domenica 31 gennaio 2010

PONTINIA TEATRO FELLINI - - Una festa amara



Maria Corsetti

Tecnica impeccabile, ottima recitazione, scene costruite con maestria, un testo tratto da Pirandello e riscritto con la supervisione di Andrea Camilleri: Festa di famiglia – in scena sabato scorso al Teatro Fellini di Pontinia – ha riproposto l’eccellenza delle Mitipretese, le quattro protagoniste di Roma Ore 11, sullo stesso palco un anno e mezzo fa circa. L’aspettativa c’era tutta per lo spettacolo che inaugurava anche il nuovo corso della struttura la cui direzione artistica è stata di recente affidata ad Ambrogio Sparagna. Sala piena e pubblico attento, brindisi finale nel foyer grazie all’impegno di Paola Sangiorgi che come sempre si è prodigata affinché gli spettatori potessero portare a casa un ricordo in più della serata. “Festa di famiglia” riporta con crudezza quelle dinamiche terribili confinate dentro le mura domestiche, con le quali si convive, ma che in occasione di giorni che si vorrebbero dipingere come lieti vengono a galla con una furia avvelenata da anni di sopportazione. Una furia destinata a rientrare, a coprirsi di nuovo di rassegnazione per covare in attesa di una nuova esplosione e un nuovo rientro. Non c’è fine, l’idea è quella di un dramma che non finisce mai. «Attraverso Pirandello – hanno spiegato le autrici e attrici - abbiamo voluto raccontare una storia contemporanea: un punto di vista sulla famiglia che sembra superato per la nostra società evoluta, ma che invece rispecchia ancora fedelmente quello che siamo. Il tema è drammatico, ma la sfida è stata quella di riuscire a vedere ciò che di grottesco e ridicolo si cela dietro le umane miserie, sperando che in questo Pirandello ci sia stato maestro. Per affrontare un autore così complesso avevamo bisogno di una guida speciale: Andrea Camilleri, grande conoscitore di Pirandello, ci è sembrato il più adatto. È nato un progetto comune, un vero e proprio sodalizio». Il risultato è garantito quanto a drammaticità anche se – ma forse è un discorso valido solo per i super appassionati di Pirandello – viene a mancare quel sottofondo di ironia, quel senso sussurrato di invito alla migliore sopravvivenza possibile che caratterizza l’opera del grande maestro. “Festa di famiglia” è molto più vicino ai canoni del verismo di Giovanni Verga, dove è impossibile trovare uno spunto di riscatto per l’umanità. Visto così “Festa di famiglia” è insuperabile, per come si presenta sul palco  - una macchina teatrale perfetta, con un ritmo recitativo potente, scandito da scene essenziali e luci che invadono a tratti la platea, con spunti di  metateatralità che spiazzano e rimettono in gioco l’attenzione - e per il senso di amarezza che lascia con una fine non fine.
E un senso di amarezza in più c’era sabato sera anche ricordando il Teatro Fellini che era fino alla scorsa stagione. C’eravamo ripromessi di non parlarne più, ma diventa impossibile. Nessun paragone, per carità. Due cose diverse. Un’onesta sala di provincia quella di oggi, il sogno di poter essere i primi quella di ieri. Si può paragonare un sogno bellissimo con una tranquilla realtà? No. I sogni aiutano a vivere meglio, ma c’è chi preferisce vivere di realtà. Si può criticare? No. Seduto accanto all’assessore alla cultura di Pontinia, Patrizia Sperlonga, il consigliere regionale Domenico Di Resta. I sogni sono svaniti insieme alla campagna elettorale.
Prossimo appuntamento al Teatro Fellini: martedì 17 febbraio con “Cena a sorpresa” di Neil Simon, regia di Giovanni Lombardo Radice, con Giancarlo Zanetti.

L'ARCINORMALE- La città degli uomini soli


Lidano Grassucci 

Ogni morte di uomo impoverisce un po’ e non ci sono eccezioni, distinguo, a questo principio. Poi la morte ha un significato moltiplicato per milioni per chi a quell’uomo è legato da affetto. Ma la morte è anche rispetto per il modo in cui si è vissuto. Ieri ai funerali di una delle vittime di quella che ancora non abbiamo definito ma che potrebbe essere una faida, una guerra dentro il vivere male della città c’era tanta gente. C’era tanta gente come quando si rende omaggio a un soldato caduto in una guerra che in qualche modo non si ritiene sporca ma spiegabile. Non capisco perché non c’è stata altrettanta indignazione contro quella cultura, quel modo di vivere, che è mandante di quelle morti. Il sacerdote dal pulpito ha chiesto di fermare il sangue. Il sacerdote fa il suo dovere e ritiene sacra la vita, ma cosa c’è di cristiano, di umano, in tutto quello che sta succedendo in questa città? Perché l’appello del vescovo di ieri, che noi abbiamo riportato a tutta pagina, non ha avuto seguito. Non amo i preti quando invadono la sfera pubblica, ma li rispetto quando guidano le anime. Ma questa volta le anime erano silenziose, i fuochi d’artificio hanno suonato più forte delle parole del capo della chiesa. La città non ha nel suo Dna nessuna idea discriminante di bene e di male. E’ un bambino che gioca con il fuoco e per attizzarlo gli butta sopra l’alcol che poi a contatto con la fiamma farà il percorso incerto e brucerà anche lui. Ieri il silenzio davanti alle parole del vescovo, il silenzio davanti alle parole del sacerdote che pregava di non uccidere più ragazzi, perché non c’è nessuna ragione né criminale né civile che giustifichi la morte di alcuno, è stato agghiacciante. Latina è questa, una città uccisa dal vomitare della retorica a fronte del vuoto sociale. Forse ho sbagliato quando ho parlato di amore per Latina, Latina non si può amare perché è niente, è un insieme casuale di edifici in cui casualmente si trova a vivere una massa informe guidata da istinto e scevra di ragione.  Ogni morte di uomo mi rende più povero, ma la morte di una comunità mi rende, ci rende, soli. Questa è una città di uomini e donne soli.

LATINA - Faida, città a ferro e fuoco

Daniela Bianconi
«Chi ha visto non parla. Ci sono dei testimoni ma preferiscono tenere le labbra cucite». A confermarlo è il vicequestore a capo della Squadra Mobile, Cristiano Tatarelli. Si apre un nuovo scenario sul tentato omicidio e sui due delitti che hanno messo in ginocchio una città definita tranquilla. L’agguato a Carmine Ciarelli, l’omicidio Moro e il delitto Buonamano non sono allora passati inosservati? Qualcuno ha visto e la polizia ha i nomi e i cognomi, ma nessuno, almeno stando a quanto trapelato, collabora. Che tutto sia ormai collegato non ci sono più dubbi. Gli investigatori non hanno mai negato l’esistenza di uno stretto legame tra quanto accaduto in meno di 48 ore a Latina. Il movente della scia di sangue potrebbe essere strettamente collegato al passato giudiziario di Carmine Ciarelli e a quello di Massimiliano Moro. Il primo è stato arrestato più volte per i reati collegati all’usura e all’estorsione. Il 45enne era stato arrestato l’estate scorsa e poi rimesso in libertà per i reati di estorsione, minacce, lesioni e droga. Massimiliano Moro il giorno del ferimento del 44enne si è recato in ospedale a fargli visita. Solo qualche ora dopo, nonostante fosse sua abitudine barricarsi in casa, ha aperto la porta agli assassini. Alle 17 di mercoledì scorso Fabio Buonamano è stato visto nell’ospedale Santa Maria Goretti di Latina. Meno di tre ore dopo è stato assassinato. Fabio Buonamano, conosciuto con il soprannome di Bistecca, conosceva molto bene Massimiliano Moro e aveva anche un ottimo rapporto con Costantino di Silvio detto Patatone. Lui, secondo gli investigatori è l’ultimo ad averlo visto vivo, ma da lunedì scorso, seppur iscritto nel registro degli indagati, è irreperibile. Fabio Buonamano aveva anche contatti con Carmine Ciarelli e quest’ultimo è in buoni rapporti con Costantino Di Silvio. A distanza di quattro giorni dall’omicidio Buonamano, un testimone chiave dell’inchiesta è desaparecidos. «Molti volti noti - ha precisato la questura - che sono stati ascoltati lunedì dopo il primo agguato sono irrintracciabili. Ma anche testimoni chiave - tra la gente comune - si sono trincerati dietro il muro dell’omertà». Il 33enne, l’ultima vittima, è salito sulla macchina dell’assassino. Su questo non ci sono dubbi. «LaY10 - ha proseguito Tatarelli - l’unica che ci risulta in uso a Buonamano è stata ritrovata già da alcuni giorni. Come del resto anche la Smart con il logo del centro sportivo che lui gestisce. L’utilitaria l’aveva venduta l’abbiamo già esaminata e non c’è nulla di interessante. Ieri mattina abbiamo eseguito altre 10 perquisizioni e fatti altri esami specifici come quelli per lo stub, per accertare la presenza di residui di polvere da sparo. Ma per gli esiti ci vogliono ancora alcuni giorni. I punti fermi di un’indagine complessa restano: la pista locale legata ad una lotta interna per tenere in mano le redini della microcriminalità in zona e Costantino Di Silvio iscritto nel registro degli indagati. La difesa ha comunque rinunciato alla nomina di un proprio consulente tecnico per quello che riguarda l’autopsia sul corpo di Fabio Buonamano che si è svolta ieri. Ma su chi e come sia stata messa in moto questa spaventosa reazione a catena, gli investigatori e i pm Giancristofaro e De Pasquale tengono la bocca cucita.

sabato 30 gennaio 2010

FORMIA - Lavori sulla Litoranea - Il passaggio della rotonda dei carabinieri si contrddistingue per la pericolosità

