mercoledì 21 ottobre 2009

Rose o fagioli e il posto fisso

Lidano Grassucci

Sono di animo contadino che significa avere il senso delle cose. Non ho mai compreso perché nei giardini si amano le inutili rose e si negano i fagioli con i quali, almeno, ci fai la zuppa. Sono di indole contadina e se debbo zappare zappo per i fagioli non per il profumo delle rose. Lavoro per la zuppa non per l’aroma. Per questo resto stupito nel sentire che il ministro dell’economia Tremonti asserisce: “è meglio il posto fisso”. Presa così è come dire: mangiare abbondante è meglio che mangiar poco o niente. C’era un personaggio in una trasmissione di Renzo Arbore, un tal Catalano, specializzato nel dire cose ovvie: è meglio star bene che a letto con l’influenza. Catalanate antesignane delle tremontanate di oggi. Anche il presidente del consiglio, Berlusconi, ha concordato: il lavoro fisso è bello. Sento profumo di rose e prevedo scodelle vuote di zuppa.
Come si fa a parlare di posto fisso quando le fabbriche chiudono, le imprese artigiane chiudono, chiudono i supermercati e chiudono i negozi?
Lo Stato, in nome di un passato sognato, ha tagliato un terzo dei posti alla scuola con l’insegnante unico. Ha accorpato le classi riducendo il numero dei docenti. Non si fanno più concorsi pubblici.
Non sono uno statalista, credo che i pubblici dipendenti trarrebbero giovamento da una buona ventata di mercato. Credo che avere la sicurezza del lavoro sia inversamente proporzionale alla sua efficienza. Berlusconi mi aveva convinto dicendo che il mercato era cosa sana e giusta per tutti, ora torna all’Unione Sovietica, alla Ddr.
Tremonti parli di posto fisso ai ricercatori, ai giovani laureati che debbono fare gli scriba negli studi dei vecchi professionisti per via di quella barbarie corporativa che sono gli ordini professionali. Lo dica ai ragazzi che hanno ambizione e voglio lavorare nelle redazioni dei giornali e delle Tv chiuse da sindacati tanto corporativi quanto unici che in nome della difesa di pochi escludono i molti.
Venga Tremonti a parlare del posto fisso con gli operai della Gial, con quelli della Pettinicchio, con i ragazzi dei call center.
Concordo con il ministro Brunetta che, ascoltato il rinato mito del posto fisso, ha spiegato: “roba del secolo scorso”. Qui siamo tutti precari, ministri compresi. Ma il nodo è anche un altro: stiamo parlando di profumo di rose mentre manca la zuppa, e i giornalisti non vedono la zuppa che non c’è e si disperano sulla fragranza del profumo.

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