martedì 26 gennaio 2010

La mafia che è in noi



Lidano Grassucci

Come ai tempi del proibizionismo americano. Siamo alle guerre per bande, alle faide. Siamo usciti a colpi di arma da fuoco dall’idea che eravamo diversi, buoni, in un mondo violento. Siamo eguali alle altre città meridionali d’Italia. La città redenta, l’umanesimo del lavoro, sono stupidaggini, sono alibi per una classe dirigente che non ha capito. Latina ha chiuso con la sua stessa illusione. Abbiamo per mesi baloccato su infiltrazioni, su malavite importate, abbiamo fatto sociologia mafiante e non abbiamo visto la fogna che era dentro noi. Bello pensare di essere puri e avere la possibilità del male solo per contagio esterno. No, avevamo il tumore dentro, stava crescendo, ci sono le metastasi. Guardavamo Fondi, leggevamo lo scrittore di grido che sa tutto di mafia e il suo sapere te lo vende, le associazioni dei virtuosi vedevano mafie anche nei semafori spenti, i giornali ben inseriti facevano le liste dei cattivi che erano sempre i loro avversari e si autoproclamavano buoni.
Ora? Una faida: agguati, esecuzioni, vendette. E nessuno sapeva nulla, nessuno vedeva. Come è venuta la Rai a spiegare che qui c’erano casalesi, corleonesi, mafia cinese, pure ufo al soldo di Riina e invece… Invece il male dentro noi, un male nostro. Un male che è difficile da dire come quando devi ammettere che tuo figlio non è un angioletto. Agguato la mattina, con un ferito grave, attentato per uccidere; esecuzione la sera; di nuovo imboscata il giorno dopo. I sicari viaggiano in città, in tutti gli angoli di città, indisturbati, hanno armi, logistica per occultarle, hanno capacità di reazione rapida, hanno testa. Conoscono i luoghi. Come i talebani. Cosa debbo dire, questi omicidi cancellano, annichiliscono, i filosofi di mafie, le commissioni di accesso e quelle di eccesso. A colpi di pistola siamo quello che siamo: una comunità malata dentro, a cui i casalesi, i corleonesi, non debbono insegnare nulla.
Buongiorno, benvenuti a Latina, Italia del sud. 

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