31 gennaio 2010 
Raffaele Vallefuoco 
Cresce il disagio per l’emergenza viabilità a Formia. Diversi i fronti caldi della crisi apertasi col cantiere della Litoranea. Cercheremo di dare voce alle perplessità dei cittadini,  raccogliendole per strada. Per questo all’indomani dell’investimento di un pedone su via Vitruvio urge una soluzione definitiva per il passaggio pedonale della rotonda dei carabinieri. L’attraversamento è un punto nevralgico. In quel segmento di strada convergono e si bloccano, nelle ore di punta, i mezzi provenienti da Napoli e da Roma. Il semaforo giallo intermittente consente il passaggio facilitato, vista la fila chilometrica, nel tratto di strada verso il centro cittadino, mentre  diventa pericoloso l’attraversamento della restante parte di carreggiata, soprattutto quando, scattando il verde per uno dei semafori coordinati, si libera l’ingorgo e la foga di superare quel tratto di strada spinge a premere sull’accelleratore. Si sono registrati casi di pedoni in difficoltà fermi al centro della carreggiata, mentre tir sfrecciavano ad alta velocità. Reclutare ausiliari del traffico per regolare l’attraversamento, quindi, potrebbe essere una soluzione realistica, sgombrando il campo da ipotesi di sotto e sovrappassaggi. Altra questione a mandare in bestia sono le contravvenzioni. “E adesso fanno pure le multe” commenta un anziano fermo a margine di via Macello. Mani dietro la schiena fa spallucce osservando il vigile che stacca una contravvenzione che infila tra tergicristallo e parabrezza di un’auto ferma sotto un divieto di sosta. In successione l’aspetta una intera fila di macchine che arriva sino alla principale arteria via Emanuele Filiberto. La strada in questione è senza uscita a lato della De Amicis, scuola elementare, la cui unica direzione è la dismessa fabbrica. “Non si capisca a chi diano fastidio” commenta una mamma che, uscendo dalla scuola, raggiunge l’auto parcheggiata nella fila a sinistra. Cerco di far ragionare il vigile.
Mancano i parcheggi. Sulla strada principale è stato istituito il divieto di sosta per il tratto compreso tra il Bar Messico e la Chiesa di San Giovanni. “C’è un’emergenza e si va a parcheggiare a un chilometro di distanza” ribatte l’agente. Non ho il tempo di replicare. C’è un’auto che vuole passare. “Ho fretta” strilla l’automobilista dall’abitacolo, incurante che le mie perplessità sono avanzate anche nel suo interesse. 

L'ARCINORMALE - Massa Latina


 Lidano Grassucci
Ora torniamo a parlare di politica, torniamo a parlare di elezioni come se queste fossero cosa diversa da quello che abbiamo raccontato fino a ieri, vale a dire quel male che si è tradotto in due morti e in un ferito grave dentro la città capoluogo. Che è parlare di politica, forse in modo più evidente, perché la politica, che è poi il sentire comune della gente (gli anglosassoni la definiscono la condizione prima delle scelte politiche nel concetto di “opinione pubblica”). Ecco, è questo che ci manca, per cui il nostro parlare di elezioni è monco. Da noi si vota per tifo, per simpatia, per scommessa, ma soprattutto per stare dalla parte di chi vince. Da noi non c’è l’opinione pubblica, cioè non c’è un sentire comune che poi fornisce il terreno su cui coltivare piante che possano essere i partiti politici, i leader politici, i quadri, gli amministratori. Da noi ci sono elettori tifosi ed eletti notabili. Perché l’eletto non deve esprimere null’altro che il tifo: sta lì perché è dell’Inter o della Roma, e non c’è un perché. La spiegazione è che tanto “così è”. I colpi di pistola delle organizzazioni criminali locali che diventano capaci di logistica militare sofisticata, che sono in grado di esprimere azioni e reazioni con rapidità militare, non differente o non inferiore a quella della malavita metropolitana di Roma, di Napoli, di Milano, costituiscono un disequilibrio oggettivo, perché loro, la parte malata della città, sono pari ai colleghi metropolitani, ma nelle metropoli c’è opinione pubblica, società civile, capacità di indignarsi. Ci sono anticorpi sociali in grado di garantire la convivenza civile. Da noi no. C’è il rischio che la nostra comunità sia sbilanciata, che cammini sopra una gamba malata, cresca senza l’ausilio, il supporto, la velocità che consente soltanto la gamba sana. A Latina oggi interviene il vescovo, lo fa da vescovo e lo fa per quel che gli compete, che è l’attenzione alle coscienze, che lamenta «non essere reattive abbastanza» e chiede, il vescovo, «anticorpi culturali», punta il dito indice proprio sulla mancanza di «opinione pubblica». Un tempo avrei definito tutto ciò mancanza di etica repubblicana, ma credo che non sarei compreso in una comunità dove il problema è l’etica tout court, che certi sofismi si traducono in nulla dichiarato. Il sindaco di Latina, Vincenzo Zaccheo, riferiva di mobilitazione sociale, ed io qualche giorno fa vi ho ricordato che quell’azione avviene solo dopo e solo se c’è una indignazione civile, che non c’è stata. Sullo stesso mio giornale ci sono stati articoli in cui si esaltavano virtù di alcuni dei protagonisti dei fatti di cronaca, non entro nel merito di queste virtù, ma certo non era questo il momento di sottolinearle e lo dico per dimostrare che i dolori, il male che abbiamo davanti, rompe i confini tra bene e male, giusto e ingiusto, che consentono alle comunità di tutelarsi dalla loro follia. I consiglieri comunali che vanno ai funerali delle vittime di uno scontro miliare, non entro nel merito degli aspetti personali, ma denotano l’incertezza dei confini. Ecco, in questa vicenda, nelle reazioni, nella cronaca che facciamo ora, c’è tutto il male di Latina, l’essere un grande agglomerato urbano ma non una città, l’essere un insieme di case, ma non una città, l’essere un momento casuale di incontro di persone, ma non un popolo. 

giovedì 28 gennaio 2010

GAETA - Pozzi Ginori, un futuro critico


 Teresa Faticoni
 «Lo stabilimento della Pozzi Ginori di Gaeta è a rischio». Così ha esordito ieri in Confindustria Fulvio Spertini, vicepresidente del gruppo Sanitec. Spertini era stato convocato per il secondo incontro interlocutorio dopo quello dei primi di dicembre insieme alle parti sociali in associazione industriali a Latina in via Montesanto per capire quale possa essere il futuro di un sito che negli anni d’oro era il fiore all’occhiello del territorio, adesso sembra essere diventato una zavorra. Con lui anche il direttore generale di Pozzi Ginori Ivano Bizzarro e il nuovo direttore di stabilimento Mandara. L’analisi è partita dal mercato italiano che ha subito una notevole flessione nel 2009. Da 8,3 milioni di pezzi assorbiti nel 2008 si è passati ai 6,2 milioni nel 2009. Una contrazione che ha portato la Pozzi Ginori a perdere una fetta di mercato pari al 20% circa con una perdita di fatturato pari a circa 5 milioni di euro. In questa situazione generale la Sanitec chiede che anche lo stabilimento di Gaeta dia il suo contributo per mettere in campo azioni di recupero di produttività ed efficienza e per abbassare il costo del lavoro. Per il 2010 sono stati assegnati allo stabilimento di Gaeta 600mila pezzi da produrre. «Una situazione delicata – commenta Dario D’Arcangelis, segretario generale della Filctem Cgil di Latina - di difficile gestione considerate anche le condizioni occupazionali del nostro territorio. Dobbiamo fare in modo di trovare soluzioni per mantenere solido lo stabilimento». L’azienda, dopo un susseguirsi di riorganizzazioni nel 2006 e 2009, aveva già preannunciato per questo mese seri problemi, con aumento dei costi di produzione a seguito dei quali non sarebbe riuscita a garantire tutti i livelli occupazionali. Come si mettono dunque le cose? «In questo momento particolare il lavoro che aspetta le organizzazioni sindacali – spiega Armando Valiani, segretario provinciale della Ugl chimici - è veramente particolare perché a cuore abbiamo salvaguardia di 400 posti lavoro». Il 5 è stata convocata una assemblea dei lavoratori, cui i sindacalisti spiegheranno la situazione. «Abbiamo dichiarato la nostra indisponibilità a trattare sul taglio dei salari – annuncia Roberto Cecere, segretario della Femca Cisl – chiederemo la massima collaborazione dei lavoratori, ma le due cose sarebbero contrapposte». Il 5 Cecere & co chiederanno ai dipendenti, considerato anche il cambio al vertice dell’azienda, la massima disponibilità a collaborare con un maggiore impegno e assiduità al lavoro. «Ma la macchina organizzativa deve partire al più presto – conclude Cecere – con la consapevolezza che tutto ciò che faremo sarà con il consenso dei lavoratori». L’11 febbraio, invece, ci si rivede in Confindustria.


Lavoro nero, una piaga allarmante




Teresa Faticoni

Lavoro nero, nerissimo. Una piaga allarmante accertata dalla Direzione provinciale del lavoro nel 2009. Su 1.723 aziende visitate dagli ispettori di viale Nervi, per 640 titolari sono scattate le maxisanzioni per lavoro nero. In sostanza il 37,14% assume gente non in regola. Per 21 delle aziende finite sotto l’occhio di bue della Direzione è invece arrivata la diffida accertativa. Si tratta di una sanzione che scaturisce quando, nell’ambito dell’attività di vigilanza, emergano inosservanze alla disciplina contrattuale da cui emergono crediti patrimoniali in favore dei lavoratori. In questo caso il personale ispettivo della Dpl diffida il datore di lavoro a corrispondere gli importi mediante il provvedimento di diffida che acquista valore di accertamento tecnico con efficacia di titolo esecutivo, dopo la validazione della Direzione. Un fenomeno che appare non molto diffuso, questo, ma che rende davvero l’idea di come in certe situazioni vengano trattati i dipendenti. Sul totale delle aziende ispezionate gli ispettori hanno preso il drastico provvedimento della sospensione dell’attività imprenditoriale con il sequestro del cantiere in 98 casi. In generale 219 sono state le richieste di intervento su esposti o denunce avanzate dal lavoratore stesso. «Detti risultati – commentano il direttore della Dpl di Latina Vincenzo Guarino e il responsabile dell’Ufficio relazioni con il pubblico Otello Olivieri - evidenziano l’egregio lavoro, svolto dal personale ispettivo e dal nucleo carabinieri in servizio presso la Dpl di Latina, teso alla riduzione del preoccupante fenomeno delle irregolarità nel mercato del lavoro e in particolare del fenomeno del lavoro nero». Nel 2009 le controversie individuali trattate al palazzo di vetro sono state 1.079 per il settore pubblico e 3.671 in quello privato. Risultati che evidenziano un costante aumento delle istanze presentate, risolte in 90 giorni per il pubblico e 60 per il privato. 3.448 sono stati i provvedimenti di autorizzazione per l’estensione del congedo di maternità per gravidanza a rischio. La fotografia dei lavoratori extracomunitari parla di 12mila domande pervenute. Le quote messe a disposizione del governo per la provincia di latina si fermano, invece, a 6.530 lavoratori stranieri ammessi. I nulla osta rilasciati sono stati 5.411, mentre 518 domande sono state rigettate. A oggi, quindi, rimangono 1.119 posti liberi per chi dall’estero volesse venire a lavorare a Latina.

