martedì 29 giugno 2010

LATINA - La giustizia disastrata

Elena Ganelli
Alla fine qualche ipotesi per risolvere in parte l’emergenza giustizia in provincia di Latina è arrivata ma ciò che saltava maggiormente agli occhi nell’incontro di ieri pomeriggio all’hotel Europa nato su iniziativa dell’Ordine degli avvocati erano le assenze. Vistose perchè di 33 sindaci soltanto il primo cittadino di Aprilia Domenico D’Alessio ha accolto l’invito  mentre dei sei consiglieri regionali pontini hanno garantito la loro presenza soltanto Claudio Moscardelli e Giovanni Di Giorgi oltre all’assessore Stefano Zappalà e al presidente dell’amministrazione provinciale Armando Cusani. Davvero pochi per un problema che dovrebbe riguardare l’intera comunità.
La fotografia del degrado totale nel quale versano le strutture giudiziarie lo ha tracciato, ancora una volta il presidente degli avvocati Giovanni Malinconico. Un copione purtroppo che ormai conosce a memoria: mancano personale amministrativo e magistrati tanto che un’impresa aspetta sette anni per la definizione di una causa e altri dieci per l’esecuzione della sentenza. Una buona ragione per non investire sul nostro territorio e scegliere aree dove i tempi di definizione dele cause sono meno indecenti. «Ormai la pressione su Ministero e altri organismi non può arrivare soltanto da noi - ha sottolineato rivolgendosi ai rappresentanti politici presenti - c’è bisogno di un intervento forte da parte della classe politica e delle istituzioni».
Una richiesta di aiuto anche economico per portare avanti almeno il progetto di informatizzazione del Tribunale alla quale ha risposto il presidente della Provincia Armando Cusani. «Non sono d’accordo sulla divisione di competenze - ha sottolineato rispondendo a Zappalà - e credo che se lo Stato non provvede non possiamo aspettare che la giustizia sia completamente paralizzata e divent i un caso da Protezione civile per intervenre. Qui devono prevalere i principi della solidarietà e della sussidiarietà». Cusani si è quindi dichiarato pronto a fare la sua parte con un impeno finanziario straordinario per contribuire al progetto di informatizzazione del Palazzo di giustizia. Poi è andato anche oltre annunciando l’arrivo a giorni di un protocollo relativo alla copertura, seppure in maniera temporanea, di alcuni posti vacanti ricorrendo al sistema del “comando” di lavoratori attuamente inutilizzati. Un’ipotesi che è già stata esaminata nei giorni scorsi insieme al presidente del Tribunale.
L’impegno è a rivedersi quanto prima per concretizzare entrambi i progetti mentre il Consiglio dell’Ordine ha già indetto per giovedì 8 luglio un’assemblea di tutti gli avocati pontini ai quali sarà illustrato quanto emerso nell’incontro di ieri.

L'ARCINORMALE - Nardone e il dono del senso buono



Lidano Grassucci

«Un disastro». Ha detto proprio così il commissario di governo a cui la sorte ha affidato la guida momentanea del Comune di Latina. Lui non è né di Moscardelli, né di Fazzone, né di Zaccheo. È un italiano normale, che di mestiere fa il funzionario dello Stato, e che valuta i conti. Dice «Una cosa così non mi era mai capitata». Ecco signor Prefetto, neanche a noi era mai capitato di assistere a questa follia che dal ’93 ci portiamo dietro. Questa follia di voler ritornare agli anni Venti. Questa follia dell’amministrazione immaginifica, che dimenticava il banale della realtà. Una follia che ci ha preso tutti, signor Prefetto, financo la letteratura che ha coniato la categoria del “fasciocomunismo” per significare l’originalità di questa esperienza politica. Un Comune pensato come iperStato capace di pervadere tutta la vita sociale, una collettività che vedeva nel Comune e nei suoi rappresentanti una riedizione di Santa Maria Goretti, o di Sant’Antonio da Padova. Tutto è stato dal ’93 a oggi iperbolico e inutile, un Comune-Stato di cartapesta però colorato e attrezzato di tanta passione. Abbiamo vissuto come gli abitanti di Rimini in attesa del passaggio della Rex davanti casa. Solo che qui non era la rotta dei transatlantici e neanche delle barchette dei vongolari. Lei, signor Prefetto, ci ha svegliato dal nostro delirio, si è reso conto di quel mostro che abbiamo creato, unici al mondo, di traghettare nel secolo nuovo il peggio del secolo vecchio. Dovremmo essere studiati dalle facoltà di scienze politiche. Come un modello di quello che non si doveva fare. Lenin faceva l’elettrificazione delle campagne e noi volevamo mettere le rotaie in tutta la pianura, Stalin teorizzava il socialismo in un solo Paese e noi abbiamo teorizzato il ritorno al fascismo in un solo Comune. Lei signor Prefetto non ha davanti a sé il bilancio di un Comune, ma il delirio di una comunità, la sua follia tradotta in disastro numerico. Altro non posso dire se non ringraziarla per questo caffè che ci ha regalato, nella speranza di riuscire da qui a meno di un anno a ritrovare le coordinate per tornare a essere cittadini italiani, come tutti gli altri sessanta milioni di nostri compatrioti. Con un sindaco normale, con un Comune normale, con servizi normali e con il rispetto delle autonomie proprie di una città. Spero che da lei in poi avremo un Comune più piccolo in una città più grande. Che ha un solo nome, Latina, e che ha parchi intitolati a persone normali, a cittadini illustri e si tolgano scritte ipocrite di vecchi dittatori come Parco A. Mussolini. Solo spazzando via questo ciarpame ideologico potremmo tornare a essere quello che vogliamo essere e che possiamo essere: cittadini liberi in una libera Repubblica e non avanguardisti di una farsa. 

19° NORMA MUSICA FESTIVAL AL VIA

Alga Madia
La cornice romantica di una terrazza che fa perdere lo sguardo sulla vallata pontina: la campagna, Ninfa e poi il mare. Sarà questa cornice affascinante ad ospitare il prossimo Norma Musica Festival. Mi accoglie il Maestro Marino Cappelletti insieme allo staff dell’organizzazione di questo evento che è alla sua 19° edizione. Ci sediamo per l’intervista su una panchina: davanti questo scenario incantevole, tutt’intorno una vegetazione fitta e curata. Siamo all’hotel Villa del Cardinale di Norma e nonostante il gran caldo appena scoppiato, quella che si percepisce è una sensazione di grande benessere. Il maestro di clarinetto, Marino Cappelletti e vice direttore del conservatorio “Ottorino Respighi” di Latina, è anche direttore artistico di questa manifestazione che prenderà il via domani. Lui è originario di Norma e se ne percepisce subito il suo senso di appartenenza. L’orgoglio di poter curare e dirigere per il proprio paese un evento culturale così importante come il Norma Festival, che prevede più di 30 concerti. Concerti eseguiti in maniera didattica, idonei ad avvicinare tutti, anche i meno esperti, alla musica classica. Per oltre 17 anni il festival non ha avuto una sua collocazione stanziale, ma si svolgeva in maniera itinerante in varie località lepine. Dall’incontro con Francesco Michini, direttore di questa affascinante struttura alberghiera nasce. due anni fa, il progetto dell’Accademia del Seminario. Una scuola di perfezionamento, con allievi provenienti da tutta l’Italia ed anche dall’estero, dove poter abbinare tranquillità e studio della musica classica. “Non è un caso – dice Francesco Michini – la scelta dei monti Lepini e di Norma. La volontà, oltre quella di offrire agli allievi l’opportunità di studiare in luoghi tranquilli e favorevoli alla concentrazione, è di introdurre pian piano la cultura musicale, in particolare quella classica, anche laddove finora è stata poco presente”. Così in maniera naturale anche il Musica Festival ha trovato dopo svariati anni la sua collocazione a Norma, proprio all’interno del suo hotel. Festival che prevede concerti che scaturiscono naturalmente proprio dalle master class dell'Accademia. Ci saranno inoltre anche 5 serate dedicate al jazz che vedranno  alternarsi artisti di importanza nazionale ed internazionale. Marino Cappelletti si definisce un appassionato di musica, senza titoli e senza definizioni. Una passione per la musica, la sua, che lo portava sin da bambino a suonare il suo clarinetto, proprio lì, dove fino a quarant’anni fa c’era un seminario dismesso. Lì, dove d’estate, poteva suonare immergendosi completamente nel silenzio della natura che circonda tutt’ora questo luogo, e che vede oggi la realizzazione di un sogno: portare la musica classica nel borgo medievale di Norma, laddove non c’è mai stata. A dimostrazione che, nonostante “i tagli senza criterio alla cultura, ci sono realtà, anche piccole, che continuano a proporre arte nonostante la scarsità di risorse”. La manifestazione, va ricordato, è realizzata con il sostegno degli assessorati comunale e provinciale alla Cultura e dell’Hotel Villa del Cardinale. E così il suo auspicio è quello di far divenire l’Accademia, col suo Festival, una chicca nel panorama formativo musicale, che ricordi, e noi ci auguriamo che lo diventi, un  Festival come quello di Salisburgo. Francesco Michini, racconta in conferenza stampa, della sua idea di turismo attrattivo-repulsivo: un hotel che non ‘catturi’ i propri clienti, ma che li ‘restituisca al territorio’ attraverso un turismo integrato. Un contesto che offra al tempo stesso natura, cultura, musica e cucina. I presupposti di un’offerta culturalmente ghiotta ci sono tutti. Da domani la possibilità per quanti amano la musica classica (e non solo) di immergersi nelle note delle musiche dei più grandi artisti e di godere contemporaneamente di uno scenario unico ed affascinante.  

