consumi per tutti i pontini, per quelli dei Castelli, per i residenti di Anzio e Nettuno. Pochi chilometri tante storie industriali, poi? Cominciano le bandiere, rosse della Cgil, verdi della Cisl, azzurre di Uil e Ugl. Le prime le ho viste alla Tetra Pak ed è stato l’annuncio della fine, poi la Gambro faceva prodotti medicali, pochi metri più avanti le bandiere sono comparse alla Pettinicchio. Non lo sapevo ancora ma di bandiere in questo mio percorso di meno di 10 chilometri ne avrei viste tante. Quelle della Pettinicchio sono ormai consunte e lo stabilimento dietro è chiuso, degrada come le bandiere. Le ho viste dove non avrei pensato mai di vederle, alla Pacifico. Quando arrivavo a Latina da Sezze, il mio paese, capivo la modernità quando la torre serbatoio mi annunciava orgogliosamente “Pfizer”. Capii di stare al mondo e nel mondo quando leggevo nei bugiardini delle medicine “prodotto nella stabilimento di Borgo San Michele, Latina”. Ho visto le bandiere rosse anche lì, gli operai in strada per difendere la fabbrica che stava per chiudere. Adesso le bandiere rosso vivo ancora stanno alla Gial, lì facevano i marron glacé. La fabbrica sta dopo la Pfizer ed era, per chi veniva dai monti, come toccare con mano l’Italia industriale. San Michele era Milano in scala, poi incontravi il magazzino dei mangimi, con il silos alto e proseguendo arrivavi al Consorzio Agrario, lì i silos erano gialli e sopra il casotto azzurro si vedeva da lontano, erano grandi perché a servizio di una grande agricoltura, quella che ha inventato l’uva Italia, il kiwi, prima i cocomeri, i meloni, le carote, i fiori. Ci mettevano il grano nei silos, tanto grano in un posto nato per fare il grano. Ora ci sono le bandiere, davanti al Consorzio Agrario, anche lì, cominciano a sgualcirsi. E non ci sono più i cocomeri, spariti i fiori, grano poco e anche il kiwi fa fatica.
Un piccolo circuito, quello tra l’Appia e la 156, che riporta già le ferite delle altre crisi. Qui era il cuore dell’industria tessile pontina: confezioni Europa, ora c’è un pezzo di architettura moderna negozi, ma non si produce niente; la Rossi sud, ora è un tentativo di fiera, era stata una fabbrica con centinaia di operai, un gigante, quelli della mia età quando passavano lì davanti sentivano la grandezza dei filati italiani che erano tanto forti da avere anche una squadra di calcio, Lanerossi Vicenza, i colori erano rosso e bianco. Non c’è più.
Perché vi racconto questo? Semplice, perché non lo racconta nessuno. Vi parleranno tanto di mafie sociologiche, di improbabili crisi politiche, di guerre nei partiti.
Su 20 chilometri di strada c’è la storia di una crisi profonda che rischia di travolgerci, ma di cui non si parla. Sulla 156 c’erano i tir, ora ci sono auto che vanno a fare la spesa, poi? Se non si produce. C’è un libro scritto in queste due strade, nessuno lo vuol leggere, nessuno vuole sentire questo odore di fine che c’è. E parliamo di Fondi, parliamo di fidanzate di un improbabile capo.
Parliamo, le bandiere anche alla Gial sono destinate a ingiallire. Qualcuno disse di questi posti: le città del silenzio, ecco abbiamo fatto confusione per un po’ ora torniamo a stare zitti.

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