Ponza: Ares 118 secondo atto

Raffaele Vallefuoco  
29/01/10

Il coordinatore Fo Cgil Ares 118 Roma e Lazio, Sergio Bussone, fomenta la polemica sul 118 a Ponza. Una posizione non strumentale, ma sintesi delle numerose assemblee convocate dall'organizzazione sindacale. In particolare denuncia Bussone: "L’Azienda Ares 118 continua nella sua opera di smantellamento del servizio di emergenza sanitaria pubblica nella Provincia di Latina, dismettendo mezzi e personale a favore di soggetti esterni, utilizzando associazioni di volontariato". Francamente "non capiamo come la direzione aziendale debba pagare 434.645,00 euro ad un’associazione attivata “senza fini di lucro". Siamo profondamente indignati - spiega Bussone -. Un ulteriore appalto a ditte private del servizio di emergenza sull’isola di Ponza per ricavare presunti risparmi!" E' questo il nodo che il sindacato stigmatizza, prima di difendere l'attuale gestione. "Fino ad oggi il personale utilizzato  nella postazione Ares 118  sull’isola di Ponza è stato gestito con turni in h 12 diurno e in h 12 in “reperibilità”. Questo significa che la postazione è sempre stata attiva nelle 24 ore, senza mai alcun ritardo nei soccorsi" garantisce. "In supporto al personale titolare si aggiunge, in regime di lavoro straordinario, altro personale medico, infermieristico e autista  che, a proprie spese, sopperisce all’esigenza della postazione". Ad oggi questi operatori "aspettano ancora di essere pagati per il loro lavoro, con arretrati che arrivano al 2007, nonostante il continuo impegno nella postazione di Ponza. L’azienda Ares 118 sembra fare il gioco della scimmietta: non vede, non sente, non parla. Ma invece di rottamare le postazioni si impegni piuttosto a far crescere la qualità del servizio, garantita fino ad oggi". 

mercoledì 27 gennaio 2010

Mamme troppo prese da se stesse, figli farlocchi e montati. Tutti alla cava...

L'Eretica di Alessia Tomasini



Un ragazzo, ma non è il solo, ieri spiegava che lui deve fare il lavoro per cui è nato e per cui ha studiato. Vero, giustissimo. Poi ha aggiunto che però non trova nulla, che i suoi curriculum non vengono presi in considerazione. La famiglia sta cercando di aiutarlo a trovare giusta collocazione, ma nulla. Il tipo ha 33 anni e ne dimostra sedici. Gli ho chiesto umilmente perchè intanto, prima di trovare impiego come ingegnere delle telecomunicazioni, non fa altro. Poco ci mancava che non mi aggrediva. Assolutamente no! Alla cava lo manderei, lui e la famiglia. Poi ci lamentiamo che i figli vogliono restare a casa. Non ho figli ma sono figlia e i miei a calci mi mandavano a lavorare (e di questo gliene sono grata) altro che ingegnere nucleare. Il punto credo stia nell’educazione che viene data a questi pargoli sin troppo coccolati. A 30 anni non si può vivere nella bambagia, il mondo è brutto, cattivo e pure sleale. Nessuno ha quello che merita (purtroppo), capacità e valore sono solo medaglie che si possono portare nell’interno della giacca. Se si attende che qualcuno le riconosca siamo fritti. Quindi care mamme se volete evitare che questi bimbi siano solo farlocchi, dedicatevi a loro anzichè cercare di dar sfogo alle vostre repressioni da casalinghe insoddisfatte e lavoratrici mancate.

“Bistecca” è caduto in una trappola

Stessa trama, stessa storia, altra vittima. Fabio Buonamano,  conosciuto da tutti con il soprannome di “Bistecca” conosceva i suoi assassini, gli hanno teso una trappola”. A distanza di meno di 48 ore - l’ipotesi più probabile sulla ricostruzione del secondo delitto in due giorni a Latina - è che il 33enne sia stato tradito e trasportato con la forza fino in via Monte Lupone, dove è stato prima ferito a colpi di pistola e poi investito dall’auto in uso agli assassini. Ma andiamo per ordine. Martedì poco dopo le 19 Fabio Buonamano ha contatti con alcuni “amici”. Sempre stando alla ricostruzione fatta dagli inquirenti, il 33enne residente in una traversa di viale Kennedy - sarebbe salito sull’auto, in un primo momento senza opporre alcuna resistenza. Una volta arrivato su via Monte Lupone tutto è cambiato. Qualcuno, presumibilmente le stesse persone che la vittima credeva essere degli “amici” hanno estratto una pistola calibro 7,65 e hanno esploso sei colpi: quattro a segno. Fabio Buonamano è stato colpito due volte all’addome, una al torace e uno al collo. La vittima avrebbe tentato di scappare. Al centro della strada è stato ritrovato anche il suo giubbotto, repertato dalla polizia scientifica, come i due cellulari che aveva addosso. Ma non è ancora finita. Gli assassini, dopo aver esploso colpi a raffica, per essere sicuri di non lasciare nulla di incompiuto, hanno premuto sull’acceleratore e lo hanno investito con la macchina passando con le ruote anteriori all’altezza dello stomaco. Qualcuno ha lanciato l’allarme al 118 e alle forze dell’ordine. Il corpo del 33enne era riverso al centro della strada, impossibile non notarlo. Nessuna traccia, almeno per il momento, della Smart in uso alla vittima. Durante le decine di perquisizioni fatte dagli agenti della Squadra Mobile è stata, invece, ritrovata lungo Corso Matteotti all’altezza della galleria Pennacchi, la sua Y10. L’auto, ovviamente, è stata sequestrata e condotta nei laboratori della scientifica. Non si sono mai placati gli interrogatori in questura né tantomeno le perquisizioni a casa dei soliti noti. Posti di blocco ovunque in città, in attesa dei rinforzi che arriveranno dalla Capitale.


Chi ha barato



Lidano Grassucci




Questa estate i problemi della provincia di Latina erano i pontili senza licenza edilizia a Ponza, e prima se “l’affidamento dei lavori in house di Acqualatina era lecito oppure no”, poi abbiamo avuto sequestri per ombrelloni fuori posto. Il tutto condito dalla madre di tutte le infamie: la mafia a Fondi. Dalla Prefettura si sono mossi solerti funzionari, commissioni di accesso, che hanno scoperto l’esistenza di infiltrazioni leggendo le delibere del comune. Hanno intercettato tutti, hanno fatto appostamenti anche alle coppiette ai giardinetti. Convegni sulla sicurezza, abbiamo avuto anche un presidente del Tar che ci ha spiegato che ormai la vita pubblica pontina era così degradata che dovevamo affidare il governo della città al Vescovo. Tutte cose, non figlie di romanzo, ma vere. Il problema della provincia, ci spiegavano, era l’abusivismo edilizio. Hanno “arrestato” pure le fabbriche che facevano puzza, perché come in Svizzera altro problema non c’era. E sono arrivati a condannare le bufale della Bufalara ree di avere ecceduto in sedute alla ritirata.
Altro? Niente, non c’era. Ancora oggi un giornale locale che esce in panino con uno nazionale ci spiega che: è colpa di Cusani. Insomma il mandante dei due delitti dell’altro giorno, dell’attentato della mattina, è il presidente della Provincia che ha delegittimato la magistratura.
Capisco tutto, ma siamo alla farsa finale. Siamo allo psicodramma. Qui  vivevamo in una discarica e ci facevamo meraviglia del tappeto sporco della vicina, dei vetri impolverati della finestra che dà sulla nostra discarica.
Possibile che nella città che non aveva mali, dove il nodo era l’appalto in house, o la licenza edilizia della boa arrivano un tentato omicidio e due omicidi in 24 ore e nessuno intercetta nulla, nessuno incappa nelle task force che si muovono, armate, da un quartiere all’altro? Ma beccano chi si è fatto una grappetta dopo pasto. Nessuno aveva capito prima (tutti ‘sti mafiologi erano distratti?) cosa stava avvenendo a Latina? Due morti e un ferito, tutta gente nata e cresciuta a Latina, conosciuta a Latina. Ora cosa faranno una commissine d’accesso? Si domanderanno se gli omicidi sono in house o out house? I miei colleghi a chi daranno la colpa? Scopriranno che qualcuno è parente a Fazzone perché sia la madre del malamente sia quella del segretario del Pdl sono femmine, ergo dello stesso genere, quindi è cugino.
Faccio poca cronaca nera, la mafia non l’ho mai capita, ma credo che se nessuno dei miei colleghi (che di Fondi sapevano sempre di più) ha scritto una riga su una roba che fa due morti e un ferito, allora non ha capito niente lui.
No amici miei la colpa è dell’ipocrisia che regna sovrana qui, della menzogna di chi racconta. Non mi lego a questa schiera e ribadisco: mi importa poco se la boa ha la licenza edilizia o no, molto, moltissimo di vivere in una città serena. Qui dobbiamo interrogarci: qualcuno ci ha venduto merce inutile o avariata.