GAETA - Giustizia è fatta

Raffaele Vallefuoco
30 giugno 2010
Il sistema detentivo sarà al centro di un convegno in scena questo pomeriggio a Gaeta, presso l'Aeneas Landing di Gaeta, a partire dalle 18.30. Un incontro - confronto, organizzato dall'International Club Welcome to Rome, per presentare il libro di Gaetano Eboli "P.Q.M. Giustizia è fatta", pubblicato dalla Graus editore. Al tavolo dei relatori sono attesi l'autore del libro, giudice di sorveglianza presso il Tribunale di Napoli, Cosimo Giordano, direttore del Carcere di Poggioreale, Miriam Spaziani, sociologa, Rossana Esposito, critico letterario e docente della seconda università di Napoli, Annamaria Schiano e Loredana Napoli, rispettivamente presidente e portavoce del sodalizio. Un'iniziativa tesa a riflettere sul tema giustizia inteso quale nobile ideale, che deve muovere la condotta dell'uomo, e come strumento per perseguire la pacifica coesistenza degli uomini all'interno di un ordinamento comune. Un tema che si lega indissolubilmente con il concetto stesso di libertà. Una libertà che concretamente può configurarsi come assenza di vincoli detentivi, come autonoma determinazione della propria personalità, anche quando questa è compressa dietro le sbarre. P.Q.M. Giustizia è fatta", quindi, si configura come un importante contributo al dibattito sul sistema carcerario. Una disamina attenta e calata nel concreto che focalizza la sua attenzione anche sul rapporto tra detenuti e magistrati e sulle condizioni della donna nel carcere. Un libro che nasce dall'esperienza acquisita sul campo da Gaetano Eboli che senz'altro rappresenta un contributo fondamentale. Insomma un appuntamento al quale, per la qualità dello scritto e l'autorevolezza dei relatori, non è possibile mancare. Un evento fortemente voluto dall'associazione Welcome to Rome che ringrazia per l'adesione la Confcommercio di Latina e il Cat di Gaeta. Appuntamento, quindi, quest'oggi alle 18.30 presso l'Aeneas Landing di Gaeta. 

QUANDO L’ONANISMO NON E’ DISPERAZIONE


aemme
Non occorre bere. A volte è sufficiente stare con gli amici giusti, quelli (pochi) a cui non devi dimostrare niente e la buona riuscita della serata avrà un risultato assicurato. Cena al solito posto, una rientranza della sala che consente un unico tavolo, il nostro, quello a noi dedicato. Da anni sentiamo l’esigenza di incontrarci quasi tutte le settimane per stare insieme, per parlare di tutto. Politica (che occupa quasi sempre la prima parte della serata) nazionale, ma soprattutto locale, con ampio spazio a risvolti di gossip che non ti aspetti. Poi il lavoro, i figli. Gradualmente, argomento dopo argomento, si va sul personale e spesso sul ‘piccante’ dove scatta la classica divisione uomini vs donne e viceversa. Ma non sempre, a volte ci si incrocia. Si parla di rapporti di coppia, di interessi e di passione che a tratti si sopisce, si riaffaccia prepotente. Poi la frase che scatena la discussione della serata, l’esclamazione del mio amico che mi sorprende. Fare sesso con una donna cui si tiene dal punto di vista sentimentale è troppo impegnativo, quindi, meglio evitare di farlo in maniera continua e sistematica. Spesso è faticoso. Ma come faticoso? Non dovrebbe essere più semplice; dopo anni l’intesa credevo fosse per tutti praticamente perfetta. ‘Oddio’ – penso e lo dico – ‘non è possibile, domani lo scrivo sulla Vipera!’ ‘Non hai il coraggio’ – mi rispondono con la polifonia di un coro a voci dispari.  Non mi sorprendo. E’ una sfida, la raccolgo.  Certo per me l’argomento è difficile da trattare ed onestamente so di provare un po’ d’imbarazzo a trattarlo, ma devo farlo.  Il mio amico, che chiamerò Giovanni, argomenta: ‘meglio fare da solo, è più distensivo, dà un senso di libertà e non bisogna dimostrare niente’. Mi fa pensare. Continuo ad immaginare che come al solito stia scherzando, ma poi qualcuno dice che l’onanismo non muore mai, che gli uomini hanno un rapporto, come dire, goliardico, con il loro sesso. E se lo raccontava pure Lucio Dalla in una sua famosissima canzone, deve essere così. Quindi, deduco una semplice equazione: un rapporto giocoso col loro sesso, difficoltoso ed impegnativo col sesso in generale. E poi le ‘strane’ siamo noi! Rido come una matta, immagino la scena di uno ( di lui ) che furtivamente si chiude nel bagno per trovare un po’ di intimità ed ha una moglie accanto. Pure bella. Capisco che spesso i nostri mondi sono differenti: noi cervellotiche, che analizziamo le più minute sfaccettature dei loro comportamenti, che pesiamo le loro parole, pure quelle non dette e ad ogni calo di attenzione andiamo in paranoia. Loro pensano che sia tutto scontato, che stiamo là, intonse, ad attendere chissà che. Pensano che siamo rompiscatole, impegnative, pretenziose, che rilanciamo e che in fondo per stare bene bastano pochi minuti. Soprattutto da quando hanno scoperto che non diventeranno ciechi. Facile, come in ‘Disperato erotico stomp’. Appunto: senza impegno.
chevipera@libero.it

LA VIPERA - Il sogno che ci fa differenti

Alga Madia
Siamo tutti da buttare nel cestino. Un’unica categoria di donne e di uomini. Nessuno ha fantasia,
nessuno ha voglia di mettersi in discussione, nessuno vale più la pena … da sempre ho lottato con
quanti generalizzando si assumono la responsabilità di mettere tutti in un unico calderone pure
quelli che, fossero una minima parte, non ci dovrebbero stare. Le occasioni per pensare che non
è così, nella mia vita, non sono state poche. Ultima una mail di un caro amico che scherzosamente
sottolinea il mio disappunto sulle classificazioni di donne e uomini come fossero una categoria
ristretta a pochi concetti. Non solo donne e uomini, ma pure quanto fanno o sognano di fare della
loro vita è sempre differente. A me parrebbe tanto logico, conosco mille persone e sono tutte,
grazie a Dio, non classificabili, non riconducibili ad un’unica categoria. Io stessa scopro di me,
aspetti del mio modo di essere, di pormi, rispetto a certe situazioni che la vita ti sbatte davanti,
che non conoscevo, che stupiscono me per prima. Alcune mi addolorano, altre mi stordiscono
per quanto diverse dal mio solito pensare, quello a cui mi ero abituata: io stessa. Fossimo tutti
uguali, gli italiani, i latinensi, saremmo come ”l’esercito di terracotta”di Xi’an: fermi, immobili, statici
e senza cuore, senz’anima. E io so che non siamo così, non tutti. Tutti amiamo la vita comoda, ma
non tutti siamo insensibili di fronte alla sofferenza degli altri. Non tutti fanno come la maggior parte
delle mamme, che per evitare turbamenti o dispiaceri ai propri figli ( per cautelargli quella che ai
loro occhi è la serenità) gli impediscono di cercarsi la felicità, come credono. Non sono tutti così,
non siamo tutti così, mi rifiuto di crederlo. La vita comoda, come dire, fa comodo a tutti. nessuno
escluso. Ma non tutti vivono la loro vita nella staticità, con la mancanza di entusiasmi, di voglia di
fare, di mettersi in discussione, di credere che può ancora cambiare qualcosa. E soprattutto non
tutti hanno dimenticato cosa vuol dire sognare. Il sogno è fondamentale per vivere. Sognare aiuta
a vedere il positivo che c’è intorno a noi, apprezzarlo e renderlo realtà. Perché una vita vissuta con
intensità, non può prescindere dal sogno.
chevipera@libero.it