Aprilia . Tributi Italia cancellata anche dal Tar


Maria Corsetti
È andato dritto al merito della questione il tribunale amministrativo del Lazio che ieri mattina ha sciolto ogni riserva, confermando la cancellazione della Tributi Italia dall’albo dei riscossori, avvenuta lo scorso 14 dicembre.  Una vicenda complessa, come hanno rilevato gli stessi giudici, che alla fine hanno dato ragione al Ministero delle finanze e ai comuni che si erano costituiti ad adiuvandum, tra questi Aprilia. In gioco, lo ricordiamo, tante questioni: dai 135 comuni che reclamano una gestione diretta dei tributi, per continuare con i 1.300 dipendenti della società che rischiano il posto di lavoro.  Intanto, però, il Tar non si è tirato indietro da una decisione attesissima, al punto che domenica 10 gennaio ad Aprilia si era tenuta una manifestazione pubblica per protestare contro la gestione dei tributi da parte dell’Aser, la società mista di cui la Tributi Italia rappresenta la parte privata, e a seguire, il 13 gennaio circa cento cittadini si erano recati di fronte la sede romana del tribunale amministrativo per manifestare il loro malumore, considerata anche la velocità con la quale il Tribunale amministrativo aveva concesso la sospensiva del provvedimento del Ministero delle finanze. Con altrettanta velocità, va però sottolineato, ne ha confermato la cancellazione. Lunga e molto articolata la sentenza della seconda sezione del Tar che ha ritenuta congrua la cancellazione da parte della Commissione per la tenuta dell’albo  «non perché, in passato, v’erano stati anche seri e gravi inadempimenti da parte della ricorrente verso un certo numero di enti concedenti, ma dopo che, a seguito di un prolungato e sostanzialmente irreversibile stato di crisi strutturale di tal società, v’è stato un accertamento, in contraddittorio con questa, dell’impossibilità di rimuovere siffatte criticità e di mantenere un rapporto fisiologico con gli enti». In poche parole è stata riconosciuta l’impossibilità della Tributi Italia di superare la crisi. Un giudizio che potrebbe pesare come un macigno nelle udienze per le istanze di fallimento presentate, una sarà discussa il prossimo due febbraio. Ma andiamo a vedere gli effetti immediati della sentenza: la riscossione dei tributi passa di nuovo in capo ai comuni.  Aprilia, dunque, si riappropria dei contributi dei propri cittadini anche se, quanto a recuperare il pregresso, le speranze sono limitatissime.

…E NIK FA IL PIENO

La sinistra fa l’ennesimo autogoal. …E Nik fa il pieno. Sbaraglia tutti e col 70% delle preferenze si appresta a ricandidarsi. E sorprende anche i grandi guru della politica. Soprattutto sorprende D’Alema, il grande burattinaio della sinistra che dopo avere preparato un cappottino su misura per il governatore della Puglia prende uno schiaffone dalle elezioni primarie che lo avrebbero, secondo lui, messo fuori definitivamente dalla corsa alla presidenza della sua Regione. Convinto e senza ripensamenti come sempre, D’Alema immaginava fosse un gioco da ragazzi, semplice come bere un bicchier d’acqua escluderlo una volta per tutte immaginando di andare a vincere imponendo il suo uomo e coalizzandosi con l’UDC. Così non è stato. Una volta di più, come se fossero poche, la sinistra ha mostrato la sua inefficacia nelle strategie  che ormai pare non le vengano più come dovrebbero. Un paese con un governo solo al comando  e non chissà per quale strana congiuntura astrale o per una catastrofe cui bisogna, obtorto collo, sottostare. No, in Italia non c’è più l’opposizione e non c’è perché semplicemente non esiste. Chissà se in maniera semplice e determinata o complessa e difficile migliaia di uomini si organizzarono e combatterono per salvare la Patria dal fascismo. Non lo so. Ma ci riuscirono probabilmente con la sola voglia di riscatto. Con la sola voglia di uscire da una situazione insopportabile. Guerra a parte, e per fortuna la situazione è oggi diversa, ma cos’altro deve ancora succedere al PD per far si che scenda, da quell’inutile, presuntuoso piedistallo e si renda veramente conto di essere allo sbando più totale?  Nessuno si rende conto delle fallimentari scelte che di volta in volta stanno buttando la sinistra nel baratro? E’ probabile, stando alle previsioni che Niki Vendola riesca a vincere da solo la sua corsa in Puglia e che nel Lazio si rischi di vincere con una donna, con un ineccepibile curriculum, che del PD non è mai stata. Qualche domanda forse è il caso che se la pongano. La storia insegna la tragica fine cui sono stati destinati uomini,   che nonostante la loro indiscussa intelligenza, hanno governato tronfi e con atteggiamento di “uomini che non devono chiedere mai”. Io fossi in loro una sbirciatina a qualche libro di storia, anche della più recente, la darei.     
chevipera@libero.it
             


martedì 26 gennaio 2010

LIBERTE’ DE CHEZ NOUS

aemme
Burka out. Vietato, senza se e senza ma. Il presidente ha ormai deciso. Sarkozy ha stabilito che il burka non potrà più essere indossato all’interno delle strutture pubbliche francesi. Sarà considerato reato. Siamo maestri in questo, noi occidentali. Sappiamo dare lezioni di libertà e di democrazia. Addirittura non solo a casa nostra, ma siamo capaci di esportarle dappertutto, o quasi, anche dove nessuno le ha mai richieste e pure a costo di vite umane. Detentori, come ci crediamo, della civiltà, della cultura, della libertà. Così capita,  pur avendo letto alla vigilia di un viaggio in paesi arabi il consiglio esplicito dell’agenzia di non indossare abiti succinti perché contrari alla religione di quei luoghi, di vedere turiste occidentali con shorts e abitini di garza leggerissimi e trasparenti. Non solo nei luoghi più turistici della costa nord africana. Non sarà difficile vedere, non solo a Sharm o ad Agadir,, topless e perizoma, ma abiti “risicati”pure nell’entroterra egiziano, marocchino o degli Emirati Arabi. E’ vero, loro guardano e sicuramente commentano ( sapendo che noi non li comprendiamo) ma nessuno si sognerebbe di chiamare la polizia. Loro, che la libertà, come la intendiamo noi, non sanno proprio cosa sia. Il caro Sarkozy, in nome della sua libertà, ha fatto una ipocrita campagna elettorale mano nella mano con la sua signora e dopo qualche giorno dall’elezione ha dichiarato al mondo che era tutto finito. Un mese dopo, o poco più, era già “risposato” con Carla Bruni. Ancora ipocrisie, ancora falsità. Una persona così libera non avrebbe dovuto esitare ad evitare l’esternazione di simili complici sguardi d’intesa. Qualcuno paga sempre le conseguenze delle libere decisioni di un autoritario ed arrogante personaggio, che in nome della libertà, vieta a chi lo desidera (fosse pure una su mille) la libertà di usare ed indossare ciò che crede. Incomprensibile per me, ma forse culturalmente tollerabile per loro. Mia nonna (per osservanza della sua religione cattolica) andava a messa col velo sulla testa e tante signore dei paesi che ci circondano portavano sino a qualche hanno fa un fazzoletto che copriva loro il capo. Libere o costrette? Libertà negata quando in nome della religione un genitore criminale uccide la propria figlia perché veste all’occidentale. Libertà negata quando qualcuno, chiunque sia, decide per noi cosa non dobbiamo indossare. Alla fine siamo sempre noi, noi donne, nostro malgrado al centro di atteggiamenti ed imposizioni talebane, che poco, anzi per niente, tengono conto del nostro pensiero e del nostro volere. Meglio, nessuno tiene conto del rispetto di questa, nostra, tanto sospirata “libertè”.
chevipera@libero.it   

La mafia che è in noi



Lidano Grassucci

Come ai tempi del proibizionismo americano. Siamo alle guerre per bande, alle faide. Siamo usciti a colpi di arma da fuoco dall’idea che eravamo diversi, buoni, in un mondo violento. Siamo eguali alle altre città meridionali d’Italia. La città redenta, l’umanesimo del lavoro, sono stupidaggini, sono alibi per una classe dirigente che non ha capito. Latina ha chiuso con la sua stessa illusione. Abbiamo per mesi baloccato su infiltrazioni, su malavite importate, abbiamo fatto sociologia mafiante e non abbiamo visto la fogna che era dentro noi. Bello pensare di essere puri e avere la possibilità del male solo per contagio esterno. No, avevamo il tumore dentro, stava crescendo, ci sono le metastasi. Guardavamo Fondi, leggevamo lo scrittore di grido che sa tutto di mafia e il suo sapere te lo vende, le associazioni dei virtuosi vedevano mafie anche nei semafori spenti, i giornali ben inseriti facevano le liste dei cattivi che erano sempre i loro avversari e si autoproclamavano buoni.
Ora? Una faida: agguati, esecuzioni, vendette. E nessuno sapeva nulla, nessuno vedeva. Come è venuta la Rai a spiegare che qui c’erano casalesi, corleonesi, mafia cinese, pure ufo al soldo di Riina e invece… Invece il male dentro noi, un male nostro. Un male che è difficile da dire come quando devi ammettere che tuo figlio non è un angioletto. Agguato la mattina, con un ferito grave, attentato per uccidere; esecuzione la sera; di nuovo imboscata il giorno dopo. I sicari viaggiano in città, in tutti gli angoli di città, indisturbati, hanno armi, logistica per occultarle, hanno capacità di reazione rapida, hanno testa. Conoscono i luoghi. Come i talebani. Cosa debbo dire, questi omicidi cancellano, annichiliscono, i filosofi di mafie, le commissioni di accesso e quelle di eccesso. A colpi di pistola siamo quello che siamo: una comunità malata dentro, a cui i casalesi, i corleonesi, non debbono insegnare nulla.
Buongiorno, benvenuti a Latina, Italia del sud. 