lunedì 28 giugno 2010

Giovani arditi, adulti pessimi



Lidano Grassucci



Siamo un paese di vecchi? O siamo una Nazione senza giovani? Credo che Fabrizio Bellini abbia ragione: “siamo una nazione di giovani codardi”. I tempi passati, è vero, sono sempre migliori. I tempi sono come certi vini strutturati migliorano se stanno fermi nelle botti dei ricordi.
Ho quasi mezzo secolo di vita, sono giovane o sono vecchio? Propendo per la seconda visto che il tempo che mi rimane è sicuramente meno di quello che ho vissuto, e l’esser passato si misura in termini di quantità dei ricordi.
 Come posso immaginare un futuro che comincia a non appartenermi più?
Come faccio a capire il presente se ho occhiali del passato? Quelli della mia età nel resto d’Europa sono capi, noi siamo ancora coda. E’ colpa di chi sta avanti? Ha ragione Bellini, è colpa della coda se la testa è salda al suo posto. Dice Bellini, ci sono giovani capaci e vecchi somari, ma anche vecchi capaci e giovani somari. Anzi, per Bellini, la seconda formula è più “popolare”.
Io credo che ci siano soltanto giovani senza audacia. Mi impressionò qualche tempo fa una scena in un ristorante: giovani italiani perfetti, elegantissimi, curati nei dettagli. Mi sono immaginato la scena spostata nel tempo quando era la mia generazione in quello strato: eravamo più brutti, decisamente poco eleganti e anche più crucciati ma…
Dietro una porta vetrata la cucina da dove, di tanto in tanto, si affacciava un ragazzo, il lavapiatti. Sarà stato indiano, pachistano: capelli nerissimi, pelle olivastra. Guardava i suoi coetanei che stavano producendo i piatti sporchi per lui. Aveva occhi vivissimi, aveva occhi che avevano visto la fame ed ora guardavano il “grasso” senza adipe dei suoi coetanei. Al tavolo italiano i ragazzi quasi non comunicavano, monadi condannate ad un rito sociale, lui, il piccolo indiano, era la cosa più viva che c’era. Lui era curioso degli altri, quei ragazzi perfetti, invece, non guardavano, non si facevano domande sull’”intorno”.
Le monadi avevano cenni di vita quando citavano “papà”, come se quella autorità riflessa li legittimasse nel ragionare sulla bellezza dell’ultima Maserati rispetto alla penultima Bmw. Il ragazzo indiano non parlava, non citava padri, madri, ma aveva negli occhi tante domande. Magari era disturbato dall’odore della carne di vacca, magari non capiva quel mangiare contenuto. Ma lui era vivo. Forse questo volevo dire caro Fabrizio, non ci sono gare sulle capacità dei vecchi rispetto ai giovani, dico che ci sono giovani che non sono giovani perché non si fanno domande, non hanno gli occhi curiosi dell’indiano ma quelli timorosi dei giudizio di papà.
Questo manca, la capacità di farsi domande. Vidi la mia prima Maserati sulla Pontina che non aveva ancora 4 corsie, il naso spiaccicato sul finestrino nella 1100 nera di zia Maria, era bella che ancora non capivo le curve delle donne ma era in nuce quella passione. Il tridente, il nome dell’auto quella di un vento il mistral, il maestrale e una volta a casa a cercare il libri per “avere” nella testa quella automobile: la storia dei fratelli Alfieri, Ettore ed Ernesto, la scelta del tridente di Nettuno che stava nella piazza di Bologna come simbolo, e le corse, i sogni. Poi non avevo bisogno di papà, a lui raccontai la storia di Alfieri. Certo la mia generazione, Maria Corsetti non me ne voglia per la citazione, è di falliti: volevamo far la rivoluzione ora “serviamo” il potere, ma avevamo sperato e ogni tanto, in sogno, speriamo ancora.
In fondo Fabrizio hai ragione: conta la qualità dei giovani, noi 50enni siamo pessimi adulti per quanto ardito fu il nostro sogno.

Tutto pronto per il Premio Il Minturno

Martedì 29 Giugno 2010 
Raffaele Vallefuoco  
E' quasi tutto pronto per il Premio Città di Minturno che quest'anno conterà ben tredici candeline. Un'edizione particolare per l'impostazione che l'organizzatore dell'evento, Mario Rizzi, ha voluto conferirgli. Sarà, infatti, l'occasione per ricordare Renato Filippelli, poeta recentemente deceduto, che ha rappresentato e rappresenta tutt’ora un vero e proprio architrave per la cultura del territorio, e non solo. Quest'anno, come da tradizione, Il Minturno andrà in scena presso l'Aula Magna del Liceo Alberti di Minturno  il 2 luglio e conterà importanti contributi istituzionali: Provincia di Latina in testa, quindi Comune di Minturno, associazione culturale “Cristoforo Sparagna”, l'editore Armando Caramanica, il patrocinio del Presidente della Repubblica italiana, del Presidente del Senato e del Presidente della Camera. A partire dalle 19, infatti, saranno chiamati a partecipare autorevoli esponenti della cultura saggistica e narrativa nazionale. A presentare il Premio Annalisa Paparella che sarà affiancata dagli interventi musicali di Alessandro Parente. Promoter del premio l'instancabile Mario Rizzi, presidente dell'associazione culturale Cristoforo Sparagna che spiega: «L'ospite d’onore di quest'anno è Franco Prosperi, regista, scrittore e pittore, che fu uno dei primi pionieri della ricerca subacquea e collaborò con il Cirs. I suoi documentari  sono stati premiati da ben tre “David di Donatello” e altri prestigiosi riconoscimenti». Insomma una presenza di prestigio per una vetrina di rilievo. Quindi, venendo direttamente ai riconoscimenti, gli organizzatori anticipano che «sarà consegnata la medaglia d'argento del presidente della Camera  a Gelsomina Formicola, mentre riceveranno la pergamena con la seguente dedica: “Alla memoria di Renato Filippelli, Docente Universitario, Storico della Letteratura Italiana, Poeta, Scrittore e Critico”,  e tre omaggi floreali,  la moglie del compianto Renato Filippelli, e le due figlie Fiammetta e Chiara». Quindi calandoci concretamente nello spirito de Il Minturno il primo premio per la sezione saggistica sarà consegnato da Alfio Caruso per “Io che da morto vi parlo”, edito da Longanesi & Co. Editore. Attesa la motivazione del premio che sarà redatta dalla docente universitaria Grazia Sotis, mente brillante che andrà ad aggiungersi ad una giuria di indubbio valore culturale, composta anche dal preside dell'Alberti Michele Graziosetto. Il primo premio per la sezione narrativa, invece, sarà consegnato ad Alberto Bevilacqua per L'amore Stregone, edito da Arnoldo Mondatori Editori. Per lui la medaglia di bronzo, del presidente della Repubblica italiana "In riconoscimento della sua lunga, prestigiosa, attività di narratore, ed alla sua sensibilità nel saper cogliere il cambiamento radicale della nostra contemporaneità”. Nel corso della serata un altro riconoscimento particolare sarà conferito ad Antonietta Barbato per Capendula, la luna nel pozzo, pubblicato da Caramanica Editore. Venendo, quindi, all'ospite d'onore, Franco Prosperi. Spiega Rizzi: «Al regista, infatti, sarà consegnata la medaglia di bronzo del presidente del Senato  “In riconoscimento della sua lunga, prestigiosa, molteplice attività di pioniere della ricerca subacquea e regista cinematografico, annoverando al suo attivo trenta lungometraggi e ventitrè documentari naturalistici. È, altresì, autore di numerosi ed interessanti romanzi e saggi dimostrando eccezionale valenza nell’ambito di quasi tutto lo scibile”». Insomma un momento di cultura imperdibile. 

Nucleare, il Garigliano non sia deposito nazionale

29 giugno 2010  
Raffaele Vallefuoco  
Rispettare i tempi previsti per lo smantellamento. è questo il monito  che il Comitato Antinucleare del Garigliano ha lanciato da Minturno all'indirizzo della Sogin, la società incaricata del processo di disimpegno della centrale di Sessa Aurunca. Una richiesta tanto più forte alla luce della nuova stagione nucleare aperta dal governo Berlusconi dopo gli accordi con la Francia in tema di energie. In particolare nel corso del convegno “Nucleare, pretesti civili e interessi militari” gli esponenti del Cag hanno chiesto alle istituzioni di farsi complici del rispetto dei tempi previsti per il decommissioning, la specifica attività di smantellamento della centrale del Garigliano. Ma non solo. Perché al termine della demolizione della centrale sarà necessaria un’accurata opera di bonifica di tutta l'area oltre che l'attivazione di accurate indagini epidemiologiche sulla popolazione e un monitoraggio ambientale comparativo per valutare la presenza di inquinanti radioattivi e metalli pesanti nella piana del Garigliano. «Il tutto - hanno spiegato dalla Sala Consiliare del Comune di Minturno - deve essere effettuato con trasparenza e comunicazione rivolta ai cittadini che vogliono essere parte in causa di queste, non più rinviabili, decisioni». Una volontà così netta da non lasciare spazio ad interpretazioni circa la posizione che il sodalizio ha sul tema specifico dell'energia. Un no netto al nucleare . Ma il Cag, in particolare, nasce per coordinare i gruppi antinucleari presenti sul territorio. Gli obiettivi del sodalizio, poi, sono quelli di sensibilizzare i cittadini sui rischi per la salute dell'uomo e per l'ambiente. Un secco no al quale, però, si contrappone una proposta: un sistema di produzione di energia da fonte rinnovabile, sia essa derivante da sole, vento, calore, in connessione con una rete, tipo internet, con la quale ognuno produca e riceva energia prodotta da piccoli impianti con fonti rinnovabili. Questo spiegano dal sodalizio «spianerebbe la strada ad una reale indipendenza energetica per il nostro Paese. Anche perché - hanno illustrato ai presneti nel corso dell'incontro al quale ha partecipato tra gli altri l'esperto Giulietto Chiesa - le fonti di energia rinnovabile sono presenti diffusamente sul territorio italiano ed equamente distribuite sul pianeta. Dinamica, questa, che porrebbe fine a molte guerre per il controllo delle risorse. In questo senso - continuano - ci sono perplessità sull'intenzione del governo di ridurre del 20% la tariffa incentivante rispetto all'attuale Conto Energia che consiste in una detrazione fiscale del 55%. Questa brusca riduzione non renderebbe più conveniente gli impianti e rischierebbe di paralizzare lo sviluppo del mercato verde. La centrale del Garigliano, ferma dal 1978 e inattiva dal 1982 deve essere ancora smantellata. Ogni sua parte è radioattiva e nell'area circostante è previsto un deposito “temporaneo” di scorie. Intanto la Sogin, società creata appositamente per custodire le centrali e procedere alla bonifica dei siti, non ha ancora raggiunto tali obiettivi, spendendo invece, secondo i magistrati, troppi soldi per tenere in custodia passiva le scorie e accumulando utili! La Sogin ha anche l'incarico per legge di realizzare un deposito nazionale di scorie entro il 2008, data procrastinata al 2020». Il Comitato, su questo punto specifico, ha manifestato tutta la sua contrarietà alla realizzazione di un deposito nazionale  presso il sito del Garigliano, perché «il terreno è di tipo alluvionale e a rischio esondazioni. Si tratta anche si una zona sismica di seconda categoria». Non quindi semplicemente un “Not in my garden”, o un niet mosso da paura e diffidenza, ma. Piuttosto la consapevolezza dell’inopportunità di un deposito, alla luce dei rischi sanitari che ne deriverebbero. In un territorio, tra l’altro, che ha già scontato e sconta tutt’ora l’onere di una centrale nucelare. 