Villaggio del Parco, tutti condannati

Elena Ganelli
Cinque condanne e la conferma del sequestro per case e terreni. Si è concluso così, ale 14.30 di ieri pomeriggio il processo per il “Villaggio del Parco”, la lottizzazione realizzata a Bella Farnia per la quale sono finiti sul banco degli imputati l’ex sindaco di Sabaudia Salvatore Schintu, Carmine Ciccone e Carmen Lorenzi rispettivamente committente dei lavori e ammministratore della Petrarca costruzioni proprietaria dei terreni, Carlo Gurgone e Vincenzo D’Arcangelo, entrambi dirigenti del Comune.
Il Tribunale (presidente Toselli, giudici a latere De Robbio e Minunni) ha giudicato tutti colpevoli del reato di abuso d’ufficio e li ha condannati a  due anni di reclusione ciascuno accogliendo soltanto in parte le richieste del pubblico ministero Giuseppe Miliano il quale aveva avanzato richieste di condanna che andavano dai 4 anni ai 4 anni e 10 mesi di reclusione. Unica assoluzione quella riconosciuta a Schintu per l’imputazione relativa al falso ideologico. Per i cinque è stata inoltre disposta l’interdizione dai pubblici uffici per tutta la durata della pena.
Ma a scatenare tensione nell’aula del Tribunale è stata la parte del verdetto relaiva agli immobili di Bella Farnia: i giudici infatti hanno disposto la confisca sia delle villette che dei terreni e respinto la richiesta di risarcimento dani presentata dalle 130 parti civili costituitesi nel processo, vale a dire gli acquirenti delle abitazioni:  per gli imputati è stata sancita la condanna a restituire le somme versate dagli acquirenti in esecuzione dei contratti in essere. Un passaggio che ha fatto esplodere la rabbia di molti proprietari che sin dall’inizio dell’indagine hanno sempre sostenuto di essere le vittime di un imbroglio. «Questa non è giustizia - hanno urlato all’uscita dall’aula guardando il rappresentante dell’accusa - nessuno ha riconosciuto i nostri diritti. Ma adesso siamo davvero stanchi e ci muoveremo diversamente, magari anche dandoci fuoco». 
Dall’altro lato del corridoio ci sono invece i legali della difesa che quasi all’unisono dicono di attendere le motivazioni e preannunciano ricorso in appello. 
«Eravamo e siamo completamente convinti della legittimità degli atti amministrativi che hanno portato al’approvazione di quel progetto - sottolinea l’avvocato Armando Argano - come spiega la nostra memoria difensiva, quindi ricorreremo». Commenti analoghi sono arrivati dagli avvocati  Angelo Fiore e Carlo Alberto Melegari. Quest’ultimo in particolare sottolinea che «il Tribunale, di fronte ad una richiesta piuttosto severa del pubblico ministero ha applicato una pena contenuta nei limitidella sospensione condizionale». 
Come dire che questo rappresenta un buon punto di partenza per ottenere un risultato diverso nel processo di secondo grado.

Ater, sette nuove assegnazioni dopo una riqualificazione lampo


Teresa Faticoni
Sette nuove case popolari al posto di spazi inutilizzati, o utilizzati male. L’Azienda territoriale di edilizia residenziale (Ater) di Latina mattoncino dopo mattoncino cerca di costruire le politiche abitative laddove mancano aree per costruire. Ieri mattina il presidente dell’azienda di via Curtatone Claudio Lecce, il vicepresidente Enrico Forte e il direttore Paolo Ciampi hanno consegnato le chiavi di sette appartamenti del lotto 46 in viale Pier Luigi Nervi, la zona che tutti conoscono come Le Vele, ad altrettanti nuovi inquilini. Si tratta delle prime assegnazioni che rientrano nel Piano di riqualificazione dei due stabili di proprietà dell’ente. Entro i prossimi tre mesi, come ha annunciato il presidente, «saranno ultimati e consegnati altri sette alloggi nel lotto 47». In sostanza l’Ater «anticipando quello che poi ha fatto la Regione con il piano casa» ha spiegato il direttore, ha preso degli spazi comuni al sesto piano dei palazzoni e li ha fatti diventare delle case. Spazi in totale degrado e inutilizzati dai cittadini. La superficie degli appartamenti, tutti al sesto piano, va dai 45 ai 65 metri quadri. «Per quanto riguarda nello specifico i lotto 46 e 47 - ha spiegato Ciampi - oltre a quanto detto sopra, dal gennaio 2008 è attivo un servizio di videosorveglianza, a breve verrà realizzato un centro polivalente, verranno inoltre realizzati nuovi parcheggi e una serie di interventi per favorire la mobilità dei diversamente abili». Un modo per rispondere all’esigenza abitativa, a tratti allarmante, in maniera concreta e veloce. In pochissimi mesi, infatti, la ditta Marchionne ha consegnato i lavori commissionati. «L’Ater di Latina – ha spiegato il presidente Claudio Lecce – mette ancora una volta accanto alle esigenze abitative quelle della qualità della vita. L’ente continua la sua attività immobiliare, continua quindi a creare nuovi alloggi ma, allo stesso tempo, è sensibile alle richieste di sicurezza e di vivibilità degli spazi. Ogni stabile infatti è una realtà sociale con dei bisogni specifici a cui l'Ater deve dare risposta». «Benvenuti tra noi», ha concluso Ciampi, ricordano come tra diritti e doveri ci si deve muovere con grande spirito di collaborazione.  

SCAURI - Per non dimenticare


Raffaele Vallefuoco
E nel giorno della Memoria le comunità  della Diocesi di Gaeta non si esimono dall’impegno di ricordare l’infamia della Shoah. In particolare la parrocchia Sant’Albina di Scauri ha organizzato un incontro dal tema: «Immagini per riflettere e ... non dimenticare». Un piccolo ma fondamentale contributo, programmato per le 20.30, per tenere vivo il ricordo del dolore cagionato ad ebrei e minoranze dalla furia omicida nazista. La memoria umana tende a nascondere, occultare, quanto di più brutto si pari dinanzi alla quotidianità, ma l’Olocausto non può essere dimenticato. Bisogna trasmettere di generazione in generazione il ricordo di una delle più brutte pagine che la storia racconti. Le proporzioni dell’Olocausto sono tali da attraversare numerose generazioni. I superstiti non tradiscono questo compito certosino. Ma gli anni passano e le pagine sbiadiscono. Per questo è nostra responsabilità tramandare di padre in figlio le immagini dell’orrore. Accompagnarle con scatti inequivocabili, rievocarli attraverso i film e i convegni. Ricordare e parlarne per arginare e marginalizzare chi ancora osanna quei (dis)valori. è nostro compito. 

domenica 24 gennaio 2010

Lavori sulla Litoranea a Formia: archiviata la prima settimana


Raffaele Vallefuoco
L’emergenza traffico sembra alle spalle, ma Formia, a una settimana dall’inizio dei lavori sul ponte della Litoranea,  dimostra tutta la sua debolezza infrastrutturale, la cui risoluzione, adesso, non può non trovare spazio nell’agenda politica. Pedemontana o no, la città ha bisogno di una rinnovata progettualità, altrimenti Formia muore soffocata. «Il senso unico alternato – ci spiega un vigile che dirige il traffico – sta funzionando». E’ domenica mattina e la coda si allunga man mano che i secondi trascorrono davanti al semaforo rosso. «La direzione del senso unico viene scelta a seconda delle esigenze di traffico» continua ad informarmi l’agente di polizia municipale mentre scatta il verde e una moto si lancia in direzione Napoli. Una buona soluzione che però si dimostra inefficace negli orari di punta. Non nasconde, però, ottimismo l’assessore alla viabilità Pasquale Cardillo Cupo, il quale a pochi mesi dal conferimento della delega, è già impegnato in una grande prova: «La crisi è superata abbondantemente. C’è qualche presidio di disagio che si acuisce nelle ore di punta, ma il peggio è passato». Quindi conferma quanto già riportato dall’assessore Augusto Ciccolella: «I lavori – analizza Cardillo Cupo – sono in stato avanzato e se continueranno con questo ritmo la ditta rispetterà appieno il termine di consegna del ponte, fissata per il prossimo 30 maggio». Decisamente meno ottimista Luigi De Santis, consigliere comunale del Partito Democratico. «Certo la crisi del primo giorno è archiviata, ma siamo davanti ad un’altra emergenza: quella commerciale». L’esponente è chiaro quando paventa un quadro peggiore di quello congiunturale che sinora ha afflitto le attività formiane. «Formia si è svuotata – spiega De Santis – e tutti i commercianti lamentano un ulteriore calo di vendite. Se non si interviene – annuncia - andremo incontro ad una crisi senza ritorno». Sul tavolo degli imputati la comprensorialità tanto sventolata dal sindaco Forte, ma la cui gestione complessiva non soddisfa il Partito Democratico, il quale nonostante la secca bocciatura del primo cittadino, torna ad invocare la costruzione di un ponte alternativo a quello della Litoranea. «Questo era il momento per un confronto sinergico che coinvolgesse tutti i comuni della zona. Sarebbe stata opportuna una pressione sul governo per un’alternativa viabile al ponte. Una bretella poteva essere la  giusta risposta, spendibile anche nel futuro. Il sindaco che si improvvisa ingegnere afferma che non si può fare, noi la ritenevamo propedeutica a questi lavori». Così come fondamentali sono per il Pd le arterie alternative come Stazione – via Solaro o la Formia – Sparanise, le quali torneranno prepotentemente oggi in consiglio comunale, che si annuncia davvero caldo.