FORMIA - Incuria al Multipiano delle Poste

29 giugno 2010  
Raffaele Vallefuoco  
Mentre la politica si divide in consiglio, la Formia Servizi modifica gli assetti societari e l'autorità giudiziaria intima il pagamento della mercede dovuta al costruttore del multipiano delle Poste, la struttura è preda dell'incuria. Presidiata all'ingresso dagli operatori della municipalizzata, lascia, invece, il fianco scoperto nella parte laterale che corre parallela alla strada. In particolare l'ingresso pedonale che permetterà di raggiungere la parte superiore della struttura è lasciato sguarnito. Le scale che conducono alla sommità del parcheggio mostrano i segni del disagio di cui è sistematicamente vittima una struttura non utilizzata. Il multipiano, impiegato ad intermittenza nella passata primavera, rischia ora di registrare una pagina di triste disagio. Per questo, in attesa che le dinamiche politico - societarie conducano ad una soluzione definitiva della querelle inscenata nelle ultime settimane, consigliamo di montare una porta che possa evitare di trasformare il parcheggio in un bagno pubblico. Speriamo che non ci si divida anche su questo. 

Quando i cavi erano solo Fulgor


Paolo Iannuccelli
Fulgor, un nome che gli abitanti di Latina appassionati di calcio abbinavano subito a un ‘ azienda che rappresentava più di un’azienda di normale esistenza terrena. Non abbiamo mai capito perché quei cavi elettrici prodotti al Piave erano così famosi, quasi trendy in una città in crescita. I genovesi , appena arrivati in città, facevano la fila per essere ricevuti nei salotti buoni della città, appartenere alla Fulgor – da gran  dirigente a semplice operaio – era sinonimo di qualità e capacità. Valli a capire. Si parlava genovese in piazza della Libertà, come a Carloforte, sull’isola di San Pietro,  fanno uso del tabarchino, lingua della Lanterna arrivata nel Settecento e mai mutata. Latina vedeva nel dottor Briasco il faro, in Dapelo la luce, tutti a fare domanda di assunzione in via del Crocifisso, quasi un nome che propone speranza. Una storia fatta di cavi, calcio, lavoro,  convocazioni, derby con il Latina nerazzurro, con un nome su tutti:  Eugenio Fascetti. Lui, viareggino, dopo aver giocato in serie A,  terminò la carriera di calciatore proprio a Latina, impiegato la mattina e atleta a fine carriera nel pomeriggio, durante gli allenamenti nel centro sportivo aziendale, un gioiello per quei tempi, con due campi attrezzati. Proprio “aziendali” venivano chiamati i calciatori che avevano in Fascetti il loro punto di riferimento, in poco tempo passarono dalla prima categoria alla serie D, un crescendo incredibile. Il segreto di tanti successi risiedeva nella bravura di “Neno” e nella certezza del posto di lavoro, cosa di primaria importanza. I tifosi della squadra  della Fulgorcavi erano i dipendenti, attivati a 1250 nel massimo splendore dell’azienda. Fascetti appese le scarpe al chiodo e cominciò una superba carriere da Mister, era un burbero che si faceva rispettare,  sapeva parlare ed ascoltare, cosa non facile per un trainer alle prime armi. Eppoi il vivaio. Una sorta di college, uno dei primi nel Lazio. I giocatori più giovani provenienti da Genova risiedevano alla Pensione Bellavista, venivano mandati qui per farsi le ossa. I migliori rappresentanti del prolifico settore giovanile gialloverde facevano il cammino inverso, arrivando a vestire la gloriosa casacca del Genoa. Tra i “profeti” del mondo giovanile cominciava a farsi strada Gino Bondioli, giramondo di professione.  Il primo derby tra Latina e Fulgorcavi si svolse il 12 ottobre 1975 con successo dei nerazzurri per 2 a1. Fu Lucaferri a gelare il Comunale con un gol all’inizio del confronto ma una doppietta di Franco Morano regalò un trionfo vero ai padroni di casa davanti a seimila persone. Un duecento – non di più – esultarono alla rete dell’undici di Fascetti. Al ritorno vinse sempre il Latina, grazie a un gol dell’eclettico Truant, genio e sregolatezza, un triestino .che faceva venire i brividi. Il fenomeno Fulgorcavi nel calcio durò poco. Briasco, nell’estate  del 1977, propose con grande sensibilità  una fusione con il Latina ma le carte federali lo impedirono. Il titolo sportivo di serie D prese la via di Terracina. A distanza di anni, viene da pensare che quello fu uno dei primi segnali di cedimento della Fulgorcavi azienda, non più forte come prima, pronta  a lasciare un punto fermo come il calcio.  .  

Buon compleanno Fulgorcavi e cento di questi giorni

Teresa Faticoni
«Oggi la NOSTRA fabbrica compie 45 anni». Fabrizio Di Rosa ha scritto proprio così sulla bacheca facebook del gruppo “Nexans Latina non si tocca” (3.039 persone iscritte a ieri pomeriggio). Lo ha scritto con le maiuscole. Fabrizio è uno degli operai più “anziani” della Nexans, e ha solo 45 anni. È uno di quelli che nelle proteste contro la chiusura del sito pontino della multinazionale francese non manca mai, ha la faccia bruciata dal sole di giugno. Raccontiamo in breve la storia di Fabrizio per raccontare attraverso la sua energia la storia di una fabbrica che ha significato la costruzione della storia di questa città. Lì, a Borgo Piave, è nato il sindacalismo pontino, è nata la coscienza collettiva di questa città, è nato lo sport come evento comunitario, sono nati grandi campioni e allenatori di calcio. Su tutti il grande Fascetti, che esordì negli anni Settanta proprio sui campi di via del Crocifisso. Per tacer dei cavi che abbiamo esportato in tutto il mondo. E ora, dopo oltre 45 splendidi anni, ci vengono a dire che vogliono chiudere, cancellando con un colpo di spugna tutto quello che è stato e che potrebbe ancora essere. Era il 27 giugno del 1965 quando, con una pubblicazione di cui riportiamo qualche foto, fu inaugurato lo stabilimento Fulgorcavi di Latina. Le produzioni erano iniziate due anni prima in alcuni capannoni, mentre se ne stavano completando altri. Erano gli anni Sessanta, quelli del boom economico, quelli in cui sembrava che investire a Latina fosse un ottimo affare. Tanto che un imprenditore genovese chiuse la Navalcavi a Genova per trasferirsi nell’Agro Pontino. Sessanta ettari per produrre cavi elettrici e telefonici. Negli anni Ottanta scoppiò la crisi. Che fu finanziaria e nata in altre fabbriche del gruppo, ma che coinvolse anche la Fulgorcavi nell’amministrazione controllata. Si arrivò alla gestione pubblica tramite la Gepi, ma si faceva profitto e quindi di nuovo in mano ai privati. Fino a oggi, quando arrivano i francesi a dire che qui non si deve produrre più.  Si pensava che questo sarebbe potuto essere un centro di eccellenza con 4.500 operai, al massimo del suo splendore la Fulgorcavi ne ha impiegati oltre 1.200. Adesso ce ne sono poco meno di 200. Auguri Fulgorcavi, e cento mille di questi giorni.

Biblioteca di Latina, egoisti di libri

Teresa Faticoni
Ci hanno raccontato che questa era una città universitaria. Hanno realizzato un bel campus al posto del campo profughi, peccato che sia vuoto e triste come un monumento dedicato alla memoria a quello che potevamo essere e non siamo diventati. Nessun laboratorio di ricerca, pochi seminari, qualche master che non crea occupazione; solo tante licenze commerciali rilasciate a bar, copisterie, forni e quanto può essere frequentato da uno studente medio durante le lezioni. E che dietro l’idea di università pontina non ci sia stata nessuna strategia, nessun vero progetto, lo fanno capire tante cose, dalle minuscole a quelle più macroscopiche. Miopia amministrativa per la quale non si costruisce, ma si sfrutta e basta. Una delle carenze, piccola e semplice, la si può riscontrare alla biblioteca comunale di Latina, una delle quattro che fanno parte del sistema cittadino. I libri in prestito sono a disposizione solo dei cittadini residenti. Il tutto sancito dal regolamento, ancora in vigore dal 1999 che all’articolo 31 comma uno impone l’assurdo limite: “Il prestito del materiale documentario delle biblioteche del sistema è riservato ai cittadini, enti, istituzioni e associazioni con residenza o sede nel Comune di Latina e alle biblioteche italiane”. Solo gli universitari latinensi possono prendere in prestito i volumi: significa che uno studente fuorisede, che già fa fatica ad arrivare alla fine del mese tra vitto alloggio e tasse universitarie, i libri deve comprarseli per forza. La struttura di corso della Repubblica, che si affaccia anche su Piazza del Popolo, è frequentata quotidianamente da centinaia di ragazzi che sfruttano, o cercano di sfruttare, i servizi messi a disposizione. Tra questi il prestito funziona così e così, la connessione wifi è artificiosa e lenta. Per connettersi con un portatile bisogna iscriversi alla biblioteca, poi ogni giorno che si vuole consultare una pagina web bisogna chiedere un codice di accesso e sperare che la connessione sia accettabile. Cosa che accade con poca frequenza, almeno a sentire i ragazzi che la frequentano. La biblioteca Aldo Manuzio è anche inserita nel catalogo nazionale di ricerca. Se, per esempio, uno studente di Brescia o di Catania scoprisse a Latina un libro introvabile dovrebbe venire qui e consultarlo e basta. Niente prestiti. Gli impiegati imbarazzatissimi spiegano che qualcuno stava pensando a una convenzione con l’università. Il patrimonio librario della Manuzio è di circa 37.368 volumi. Di questi circa 4.000 sono nel Fondo Locale che raccoglie tutte le opere che, direttamente o indirettamente, hanno una relazione con il territorio pontino (opere sul territorio, opere di autori territoriali o edite da case editrici locali). 

domenica 27 giugno 2010

Sarebbe… un Paese per giovani.


 Fabrizio Bellini


Il 26 giugno è apparso sulle colonne del Corriere della Sera un articolo dal contestabile titolo “Non è un Paese per giovani” a firma Pierluigi Battista. Ora, scusate l’impudenza, perché Battista è una delle più prestigiose firme del giornalismo italiano, ma a me è sembrato un po’ banale, non all’altezza di cotanto calamo. Flaneur, direbbero i francesi; vago, gli italiani. Per prima cosa, Paese.
 Battista lo scrive con la maiuscola, ma rimane la peggior sineddoche che si possa immaginare. La parte per il tutto l’individua meglio Checco Zalone in “Viva la sineddoche”. L’Italia è una nazione, Sezze un paese. La maiuscola non cambia la sostanza delle cose. E poi i giovani. È ovvio che i vecchi di oggi sono i giovani di ieri e i defunti di domani. Questa sequenza non la può cambiare nessuno. Battista sostiene che i vecchi sono così potenti e tenacemente consorziati che impediscono ai giovani di emergere. E quindi il Paese, aridaje, così come l’hanno costruito, va verso il declino. Ultima chiamata, bisogna cambiare. A sostegno di questa tesi la solita stramuffa citazione dei “pischelli” Obama, Blair, Zapatero e via dicendo che nei loro “Paesi” hanno trovato spazio. Avrà ragione? Direi di no. Infatti, chi se non questo Paese, come dice lui, Nazione sarebbe meglio, ha preparato i giovani di ieri, ovvero i vecchi di oggi? Con tutte le insufficienze, le approssimazioni, gli arroccamenti e le miserie messe in campo dai defunti di oggi che erano i vecchi di ieri? Questo per dire che il presente si fonda su un ciclo formativo completo e naturale e non è giusto analizzarlo in parte, in un momento dato e con una tesi preconfezionata. Obama e Company sono figli di un tempo che a sua volta è il frutto di un altro tempo e così via a scalare. Che senso ha giudicare e valutare solo l’istante? È la qualità complessiva del processo che certifica il prodotto. Un esempio. Ho preso la maturità classica come mio padre. All’esame io portavo il programma del terzo anno con i riferimenti degli altri due. Mio padre, al tempo suo, presentò il programma completo dei tre anni di liceo. Confrontando i nostri diciotto anni si può dire che lui, in quel momento, era più preparato di me. E poi? Nulla di più, perché il resto lo abbiamo fatto da soli. Lui è diventato un grande avvocato e io uno zotico. La colpa è mia, non del Paese. Mio figlio, maturità classica a sessantesimi, è diventato anche lui, dicono, un ottimo avvocato. Io, sono rimasto uno zotico. Merito suo e colpa mia. Non c’entrano né il sistema scolastico, né la politica, né la società né, tanto meno, il Paese. È solo che a me non è mai andato di fare niente. Non mi va di fare niente, sono pigro e quindi limitato. Tre epoche, tre generazioni, tre prodotti. Ma tutti costruiti dalla stessa Nazione, dallo stesso ambiente e dallo stesso periodo storico. Spalmato sull’intero arco generazionale il sistema ha funzionato e il mio personale insuccesso non ne inficia il principio perché mio figlio, comunque, ha recuperato su mio padre. Il vecchio Lippi che oggi ha perso il mondiale di calcio è la stessa persona che quattro anni fa l’ha vinto. Che è cambiato? Il giovane Marchetti! È scarso, ed è solo colpa sua. Il vecchio Buffon era molto più bravo. Le responsabilità, i limiti, rimangono personali. Un portiere più bravo, in questo preciso momento, non c’è. Sicuramente ci sarà domani. Ancora un esempio. A Latina, finalmente, abbiamo un assessore regionale, Stefano Zappalà, classe 1941, settant’anni scarsi. Pensate che abbia manovrato per bloccare qualche giovane? Che abbia architettato chissà quali intrighi?  Certamente no, sicurissimamente no. È solo che un giovane più bravo di lui, in Provincia, oggi, non c’è. Domani, se si sveglieranno i vari Di Giorgi, De Marchis & Co., forse. In politica Bossi è il vecchio e Cota il giovane. Prodi il vecchio e Madia la giovane. De Mita il vecchio e Franceschini il giovane. Li scambiereste? È colpa del “Paese”? In natura è la stessa cosa. In mezzo al branco delle vacche c’è sempre un toro. Le monta tutte fino a quando un torello giovane non si dimostra più forte e potente di lui e lo caccia via. Se non ci riesce finisce al macello e il vecchio continua a godere beato tra le femmine fino al successivo riproduttore. Purché gagliardo. Il nostro, dunque, sarebbe un Paese per giovani. Se ci fossero giovani capaci di sostituire i vecchi. Oggi.

filoLogico - Il mio turbante e la targa dei Sikh



Maria Corsetti

L’odore è quello dei petali di rosa calpestati. L’ultimo omaggio di un fiore alla terra che lo ha visto nascere. Nulla sa essere più evocativo di un profumo che ti porta indietro nel tempo, alle nostre processioni. Basta un attimo e diventa chiaro il filo dorato che unisce i popoli attraverso le tradizioni.
Sabaudia ieri era dipinta dai mille colori dell’India, sullo sfondo le architetture squadrate di fondazione. Il mondo che si incontra è qui. Il mondo si incontra sul palco: Dhillon mi chiama, vuole ringraziarmi per aver sempre seguito la sua gente attraverso le pagine del giornale, attraverso le telecamere di Tele Etere. Da buona europea, anzi italiana, aggiungerei di Latina, ho studiato con cura il mio abbigliamento. So che devo andare a piedi scalzi e a capo coperto. Per sicurezza ho indossato un lungo camicione bianco sopra un abito arancione, il colore dei Sikh, per evitare trasparenze. In testa un foulard arancione. L’effetto finale è da eccentrica romana in vacanza a Sabaudia. Salgo sul palco, mi viene consegnata una targa: “VIII processione (Nagar Kirtan) Religione Sikh  Con stima e simpatia”. E questa cosa, non precisamente indiana, mi mette in pace con il mondo. Non importa come ci si avvicini a un’altra cultura, è dalla voglia di farlo, dal pensiero di farlo, che nasce il dialogo. Dal mio turbante e dalla targa che è già sulla mia scrivania. 

L'isola di Santo Stefano non è in vendita

28 giugno 2010  
Raffaele Vallefuoco  
C’è anche l'isola di Santo Stefano nell'elenco dei beni trasferibili dall'Agenzia del Demanio nella diretta disponibilità degli enti locali, in attuazione del federalismo demaniale, primo passo concreto verso il federalismo fiscale. Una novità che non coglie impreparato il sindaco di Ventotene, Comune al quale è attribuita la competenza delle strade dell'isolotto di Santo Stefano. Quest’ultima è considerata una vera perla del Tirreno, ma non solo. «Santo Stefano - afferma orgoglioso il primo cittadino di Ventotene Geppino Assenso - è stata dichiarata Monumento nazionale dal Presidente della Repubblica e rientra a pieno titolo nel patrimonio dell'Unesco». Più in particolare, secondo quanto trapela, l'isola viene resa disponibile “pezzo per pezzo”, dall'ex carcere in cui durante il fascismo furono detenuti Sandro Pertini, Umberto Terracini, Giorgio Amendola, Sante Pollastri, Lelio Basso, Mauro Scoccimarro, Giuseppe Romita, Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, all'approdo, agli arenili. Ma il sindaco Assenso sgombera il campo da malizie e idee malsane. Santo Stefano è un monumento e come tale può essere solo valorizzato, in sintesi il suo pensiero. Ed è questa, in effetti, la ratio di fondo del decreto attuativo della devoluzione dei beni. Lo schema normativo prevede che  l’ente territoriale, a seguito del trasferimento, dispone del bene nell’interesse della collettività rappresentata, promuovendo la massima valorizzazione funzionale del bene attribuito, a vantaggio diretto o indiretto della collettività territoriale rappresentata. Alla base del trasferimento c'è un prezzo simbolico, di cui dovrà farsi carico, in questo caso, il Comune. «Il nostro obiettivo - spiega il sindaco Assenso - è quello di rendere Santo Stefano fruibile ai turisti. L'isola fa parte dell'area manina protetta di Ventotene e come tale non può subire interventi di costruzione». è impensabile edificarci, in sostanza.  «Piuttosto - commenta - dobbiamo pensare ad un serio piano di intervento. Come Comune chiederemo alla Regione Lazio di fare la sua parte per la ristrutturazione del carcere. Tutta l'area - conclude il primo cittadino - è in completo stato di abbandono. Gli ultimi accertamenti non ci rincuorano, anzi. La struttura sta cadendo a pezzi. Dall'istituto penitenziario dismesso nel '65 al Palazzo del direttore». Per Santo Stefano, quindi, non ci sarà speculazione. Altrattanto  lontana è l'ipotesi di alienazione per fare cassa. Casomai questa può essere l'occasione per far rivivere un pezzo di storia.  

sabato 26 giugno 2010

filoLogico - Fabio Capello o Diego Armando Maradona?