Senza autovelox non campa più nessuno


Teresa Faticoni
«Siamo al ridicolo». E anche «Ci stanno beffando». E inoltre «Ci prendono in giro». Cittadini della provincia untevi contro l’odiato autovelox. Per sapere dove sono basta cliccare sul sito della Provincia di Latina e imparare a memoria dove li hanno piazzati. Poi, quando si precorre une delle strade incriminate, si va a velocità normale per tutto il tragitto, quando si arriva in prossimità della luciferina macchinetta si frena e via. Dopo una decelerata straziante si riparte ad andatura normale. In giro si dice che un signore di Sezze abbia accumulato 52 multe da autovelox. Uno di Bassiano 13. Tutte per superato limite di velocità alle odiose (e odiate) macchinette installate dall’amministrazione comunale di Sezze sulla via dei Monti Lepini. Ora, prendiamo il primo caso. Ogni contravvenzione al codice della strada per quel tipo di violazione arriva fino a 155 euro se si supera il limite fino a 40 chilometri orari. Che moltiplicato per 52 fa oltre 8.000 euro. Il suddetto poveraccio, praticamente, anche se va a ottanta all’ora su una delle strade principali della provincia di Latina, è fregato. Perché il limite è 70, considerati i cinque chilometri orari di tolleranza («come è buono lei», diceva Fantozzi), chi va a novanta è un fuorilegge. Ma avete mai provato ad andare a settanta all’ora su quella via? Vi annoiate da morirne, vi sentite ridicoli, se la vostra auto potesse parlare vi prenderebbe in giro. Il sindaco è irremovibile: «l’autovelox resti lì dove lo abbiamo piazzato», pare aver tuonato Andrea Campoli. E ti credo. Nel 2008 sono state fatte 12,6 milioni di multe, 1.427 all'ora e 24 al minuto. Ogni italiano patentato ha pagato in media 76 euro mentre ogni vigile ha compilato verbali per 43 mila euro. (Fonte Adnkronos). Quella da autovelox è ormai una voce incancellabile dai bilanci comunali, risanati grazie allo scherzetto dell’occhio fotografico stradale. Addirittura voci di corridoio raccontano di come, se al 30 giugno le entrate da multe siano inferiori al bilancio di previsione, le amministrazioni trovino un modo per far quadrare i conti. L’articolo 208 del Codice della strada prevede che i proventi delle multe vadano reinvestiti in attività a favore della sicurezza e della prevenzione degli incidenti stradali. Ci dicano tutti i Comuni e la Provincia quanto e come hanno investito. Perché altrimenti chi parla di tassa occulta comincia ad avere ragione. Fioccano, quindi i ricorsi. Tornando sui Lepini, la stanza del giudice di pace di Sezze è stracolma di pratiche. Ricorsi su ricorsi, che saranno un 10% del totale delle contravvenzioni elevate (su circa 20mila, 2.000 più o meno i ricorsi). Ma comunque tanti. «Ci stiamo attivando su due fronti – ci dice Alessandro Pucci, uno dei legali che ha preso in mano quella che sembra stia diventando una class action -: il ricorso al prefetto e quello al giudice di pace». In questo senso la finanziaria del governo Berlusconi ha anche introdotto, per i ricorsi al giudice di pace, il contributo unificato di 38 euro. E via con tasse su tasse. Il motivo principale del ricorso è, ci spiega Pucci, «l’insufficienza della cartellonista data del 13 ottobre che si ritiene non conforme alla legge». Adesso è uscita anche la questione della pubblicità. Ma se solo i cittadini di Sezze vengono messi a parte della notizia (l’arrivo dell’autovelox), «non si profila una disparità di trattamento?», si chiede Pucci. In tutto ciò c’è anche una questione sociale: molti dei sanzionati sono operai, che fanno ogni giorno avanti e indietro. E alla fine prendono lo stipendio per darlo al Comune. Che si fa ricco. 

IDEE - Dall'epos... all'eros


Fabrizio Bellini
Che bella notizia! Il passaggio dalle gesta eroiche dei politici della prima ora ai gesti erotici di quelli di ultima generazione, è compiuto. Da epos a eros. Tinto Brass, cantore insuperabile di una ben precisa parte dell’anatomia umana, si appresta a riprendere il discorso, in Regione Lazio, da dove il precedente Governatore l’aveva interrotto. Esattamente dallo stesso punto, senza cambiamento di prospettiva. Si candida. Il suo programma è semplice, comprensibile, sintetico e … apre un mondo: “tutto è tabù, l’eros è liberazione”. Accattivante e intrigante. Chi vuole essere libero, in senso tintobrassiano, alzi la mano. Tutti quelli che l’hanno alzata, votino per Tinto. Tutti quelli che non l’hanno alzata, esclusi quelli che avrebbero voluto ma non hanno potuto per motivi anagrafici, facciano outing. Tutti quelli che l’avrebbero fatto ma sono rimasti bloccati da principi etici o religiosi, si iscrivano al Partito dell’amore. Non è proprio la stessa cosa ma in qualche modo ci si avvicina. Chi ha alzato solo un dito, beh, ha un problema. Grave. Ha detto il grande regista:”…i politici sono litigiosi e non fanno sesso”. Questo è il suo vero punto debole. La sua analisi è difettosa. Non è bene informato e in materia di sesso e politica ha le idee molto confuse. Chissà da quanto tempo non legge un giornale. Eppure la sua candidatura nasce nel Partito radicale che, in proposito, ha già fatto belle esperienze. Vi ricordate Ilona Staller? L’Onorevole Cicciolina, per capirci. Messo a fuoco, sicuri? Ecco, in Parlamento ce l’hanno portata loro, Pannella, Bonino e company. E’ da quel momento che siamo stati tutti più liberi e la Durex ha triplicato il fatturato. Politica, sesso e economia. Assolutamente geniale in un paese di bigotti repressi come siamo noi. Il modello tailandese all’arrembaggio. E pensare che non era venuto in mente a nessuno. Ciampi, Prodi, Giavazzi, Padoa Schioppa, Visco, Draghi, Tremonti e via dicendo. Tutti deficienti. Sarebbe bastato abolire la legge Merlin, riaprire un po’ di case, un bonus profilattico, uno Viagra, Tantum rosa per tutti e via alla grande. L’economia sarebbe ripartita, in libertà. E Brass, signore della cul-tura radicale, avrebbe girato pure “Paprika due, il ritorno”, “Fallo bis”, “Così fan tutte, di nuovo” e chissà quante altre delizie cinematografiche. Ma sì, mettiamola a ridere, perché a fare i seri sull’argomento, si rischia di essere fraintesi. Per la verità a me Tinto Brass piace. Lo trovo audace, indipendente intellettualmente e non condivido l’aggettivo, grottesco, con cui spesso viene definito. E’ un bel satiro settantasettenne ricco di rimpianti e con un chiodo ancora fisso in mente. Tuttavia un problema si pone: la sua cul-tura è quanto di più distante si possa immaginare dall’ortodossia cattolica, dal perbenismo dominante, dalla morale corrente e dal comune senso del pudore. Al suo confronto la Bonino sembra una Carmelitana scalza. Ho visto che i cattolici del Pd si sono inventati di tutto per giustificare la scelta di appoggiare Emma, ma ora, con Tinto in lista, che ci verranno a raccontare? Che dirà la Binetti? E la Bindi? Come si mette Franceschini? Come farà Claudio Moscardelli, cattolico democratico pontino, a giustificare l’accostamento? Che racconterà in Curia? Bonino, Brass, Moscardelli, non suona bene. Neanche un po’. Veramente in questa campagna elettorale non c’è nulla che suoni bene. L’unica cosa sicura è lo sconcerto degli elettori di entrambi gli schieramenti. Non si è mai visto un casino simile. Mai, a memoria di votante. Ad esempio, si è sempre detto che l’elezione diretta dei Presidenti avrebbe favorito il giudizio puntuale degli elettori. Amministri bene, ti rivoto. Amministri male, vai a casa. Semplice. Ora, guarda caso, Nichi Vendola ha amministrato bene. La gente lo rivorrebbe, D’Alema no. Allora baffino gli mette contro Boccia e mezzo partito e punta all’appoggio di Casini. Anche Berlusconi preferisce Boccia come candidato del Pd. Perché? Ovvio, battere Vendola non serve a molto, mentre fottere Boccia significa farne a pezzi tre: D’Alema, Casini e Boccia. Tre a zero in casa del nemico. E la regione Puglia? Non gliene frega niente a nessuno. Amici, ecco i termini del ragionamento. L’importante non è solo vincere, ora bisogna stravincere. E non pensate che questo sia l’unico caso. Lo stesso proposito vale per tutti i candidati ex-diessini appoggiati da Casini. Insomma in ballo, a marzo, c’è molto di più che l’elezione dei Governatori, si decide il quadro politico del futuro. E non c’è posto per tutti. Di conseguenza nessuno vuole rischiare di perdere con le proprie bandiere al vento. Meglio camuffarsi. Credo che sia per questo che tutti i partiti, Udc compreso, stiano annacquando le proprie identità. La Polverini, per sua ammissione, non ha mai avuto la tessera di nessun partito. Mai fatto politica. Mai. Allora, chi rappresenta? Chi è? Come la pensa? Che sa fare? Se perde lei, chi perde veramente? La Bonino, al contrario, si sa, è un corpo estraneo alla logica politica tradizionale. Si è “scelta” da sola e rappresenta idee che sono trasversali ai partiti. E quindi è “buona” per tutti e per nessuno. Chi voto? Non so decidere, mi sento preso per il “brass”. Confesso che, in campo Pd, sono un tifoso di Veltroni, così come in area Pdl ero un supporter di Urbani. Penso e continuo a scriverlo, che Walter era “troppo” per un partito così modesto. Erano in troppi a non poterlo capire. Così ho ripreso il suo “La nuova stagione” che considero il manifesto dell’originario Pd e leggo a pag.23: “in nessuna grande democrazia europea sarebbe immaginabile presentarsi agli elettori con una coalizione priva dei requisiti minimi di coesione interna, tali da rendere credibile la sua proposta di governo: un’operazione politico-elettorale siffatta non avrebbe alcuna possibilità di vittoria, perché sarebbe inesorabilmente bocciata dagli elettori.” Signori, non è preistoria, è roba di meno di tre anni fa. Il mondo intero si regge su questo principio. E’ possibile che a sinistra non capisca più un “tinto” nessuno?