Maria Corsetti
“La Stampa” di ieri proponeva in prima pagina un ct da adottare, tanto per non sentirsi proprio fuori da questi mondiali. Fabio Capello o Diego Armando Maradona? L’orgoglio tricolore suggerirebbe il mister della nazionale inglese. Se vince ci sarà un po’ di azzurro in quella coppa. Però Maradona appartiene alla mia generazione. Da leggenda straripante nel golfo di Napoli, alla discesa nell’inferno. Vederlo tornare,  agghindato da prima comunione, alla guida della sua nazionale dà l’idea che nessuno può dirsi perduto e che il mito supera con leggerezza chi vuole vederlo rotolare nel fango. Tifo Maradona perché ho provato più emozione a vedere lui che la nazionale italiana. Ed è successo prima dell’irrevocabile rientro dei nostri.  Era un pezzo di vita che tornava al presente, con una forza debordante. Maradona rappresenta un mondo dato per perso e che rientra dalla porta principale. Un campione di ieri, capace di tutto. Ma quelle erano altre storie, altro calcio. Un altro mondo. Il mondo di chi, troppo piccolo per ricordare Italia-Germania del 1970, pensa di aver avuto il regalo più bello potendo gioire della vetta mondiale quando ancora frequentava il liceo.  

L'ARCINORMALE - La Nexans, la pioggia e non vado al mare



Lidano Grassucci

Ora anche della Nexans si comincia a parlare di meno, come se quei lavoratori avessero trovato una qualche soluzione ai loro problemi. L’attenzione dell’opinione pubblica scema, gli intellettuali si distraggono e i politici tornano a cercare altri palcoscenici. Il lavoro non è un tema che appassiona, è come la nazionale che ritorna sconfitta dal Sudafrica. Tutti quanti a chiedere politiche industriali, tutti oggi a bestemmiare il brutto tempo che impedisce la gita al mare. Vicino alla Nexans c’è la Pozzi Ginori, già Fonderie Genovesi, sta lì all’ingresso della città vuota, triste e cannibalizzata dal tempo. È quello che probabilmente diventerà la Nexans tra breve. Chi se li ricorda gli operai delle Fonderie Genovesi? Chi ricorda la Pozzi Ginori? Che fine hanno fatto quelle persone, dove lavorano, dove coltivano le loro speranze? È rimasto lo scheletro di quell’idea del fare che pure avrebbe dovuto costituire uno degli elementi identitari di questa città, che nasceva senza burocrati e con tanti contadini. Già, ma pure i contadini ci siamo dimenticati. I lavoratori della Pettinicchio, poi Yomo, poi Granarolo, che fanno ora? Il sindacato dove sta, dove stanno le sue memorie, i partiti politici dove sono? Sono tutti spariti in un egoismo individuale e carsico che è l’unica cosa che non tramonta mai in questa città. Nexans sarà un altro nome che tra poco non ricorderemo, come non ricordiamo le confezioni Europa, la Rossi Sud, Frine Fashion, o andando solo più in là verso Roma la Massey Ferguson. La Mira Lanza è solo la quinta di spettacoli televisivi dove valenti giornaliste spiegano la nostra crisi con malavite più immaginate che reali. Dov’è la politica industriale? Dove sono i nostri amministratori, la nostra classe dirigente, dinnanzi a questa roba? L’associazione industriali esiste? Il Comune che ha fatto banche, che gestisce discariche, che si è occupato di logistica merci, cosa ha aggiunto in termini di servizi alle imprese in questo posto? La Nexans è un simbolo, da noi anche le crisi industriali si consumano come i pop corn al cinema: in fretta e lasciando sul posto la busta vuota. Altro non posso dire se non che piove e a me mi frega poco perché non vado al mare. 

giovedì 24 giugno 2010

L'ARCINORMALE - Il grasso di Lippi e i sogni di Messi


 Lidano Grassucci

In campo c’era l’Italia di oggi: vecchia, egoista, lenta, arrogante e con tanta paura. L’Italia di oggi è grassa e ha paura di perdere la sua adipe, e per questo non ha il coraggio di osare. I giocatori in campo erano tristi, lenti, macchie blu e si preoccupavano più di guardarsi che di guardare il gioco in campo e soprattutto non avevano un sogno. Li comandava un generale, Marcello Lippi, che è tornato con prepotenza a fare quello che aveva già fatto pensando a una ripetizione dei miracoli. Arrogante, o meglio come lo erano gli imperatori bizantini, leziosi e sordi al tempo nuovo che era intorno a loro. In campo vecchi senatori che si atteggiavano a giovanotti, a casa gente come Cassano e Balotelli che saranno poco presentabili a tavola, ma hanno fantasia, voglia di vincere e anche quella giusta maleducazione che consente agli ultimi di immaginarsi primi. Cassano viene da una delle ultime periferie affamate d’Italia, quella di Bari, Balotelli è uno che ha voglia di mostrare di saper fare. Ma Lippi non poteva presentarli a tavola e si è presentato con dei fighetti che non avevano nessuna intenzione di vincere. Ha giocato tre partite tutte con la sola preoccupazione di non perdere, come questa Italia grassa che ha paura di essere abbandonata dal benessere raggiunto. Lippi è figlio di quel mondo dove c’erano i Moggi, i monopoli dei procuratori e tutto il circolo bar da mondo dello spettacolo che ormai da tempo non sa più cosa è lo sport. Sport è fatica, rinuncia, sacrificio, audacia e vince chi ha idee nuove. L’Italia è un paese che non ha più idee nuove in cui ciascuno si è chiuso nel suo egoismo, quelli di Bergamo alta contro quelli di Bergamo bassa, quelli di Sondrio contro  i terroni di Varese che a loro volta chiamano negri i mantovani e potremmo andare avanti all’infinito. Infatti la squadra in campo non aveva il gioco comune non aveva nemmeno l’intenzione della vittoria. Lippi ha l’età per giocare a briscola al circolo ricreativo di Viareggio e non per sognare un gioco nuovo. Se questo paese non ritrova l’orgoglio di se stesso, la capacità di rischiare l’orgoglio di vincere, è destinato a fare la figura di Lippi e dei suoi, una figura indegna. Il nostro calcio è teatro non è sport e a teatro puoi recitare con partecipazione un dramma, oppure far ridere con una farsa. Ecco noi in Sudafrica abbiamo messo in scena una farsa che non ha fato neanche ridere. Ora non mi resta che fare come i miei antenati che sognavano una vita nuova in Argentina tiferò per quel grassone di Maradona, per la sua indecenza nel vestito gessato che gli ha fatto mettere la moglie, tiferò per la fame di Messi che aveva tutto contro anche la natura ma che si è sognato grande ed è un gigante che gioca non con gli schemi ma con i piedi e con la testa, ed è veloce, corre, suda e si incazza. Tiferò quello che eravamo quando il grasso non ci aveva coperto gli occhi e bloccato i muscoli. Tiferò Argentina con orgoglio vergognandomi un po’di questo mio paese che non sogna più.



Ps E magari adesso Lippi non avendo più legittimi impedimenti ci dirà qualcosa di giocatori, procura e procuratori


WYETH, serve un percorso condiviso


Teresa Faticoni
Succede sempre più spesso: quando le aziende licenziano i lavoratori cercano un capro espiatorio. E sempre più spesso nelle vesti di signor Malaussene si trovano a essere i sindacalisti. Nel caso dei lavoratori della sede Wyeth sta accadendo proprio questo. C’è molta sfiducia tra i 58 che sono coinvolti nella procedura di mobilità, tanto che vorrebbero bypassare le organizzazioni sindacali chiedendo direttamente un intervento delle istituzioni, nel qual caso Provincia e Regione. «Ma veniamo da cinque procedure di mobilità consecutive – dichiara Ivan Dal Col rsu di fabbrica -. Non ci spaventa trovare le soluzioni. La cosa che fa più male è la diffidenza nei confronti di chi sta gestendo i tavoli». Tavoli che si susseguono febbrilmente, tanto che oggi pomeriggio in Confindustria Latina ci sarà un nuovo incontro con una società che si dice disposta ad assumere alcuni lavoratori espulsi nel momento in cui Wyeth è stata acquisita da Pfizer. Un processo, questo del ricollocamento, che si inserisce nell’ambito del Welfarma, con le garanzie che ne susseguono. Nei giorni scorsi la società Pangea, che si occupa della commercializzazione dei farmaci generici, ha presentato il percorso per l’assunzione fino a 77 persone anche per la Geosystem, una società che ha elaborato un software in grado di acquisire in modo digitale le mappe territoriali in funzione dell'impatto atmosferico, idrico, geomorfologico, naturalistico. Questa seconda società ha sottoscritto un accordo di tipo commerciale con Pangea riguardante il progetto VAS. Si sta cercando una sede operativa in provincia di Latina, preferibilmente ad Aprilia. «È importante sottolineare – dice ancora Dal Col - che i lavoratori interessati saranno assunti, a seguito di un colloquio individuale, con contratto chimico farmaceutico, con lo stesso stipendio attualmente percepito, a tempo indeterminato e senza periodo di prova. In aggiunta le organizzazioni sindacali e la rsu hanno richiesto delle garanzie occupazionali almeno per un certo periodo. Il tutto dovrà comunque essere sviscerato meglio entro i termini di un eventuale accordo». Un modo per dire ai colleghi “della palazzina”, sempre poco sindacalizzati fino a oggi, di stare tranquilli perché non saranno lasciati soli e le loro ragioni sono le ragioni di chi li rappresenta. 



mercoledì 23 giugno 2010

Montera, Zac e la Slm. Per tacer di Gatto

Lidano Grassucci

“Non chiederti cosa l’America puo’ fare per te, ma cosa tu puoi fare per l’America”.  Così la buttava Kennedy, il piu’ grande presidente americano, uno che alimentava le speranze. Nell’adagio c’è la filosofia della responsabilità, l’idea di interrogarsi sul proprio comportamento prima di accusare e chiedere del prossimo.
La frase mi è venuta in mente letta l’intervista su Latina Oggi di Francesco Montera pubblicata lo scorso martedì. Il nostro dice cosa non ha fatto il Comune, cosa non hanno fatto gli azionisti, omette di dirci cosa ha fatto lui. Bazzecole? Non credo visto che della società logistica merci era amministratore. Cosa ha fatto lui doveva spiegarci, perché bisogna assumersi le responsabilità non cercare alibi. Questione di stile. Del resto anche Vincenzo Zaccheo che pare sia dispiaciuto della chiusura della società di logistica merci di Latina scalo è uso raccontare quanto sono stati cattivi gli altri omettendo di spiegare le sue responsabilità. Ieri ha parlato il cittadino Gatto che da ex assessore ha asserito che la Slm, la logistica merci, stava andando meglio perché pagava meno di corrente, Se Montera spegneva tutte le luci e non accendeva l’aria condizionata nel suo ufficio andava in positivo, ci guadagnavamo.
Vedete ho cercato di tacere su questa vicenda per amor di patria, ma il troppo è troppo. Ora far finta di niente va bene ma ricordo a me stesso che sono lepino non cretino, che le responsabilità si assumono. Chi fa l’amministratore di una società dovrebbe farla funzionare e non piagnucolare. Marchionne se la Fiat va male non accusa Agnelli che siccome a suo tempo fece la Duna lui non riesce a vendere la Punto. Verrebbe preso a pernacchie.
Ecco credo che nella vita si vince e si perde: Zaccheo era sindaco e non lo è piu’, ha perso. Montera doveva far funzionare una società che ora il commissario mette in liquidazione, ha perso. Gatto se era bravo lui, da assessoe alle finanze finanziava la Slm, non lo ha fatto ha fallito.
Non chiederti cosa il Comune non ha fatto per la Slm, ma cosa tu non hai fatto per la Slm. Sarebbe serio, semplicemente serio.

GIORNI DI STORIA - AMEDEO GUILLET


Fabrizio Bellini 

Il 17 maggio 1941 il Duca d’Aosta, Amedeo di Savoia, si arrese alle truppe del generale Cunningham. Prima di scendere dai tremila metri dell’Amba Alagi  e consegnarsi agli inglesi, lasciò liberi gli ufficiali di scegliere il proprio destino e riservò a se stesso la drammatica condizione di prigioniero che doveva portarlo alla morte il 3 marzo del ’42 a Nairobi. La fine di un sogno durato oltre settant’anni: l’Africa orientale italiana. Dalla baia di Assab a un lettino d’ospedale, passando per Dogali, Sahati, Makellè, Amba Alagi, Adua e così via. Quanto sangue versato inutilmente. Quasi tutti seguirono il Duca. Il tenente Amedeo Guillet, no. L’idea di arrendersi non lo sfiorò neanche. Rommel era già in Libia con il suo Afrika korps e i panzer tedeschi promettevano una rapida e radicale inversione del corso della guerra. Se le forze dell’Asse fossero arrivate a Suez, la presenza di un nucleo di resistenza italiano in Etiopia avrebbe favorito la riconquista della terra di Hailè Selassiè. Per questo bisognava sopravvivere a ogni costo e logorare le forze di Sua Maestà britannica. Amedeo Guillet si assunse volontariamente questo pericolosissimo compito. Lo svolse con straordinario coraggio fino a quando Marte, il dio della guerra che non sorride mai a lungo ai dittatori, seppellì le armi italo tedesche sotto le sabbie fatali del Nord Africa. E’ morto a Roma venerdì scorso a cento uno anni e fino a un istante prima di tornare nella casa del Padre, era considerato un mito vivente. Un’icona del coraggio e un simbolo dell’integrità morale italiana. Ora è già una leggenda. La leggenda del cummandar as shaitan (il comandante diavolo) come lo chiamavano i suoi cavalleggeri amhara. La leggenda di Ahmed Abdallah al Redai, il nome arabo yemenita che assunse quando rifiutò di arrendersi all’Amba Alagi e decise di iniziare una guerra “privata” contro l’Impero britannico. La leggenda del suo cavallo bianco Sandor e di Kadija, la sua bellissima compagna etiope diciannovenne che fu con lui in tutte le imprese compiute in clandestinità. La leggenda di un ufficiale aristocratico, non sconfitto, che divenne Sua Eccellenza il  Barone Amedeo Guillet, Ambasciatore della Repubblica italiana in Marocco, Yemen, Giordania e India. La leggenda di un italiano dimenticato per tanto tempo dalla morte che seppe servire con la stessa lealtà sia la Monarchia che la Repubblica. Ma prima della leggenda esistono i fatti e di uno di questi voglio parlarvi ancora. Di uno solo tra i tanti, emblematicamente, con l’unica speranza di riuscire a ricondurre la retorica delle celebrazioni all’oggettività degli avvenimenti. E’ noto che l’espansione italiana in Africa orientale nacque nel 1866 con l’idea di sviluppare i traffici marittimi attraverso il canale di Suez che si sarebbe poi inaugurato il 17 novembre 1869. “Proprietà Rubattino comprata agli 11 marzo 1870” recitava la tabella piantata nella baia di Assab, in Eritrea, e dopo più di settant’anni di intrighi e di battaglie, il tenente Guillet era ancora lì a difendere i sogni italiani guidando la carica dei seicento cavalieri del “Gruppo Bande amhara a cavallo ” contro le colonne corazzate britanniche in marcia per Cherù alla conquista del cuore dell’Impero italiano. Ebbe duecentosessanta feriti e perse centosessantasei uomini e cento cavalli. Quella carica di cavalleria fu un episodio non unico ma comunque straordinario ed ha un antefatto che ne è stato la premessa e la ragione. Non è molto noto. Nella grande sintesi della storia si perde tra i dettagli, ma, proprio per questo, è giusto ricordarlo. Era l’alba del 21 gennaio 1941 e Guillet aspettava gli inglesi nascosto in una profonda depressione del terreno a più di cento miglia da Cherù. Aveva calcolato che sarebbero arrivati da Est ma non sapeva che dal Surrey Yeomanry Regiment della IV Divisione indiana si erano staccati tre carri  Mathilda con compiti ricognitivi. (Avete mai visto un Mathilda da vicino? Fa paura solo a guardarlo).  Se avessero proseguito nel loro cammino si sarebbero trovati alle spalle del Gruppo Bande di Guillet che sarebbe stato sorpreso e non avrebbe avuto il tempo di cambiare schieramento. Se ne accorse il tenente Renato Togni che dalla sua posizione all’estrema destra del Gruppo, vide l’avanguardia inglese avanzare verso uno uadi a meno di un chilometro dal punto in cui erano nascosti i suoi compagni. Inviò una staffetta a Guillet per avvertirlo del pericolo, scelse trenta uomini, indigeni, e con loro cavalcò come un forsennato contro i tre carri armati britannici urlando e lanciando bombe a mano. Per bloccarli o almeno rallentarli. Furono uccisi tutti, tranne un ascaro. “The most gallant affair until now in this war” annotarono gli inglesi nella storia ufficiale della campagna d’Etiopia. Questa azione disperata dette a Guillet il tempo di riorganizzarsi e di gettarsi a sua volta contro l’intero reggimento britannico. Il numero dei morti  l’ho già ricordato. Nella motivazione della Medaglia d’oro al valor militare conferita al Tenente Togni c’è scritto tra l’altro ”…colpito prima al petto, poi alla fronte da raffiche di mitragliatrici … si abbatteva morto con il proprio cavallo su un carro nemico. Il nemico, colpito da tanto fulgido eroismo, rendeva alla salma gli onori militari” Retorica? Forse si, un po’, ma non solo. Non si spiega facilmente l’eroismo (follia ?) contagioso e collettivo di più di seicento persone che decisero, a un certo punto della loro vita, di opporre quello che avevano, cioè zoccoli, criniere, pelle e sudore alle piastre d’acciaio dei carri armati del Sovrano d’Inghilterra. Renato Togni riposa in una tomba senza fiori nel cimitero militare di Cherù, ma degli altri ventinove cavalieri amhara morti con lui si è persa ogni traccia. E se non fosse per i pochi  che continuano a scriverne, se ne perderebbe anche la memoria. Per questo ve ne parlo, qualunque sia il vostro giudizio sulla politica coloniale italiana ed europea in genere. Di Renato Togni resta anche una fotografia che lo ritrae in divisa e a cavallo, con il cappello posto a sghimbescio sulle “ventitre”. Il suo viso è bello e franco. Sorride. E’ morto massacrato il giorno del suo ventottesimo compleanno. Resta anche un interrogativo: per chi? Ma non so rispondere. Pensando a una Padania anti italiana, alla restituzione dell’obelisco di Axum, alle scuse di Berlusconi a Gheddafi, mi si confondono le idee. Mi perdo tentando di dare un segno e un senso al nostro carattere nazionale; alla dimensione della nostra coerenza storica; all’immagine che abbiamo di noi stessi; all’orgoglio che abbiamo di essere italiani. Mi mortifica il ricordo di tante vite spezzate così, come sembra oggi, come in troppi vogliono credere, senza un senso. Ma forse è perché anche il mio tempo è finito e quel poco che forse mi sarà ancora concesso, non lo capisco. E non mi piace. Su Amedeo Guillet sono stati scritti due libri. Uno, di Vittorio Dan Segre, si intitola “La guerra privata del tenente Guillet” (Corbaccio, 1993), l’altro, “Amedeo”, è di Sebastian O’Kelly (Rizzoli, 2002). Ci sono anche studi meno noti e tra questi una brillantissima tesi di laurea di uno studente di Scienze Politiche della Sapienza che ha trascorso due mesi al Public Record Office di Londra per ricostruire la consistenza dei danni e delle perdite inflitte agli inglesi dalla guerriglia condotta da Amedeo Guillet dal maggio del ’41 fino alla fine della guerra in Africa. Sono così consistenti che si capisce bene la ragione per la quale i comandi inglesi destinarono una specifica sezione del loro Intelligence alla ricerca degli irregolari italiani che avevano sublimato l’arte del sabotaggio e della guerriglia. Si è spenta una vita straordinaria, direi, amaramente, quasi nell’indifferenza generale dei media. Pochi trafiletti sulle grandi testate, nessun editoriale e nessun servizio nei telegiornali. L’Italia di oggi gli preferisce il “va pensiero” e il ghigno di Lippi. Ingrati connazionali. In Inghilterra lo avrebbero onorato ogni giorno e per sempre. Di Amedeo Guillet e delle sue imprese i nostri giovani studenti non sanno nulla. Non sapranno mai nulla. I programmi scolastici hanno cancellato le tracce del nostro passato coloniale inducendo nei docenti la convinzione che dobbiamo vergognarcene. Io non me ne vergogno  e non mi stacco dal pensiero che il vecchio cummandar as shaitan è di nuovo in sella a Sandor e che Renato Togni cavalca con lui. Vicini, nel sole, nel vento, nella gloria, nel rimpianto, nell’onore. E insieme a loro tantissimi altri. Che non dimentico. Che non voglio dimenticare.