Terracina ambiente, che caos

Teresa Faticoni
«Si gioca sulla pelle dei lavoratori». Giulio Morgia, segretario generale della Funzione pubblica Cgil descrive con parole allarmanti la situazione dei dipendenti della Terracina ambiente. Ieri mattina hanno scioperato tutti, tranne coloro che sono dovuti uscire per i servizi essenziali. I problemi sono annosi e pongono una serie di interrogativi inquietanti. Innanzitutto il ritardo nel pagamento degli stipendi, che adesso sta diventando una abitudine mensile «che sta sfibrando i lavoratori», sottolinea Morgia. C’è sempre una scusa, e i soldi arrivano ogni volta con dieci o quindici giorni di ritardo. Ma la cosa su cui il sindacalista non retrocede di un centimetro è la sicurezza sui mezzi. Ieri mattina i lavoratori hanno raccontato di mezzi che non sono solo obsoleti, ma che hanno il contachilometri (quello collegato al predellino posteriore) rotto che non limita, quindi, la velocità massimo consentita a 20 chilometri orari. E poi la non secondaria problematica legata all’organico. Secondo i calcoli di Morgia sui piani approvati negli anni, a oggi mancano, per essere a regime, ancora 20 persone. Con la conseguenza di continue richieste di lavoro extra e non dovuto e di straordinario. Per non tacere dei cassonetti in giro per Terracina, che non vengono puliti. «Io sono convinto che i soldi che, pure se stanziati in bilancio con l’aumento del budget, non vengono utilizzati per questi servizi - denuncia Morgia - siano utilizzati per il bene pubblico. Ma se così non fosse, quale giardino vanno ad annaffiare?». Domande angoscianti e serie cui qualcuno dalla società che gestisce i rifiuti a Terracina dovrà dare risposte. Dopo lo sciopero di ieri mattina la protesta sindacale va avanti con il blocco totale degli straordinari (i lavoratori a tempo indeterminato sono letteralmente spremuti, i riposi vengono concessi ogni due settimane se tutto va bene). Morgia sta anche preparando altri due giorni di sciopero le cui date saranno comunicate a breve. 

sabato 23 gennaio 2010

LA VIPERA - La bellezza sorride



aemme
Cos’è bello o cosa è brutto? Chi, tra tante donne è bella o è brutta? Ma, soprattutto esiste qualcosa di veramente bello o di veramente brutto? Credo di si, esiste. Ma credo di non essere d’accordo, per niente, con l’accezione che generalmente diamo ai due termini. Sicuramente la bellezza può  essere tale quando è un dato oggettivo. Anche se una persona bella fisicamente non ha per questo, alcun merito. Proprio nessuno. Potrà ringraziare mamma e papà, i nonni, piuttosto che i geni. Tanti, fuorché se stessa. Così per una persona che bella non è, in questo caso diremo “brutta”, se i suoi geni non si sono accordati fra loro e il risultato finale non è stato eccellente. Capita. Bella. Brutta. Poche belle, per la verità, poche brutte, per essere precisi. Tutte le altre in mezzo. Io credo, invece, che la bellezza, quella che così si deve chiamare, sia altro. Prescinda da altro. Bella è una persona che sa vivere, che sa portare il proprio sorriso e lo irradia intorno a se, che guarda con positività il suo prossimo. Una persona che non solo diventa bella agli occhi di chi la guarda ma che sarà felice, perché quest’ultima la cercherà. Bella, perché non cerca il negativo a tutti i costi, anche dove non c’è, bella perché guarda al mondo con curiosità e non con cattiveria. Bella, una persona che entra in un qualsiasi luogo ed è in grado di catturare l’attenzione di tutti, con la sola arma di un sorriso. Bellezza e felicità sono approcciabili (anche se non abbiamo il nasino alla francese e la taglia 42 ) se le cerchiamo solo ed esclusivamente predisponendoci in modo tale che si accorgano di noi. La felicità arriva al cuore di chi la cerca, non a parole, ma concretamente, ponendosi, rispetto alla vita che la circonda, in maniera positiva e piacevole. Il muso, la disperazione, la tristezza (non motivata) la stupida cattiveria non fa bene, non renderebbe bella neanche Kim Basinger. Una persona bella è bella, per tutte le altre, ma anche per la più bella in assoluto, la bellezza arriverà all’apice se sorriderà, quando il suo sorriso e la sua gioia di vivere si leggerà nei suoi occhi. Questo si apprezzerà di lei, non più i suoi occhi del colore del mare. E lei e la sua bellezza non avranno concorrenti.   
Chevipera@libero.it                                                     

L'ARCINORMALE - Bonino e Polverini, treno e dentifricio


 Lidano Grassucci
 La Polverini mi guarda da un manifesto. Mi guarda e sorride. Le sto simpatico, penso. Pare la pubblicità di un dentifricio, e non ci sono simboli di partito. C'è lei e basta. La Bonino, sui muri, ancora non si vede. Ma, son certo, mi sorriderà anche lei. Che ci sia una gran voglia di sostituire la politica con la corsa al miglior dentifricio? Sono ancora legato alla Pasta del Capitano, con Colgate già sto nell'esotico. Perchè di falci e martello, scudi crociati, rose nel pugno e garofani mi sono sempre interessato, di dentifricio mai. Li trovo banali, e il mio dentista me lo fa notare ad ogni appuntamento. Come sarà la Regione della Polverini? Dice che sarà “laboratorio Lazio”. E cosa vuol dire? Che ci useranno come cavie, 4 milioni di topolini su cui proveranno cose inedite? Boh, vorrei sapere se riparano le strade, ma non me lo dicono. Vorrei sapere se comperano qualche treno nuovo per andare a Roma, ma non me lo dicono.
I giornali di destra parlano di cattolici traditi, come se la Bonino fosse il feroce Saladino e non una mite borghese, pure commissario europeo. Quelli di sinistra non sono teneri con il mandante della Polverini: il cavaliere. Ma questo cosa ha a che fare con il mio treno?
Certo è banale parlare di treni, meglio intervenire sulla politica estera, sull'etica. E i miei colleghi ci informano puntuali su cosa pensa la Polverini (o la Bonino è uguale) sugli aiuta ad Haiti. Ci fosse uno che la incalza sul treno.
La Poverini mi sorride, mo le sorrido anche io. Del resto basta un sorriso, ma non dovevamo parlare di politica. Mi lavo i denti e capisco che lo spazzolino, quello a mano, è di sinistra mentre quello elettrico è di destra. Allora metto il dentifricio Poverini nella testina ruotante di quello elettrico e ll dentifricio Bonino sull'altro ed ho assolto i miei obblighi civici.
Povera democrazia ridotta ad un dentifricio. 

Tra streghe e benandanti sui Monti Lepini: ecco Fabio Mazza

Teresa Faticoni


“Confessioni di un benandante del III millennio” è un bel libro. Fabio Mazza, l’autore, è alla sua prima fatica (e il termine non è casuale) letteraria e promette davvero bene. Nel variegato panorama degli scrittori locali è uno di quelli che si candida a superare il difficile scoglio del raccordo anulare e sfondare nel mondo un po’ snob della critica romana. Il libro prende le mosse dalle storie delle streghe e dei benandanti. Le streghe sono, nell’onirico volo di Fabio donne bellissime, seducenti e non sono mai cattive come ce le hanno raccontate. Nessun rischio di maschilismo in questa storia. Casomai un po’ di misoginia accelerata da qualche avverbio di troppo nel testo. I benandanti, figura di cui nei nostri Monti Lepini (location ideale non solo nel senso di azzeccata ma anche confacente a una idea bella di storia bellissima) non si trova traccia, sono uomini che difendevano il culto della fertilità e proteggevano il raccolto dalle streghe. Erano uomini nati con la camicia, cioè con il sacco amniotico. E il magnetismo è particolarmente pregnante. Tutto torna nel circolare libro di Fabio Mazza come un calcio in faccia in certi passaggi e come una carezza di mamma in altri. Andata e ritorno tra il miraggio e il reale, tra un bicchiere di assenzio e un sonno sul letto senza togliersi i vestiti. I Monti Lepini e i dialetti che chi è di là conosce bene Fabio li ha studiati e si vede. Non c’è mai la retorica di chi si accosta all’approfondimento dialettologico, ma un uso divertito e divertente delle lingue lepine. Imperdibili i soprannomi legati a Cori, Bassiano, Roccagorga, Sezze, Norma, Maenza. Insomma la gente di casa nostra vista con l’occhio di chi sa guardare oltre. Un’opera prima questa di ispirazione volteriana che rimanda per chi lo vuole anche a Tabucchi, che non sembrano proprio però essere ispiratori di questo autore che si è cimentato con un’opera che possono leggere tutti. Chi vuole saprà coglierne la forte posizione critica verso certi pregiudizi che hanno fatto la storia: l’oppio dei popoli che serve ad addomesticare le genti. Adesso Fabio non si fermi qui. Perché chi legge alla fine del libro ha voglia di leggerne ancora di quelle storie. Si rimetta al lavoro, perché dalle sue righe si evincono ancora tante suggestioni che può regalare al lettore. E lo faccia prima che una strega lo prenderà di nuovo. Ricca e gradevole la bibliografia. Ma per capirne di più bisogna solo cominciare a sfogliare “Confessioni di un benandante del III millennio” (stampato su www.ilmiolibro .it, 188 pagine).

venerdì 22 gennaio 2010

Firenze con i colori del mondo



Firenze. Terrazza Brunelleschi, all’ultimo piano dell’albergo che ci ospita. Io e la mia amica di sempre. Panorama mozzafiato sulla città. Vedo la cupola del  Duomo che si erge su tutto il resto di questa visione incantevole. Ci sediamo ad un tavolo vicino alla vetrata. Penso: “così mi godo lo spettacolo.”  Da li a pochissimi minuti comincio a notare qualcosa, più di qualcosa, per la verità, che mi distrae dalla vista. La mia amica (e in questo le femmine sono tremende, figuriamoci se una delle due è pure vipera!), mi invita a guardare l’ingresso in sala di due ragazze, dall’aspetto grazioso, vestite, più o meno, come tutte. Minigonna di jeans e camicetta, una, mentre l’altra, un vestitino di maglina grigio. Niente di particolarmente originale. Su tutto, però, un cappellino dalla foggia arzigogolata. In realtà, con un gran fiore azzurro/turchese tenuto su da un cerchietto per capelli, con tanto di veletta che scendeva quasi a coprire gli occhi. Uno azzurro, l’altro, ancora più sexy, di velluto nero. Con difficoltà nel distogliere lo sguardo, chiedo un cappuccino, ma vedo una signora, non più giovane, che trionfalmente entra e percorre il corridoio fra le file di tavoli. Neanche Marylin Monroe all’apice del successo. Lo percorre avanti e indietro più volte, prima di prendere posto, quasi a dire. “  Per chi non avesse fatto in tempo a notarmi prima, offro altre possibilità”. Un collo di pelliccia altissimo e vaporoso di non meno di 20 centimetri di lunghezza e una chioma di capelli folta, lunga e rossa che litiga con ogni singolo pelo del rever della signora. E’ Eleonora Vallone, una mancata promessa del cinema e della conduzione italiana e figlia del grande Raf. Impossibile non notarla, pure per chi, come noi, ancora sonnecchiava. Da lì la gara, fra noi, a chi vedeva più stranezze. Così, una ragazza con capelli lunghissimi, stile Santa Agnese, (per chi non la conoscesse, vada a leggersi la sua affascinante leggenda) che mangiava, con i suoi bei capelli, che si appoggiavano e si ripiegavano, sul tavolo. Ma anche una signora, più che robusta, con un vestito aderente che le segna ogni curva ed ogni singolo rotolo di ciccia e con, sul punto vita, un largo nastro intrecciato in un gran fiocco. Colori, colori e colori. Non mi chiedo di dove fossero, ma inizio la giornata sorridendo alla diversità dei colori che questo posto, un po’ cosmopolita, mi offre di vedere.   
chevipera@libero.it                                                                                                                                     

L'ARCINORMALE - Il voto che prega

Lidano Grassucci 


Sui giornali di destra in questi giorni escono notizie sorprendenti del tipo: “La Bonino è radicale”. Perché lo ha negato mai? A sinistra rispondono, “la Polverini è sindacalista”. Perché cosa faceva, la filosofa? I cattolici poi accusano, con il neochierico Ferrara in prima fila, che la nostra Bonino è abortista. Quelli di Libero, il giornale dei paramedici Angelucci, ripubblicano una foto con la nostra che aiuta una donna ad abortire. E giù meraviglia. Ma la Bonino ha mai detto di essere “pentita” della sua battaglia per regolarizzare l’aborto? No. Anzi da quella battaglia è nata l’attuale legge in materia di interruzione di gravidanza. Perché nessuno ricorda quel che era prima di questa legge, quando a morire erano il feto e la ragazza nelle mani delle mammane o di medici pii la domenica in Chiesa quanto pronti ad incassare in ambulatorio da quel che Dio puniva. Perché Belpietro non pubblica le ragazze morte con accanto gli spilloni delle mammane?
La legge sull’aborto non giudica la moralità dell’atto (è questione di coscienza, di fede) ma regolamenta il mondo che c’è. Perché prima della legge per cui si è battuta la Bonino non è che non ci fossero gli aborti, erano solo nascosti, pericolosi quanto redditizi per porci medici e affini (molti dei quali si battevano il petto alla processione del paese in prima fila).
Mi fermo qui, perché la Bonino non si candida a salire al soglio pontificio, ma ad amministrare il Lazio e la Regione non ha competenze né  in materia di principi sanitari (ma gestisce la sanità), né in campo morale. Mi dicono: ma il voto cattolico? Perché si vuol far suora la signora Bonino? Vuole forse legiferare in materia di sacramenti? Vuole fare confessioni a La Pisana?
Organizzare una rete di ospedali è cosa che afferisce a come preghi? Riparare le strade è questione di Padre Nostro? Incrementare il turismo ha a che fare con la Verginità della Madonna? Come girano i bus del Cotral, o come va la metro a Roma è questione di stigmate?
Mi chiedo: se il presidente di Regione fosse ebreo ci sarebbe un altro modo per organizzare i parchi regionali?
Cosa è  il voto cattolico? Un voto che prega. Un voto che fa miracoli. Un voto per il Paradiso.
Mi dicono: se il candidato presidente è laico, il vice deve essere cattolico. Come nella costituzione che i francesi hanno lasciato ai libanesi con cariche affidate a esponenti cristiani o musulmani. Perché da noi c’è una guerra di religione come nel paese dei cedri?
E gli ebrei di Roma a cosa hanno diritto, visto che stanno lì da qualche decennio prima che Cristo nascesse: all’assessore alla viabilità? E i musulmani che sono tanti a quello alle “pari opportunità”?
Non capisco, anche perché mi sento erede degli italiani che nel 1870 liberarono Roma dal giogo del Papa Re, e il Papa dalla schiavitù di un regno. Semplice, le cose di coscienza riguardano il Papa capo dei cattolici e i suoi fedeli, le cose terrene riguardano lo Stato e i suoi cittadini. E a noi come i cittadini pregano non interessa affatto. Ci serve un bravo presidente di Regione, non un chierichetto.
E l’aborto? È competenza dello Stato non della Regione. 

BASKET SERIE A2 - Liburdi, altro mese di stop


Paolo Iannuccelli
Ab Latina, forte di una vittoria schietta e genuina con Venezia,  verso Casalpusterlengo, la sfida chiave della settimana. Theron Smith, idolo dei tifosi, amico di tutti dopo appena una settimana di permanenza a Latina, è l’elemento che in questo momento catalizza l’attenzione del mondo dei canestri pontino: “Sono felice di essere qui – esordisce -, ho trovato un bel posto con tanto di mare e luoghi incantevoli, gente genuina, una società che vuole crescere. Soprattutto mi piace l’allenatore Ciaboco, lui ha capito subito come inserirmi nella squadra, sa quello che posso dare in attacco, le posizioni che prediligo. La mia forma è abbastanza buona, mi sono sempre allenato anche quando ho finito di giocare nel campionato cinese. Sono un tipo che si adatta bene ad ogni situazione, con il Latina spero di cavarmi molte soddisfazioni “. E’ un vero personaggio lo Smith di Latina, carismatico e gioviale, quello che ci voleva. I nerazzurri hanno tanta voglia di risalire la china in classifica, di arrivare in porti tranquilli, troveranno nel palasport di Lodi quel Phil Missere che hanno avuto come compagno fino a un mese fa. Casalpusterlengo – che ieri ha tesserato l’ottimo Rodolfo Valenti, ala proveniente da Cremona - è in ottima forma, lo conferma Costantino Cutolo,    fratello del pontino Donato, che non sarà sul parquet per colpa di un noioso infortunio: “E’ vero, guarderò il confronto dalla tribuna ma vi posso assicurare che i miei compagni viaggiano a mille, il coach Lottici sta facendo un ottimo lavoro, lo dimostrano i risultati recenti”. Intanto, Mauro Liburdi è stato sospeso  per un altro mese, in attesa di essere giudicato dagli organi preposti del Coni. Dovrà difendersi dall’accusa di avere assunto una sostanza dopante, non dichiarato al momento del prelievo effettuato a al termine del confronto con il Veroli. Il giocatore cassinate era stato sospeso per due mesi, poi è stato ascoltato dalla commissione antidoping del Coni insieme ai suoi legali. Adesso è in attesa della decisione definitiva da parte degli organi competenti.

giovedì 21 gennaio 2010

CISTERNA - Meccano, nessuno spiraglio di luce

Francesco De Angelis


«Fino a quando non ci sarà un chiarimento tra Meccano e Sviluppo Lazio non sarà possibile procedere a nessun finanziamento». L’assessore regionale al lavoro Alessandra Tibaldi ieri è stata più chiara che mai: l’imprenditore Alberto Veneruso, almeno per il momento, non intascherà nessun altro euro. 
Nuovo capitolo per il caso Meccano, tutto in negativo. Ieri presso la sede della Regione Lazio si è svolto l’atteso vertice (durato circa due ore) per tentare di salvare il salvabile di una vicenda nata male, e che rischia di finire peggio per i 170 lavoratori ex Good Year, il cui futuro occupazionale dopo anni rimane ancora appeso ad un filo. All’incontro hanno preso parte i rappresentanti provinciali di categoria (Fiom Cgil, Fim Cisl, Uilm Uil e Ugl), i vertici aziendali, l’assessore Tibaldi, l’assessore provinciale Silvio D’Arco, Andrea Polichetti per la prefettura di Latina, e il sindaco di Cisterna Antonello Merolla. Ad inizio riunione si è proceduto con un riassunto della situazione. Ovvero: l’impegno preso dalla Regione a febbraio del 2009, che riguardava l’erogazione di 500 mila euro, è stato rispettato poiché sono stati erogati 175 mila euro, mentre a breve i restanti 375 mila verranno erogati a giorni. Mentre per la questione relativa ai famosi 5 milioni di euro che consentirebbero al progetto Meccano di proseguire sono emerse problematiche riguardanti la Meccano e Sviluppo Lazio. Problematiche che ad oggi non consentono l’erogazione dell’ultima tranche dei finanziamenti. Quindi? L’assessore Tibaldi ha riferito che fin quando non ci sarà un chiarimento tra Veneruso e Sviluppo Lazio, tutto rimane fermo. Più in dettaglio, lo strappo “tra i due” (Meccano e Sviluppo) riguarderebbe una serie di contenziosi in atto (decreto ingiuntivo su fatture non pagate) e varie inadempienze contrattuali. Da parte sua la Regione si è impegnata a convocare entro la fine della prossima settimana un tavolo di confronto, l’ennesimo, per verificare la possibilità di portare a compimento il progetto Meccano. I tempi sono però ormai limitati alla fine del mandato regionale di marzo, che si chiuderà per gli atti amministrativi l'11 febbraio. Il calvario dei 150 lavoratori su cui pende la minaccia di apertura di  mobilità (il concordato è stato già avviato) non sembra avere ancora fine. Sindacati sul piede di battaglia. «Credo che in questa fase - riferisce il segretario provinciale dell’Ugl, Maria Antonietta Vicaro - l'impegno della Regione di voler chiudere in tempi brevi questa partita, sia a dir poco fantascienza, forse le buone intenzioni ci sono tutte, ma oggi (ieri per chi legge, ndr) è stato evidenziato come la mancanza di dialogo tra azienda e istituzioni, sia caratterizzato dai contenziosi in essere». Sulla stessa scia, intervengono Roberto Caccavello e Filippo Giordano della Uilm Uil, i quali auspicano che «il prossimo incontro riesca a risolvere il contenzioso che c’è tra le parti cosi da consentire uno sviluppo al piano di industrializzazione della società Meccano». Ma nel caso in cui il contenzioso non sarà risolto la segreteria provinciale della Uilm è decisa «nel ritornare direttamente alla fonte del progetto ossia al ministero dell’industria per ridiscutere nuovamente del progetto Meccano per far si che nessuna strada sia lasciata e che i lavoratori siano salvaguardati». Lo riferisce anche Vincenzo Quaranta della Fiom Cgil: «Speriamo nell’impegno della Regione, con la speranza che non arrivino più altri colpi di coda che stavolta potrebbero rivelarsi fatali». Insomma: è la cronaca di una beffa che dura ormai da tempo, troppo. Intanto per martedì è fissata l’assemblea dei lavoratori in attesa dell'incontro tra azienda, Sviluppo Lazio e Regione.