L'ARCINORMALE - Tre sfighe possono fare una fortuna?


Lidano Grassucci
Cercherò di rispondere a questa domanda partendo da lontano. Ho lavorato con Alfredo Loffredo per più di dieci anni in camera di commercio a Latina. Lui è stato un grande presidente della camera di commercio.
Forse il più grande, tanto è che dopo di lui questo ente è praticamente scomparso, è nulla nel nulla. È stato anche, ed è, l’unico vero borghese di Latina. Uno che ha da rimetterci in termini di prestigio molto. Ora il cittadino Vincenzo Zaccheo, insieme al senatore Giuseppe Ciarrapico e al deputato Gianfranco Conte, lo candida a ipotetico sindaco di Latina. Vediamo uno per uno questi sponsor. Lo faccio per dare un consiglio d’amico all’amico Alfredo Loffredo. Vincenzo Zaccheo è stato sindaco di Latina e non è riuscito a chiudere la consiliatura, cioè ha fallito nel suo mandato. Ha fallito perché molti dei consiglieri che si erano affidati a lui, lo hanno ritenuto “incapace di andare avanti”. Se l’ex sindaco non è stato capace di tenersi i suoi come può sponsorizzare qualche altro? È come se il comandante del Titanic raccomanda per il comando dell’Andrea Doria un suo amico vantando proprie capacità di navigazione. Dice: se il primo sponsor è sfigato forse il secondo è meglio. Il secondo faceva l’editore di giornali. Faceva perché adesso i suoi giornali sono amministrati dal Tribunale per via di una piccola “faccenduola” di contributi pubblici incassati e non dovuti per 25 milioni di euro. Si dirà sono bazzecole; è vero cinquanta miliardi di soldi dello Stato incassati e non dovuti sono una bazzecola che dovrebbero fare gli operari della Nexans? E i giornalisti delle testate di Ciarrapico e quello delle altre testate che si arrabattano ogni giorno con gran fatica per mantenersi il lavoro? Insomma non è proprio un grande sponsor il senatore che pare, a dir della famiglia Sensi, che quando abbandonò la Roma non lasciò a chi gli successe neanche le stoviglie. Taccio del resto per buon gusto. Il terzo posso. E’ un consiglio ad Alfredo Loffredo. Gianfranco Conte di cui nulla eccepisco sulla condotta pubblica e privata, nulla eccepisco sul comportamento personale  ma certo in politica non ne azzecca una, ricordo che per la campagna elettorale alle provinciali sponsorizzò il sindaco di Priverno, Umberto Macci, annunciando la rovina di Cusani, candidato per la stessa carica per il Pdl. Volete sapere il risultato? Cusani è stato eletto presidente della Provincia al primo turno, Macci è consigliere provinciale e nessuno ormai ricorda la sua avventura. Un ipotetico presidente di Provincia così come rischierebbe di diventare ipotetico sindaco il mio amico Alfredo Loffredo. Tre sfighe, e qui rispondo alla domanda iniziale, fanno una sfiga al cubo e non possono fare una fortuna. Consiglierei all’ex sindaco Vincenzo Zaccheo di valutare le ragioni della sua caduta facendo una cosa che non hai mai fatto: vedere non le colpe degli altri ma le sue. Dare sempre la colpa agli altri delle proprie disgrazie è da bambini, gli uomini si assumono le responsabilità e indagano sulle proprie colpe prima di cercare scuse ed espedienti negli altri. I bimbi dicono di non aver rubato la marmellata, gli uomini ne spiegano il gusto, se ne assumono la responsabilità e se la marmellata non è piaciuta lavorano per farne un’altra. Per quanto riguarda il senatore Ciarrapico credo che le cose che vi ho raccontato siano sufficienti, nulla si può aggiungere, perché il silenzio è un grande dono, è il dono dei dignitosi e lui a proposito di marmellata si è sporcato non solo le dita, ma anche i capelli. Per questo ritengo e spero che possa ricordare, assieme ai miei concittadini, Alfredo Loffredo come grande presidente della camera di commercio e non come ipotetico sindaco sconfitto alle elezioni. E Alfredo sa quanto certi amici pelosi davanti sostengono fedeltà quanto dietro si fanno i casi propri. Già una volta ebbi a dargli un consiglio su certi presunti amici. Lo stesso consiglio, con lo stesso spirito, gli voglio dare ora: se gli sponsor della sua candidatura a sindaco sono questi tre è meglio che lasci stare. Con amicizia, la stima di sempre e tutta la riconoscenza che gli debbo per essere stato uno dei pochi dei primi ad aver creduto in me.

NEXANS, non è un adieu

Teresa Faticoni
Un paio di ore per spegnere e riaccendere le speranze dei lavoratori Nexans. In una grigia giornata francese, nella sede della multinazionale in Rue Mozart a Clichy nella zona nord di Parigi, è calato un sipario di gelo sulle possibilità di mantenere il sito pontino. Nella mattinata il gruppo di cinquanta lavoratori accompagnati dai segretari delle categorie chimici delle organizzazioni sindacali ha incontrato i rappresentanti sindacali del Comitato aziendale europeo. «Abbiamo ricondotto a loro le nostre motivazioni contrarie alla chiusura – spiega Dario D’Arcangelis segretario della Filctem Cgil –. Hanno raccolto ed espresso solidarietà molto leggera e superficiale. Abbiamo suggerito di mantenere la massima attenzione rispetto alla strategia Nexans che negli ultimi tre anni, comprendendo anche lo stabilimento di Latina, ha chiuso sei siti in Europa». Poi a mezzogiorno e mezzo è cominciato l’incontro con il gotha della Nexans, presidente, direttore e massimi livelli dirigenziali. Di nuovo tutta la storia della Nexans, i motivi per cui chiudere non va bene. Il management ha sottolineato che piuttosto che intervenire presso il governo francese, sarebbe il caso di farlo presso quello italiano. In sostanza, a precisa domanda delle parti sociali, se Enel cominciasse a riaffidare commesse a quel sito, si potrebbe pensare di tornare a produrre cavi. Ma solo per qualche mese. Enel nel 2008 aveva commissionato alla Nexans di Latina 38 milioni di cavi. Nel 2010 solo 20 milioni. Ma sul tavolo c’era già la chiusura. «Abbiamo fatto capire che se non si scende a miti consigli sarà una partita di difficile gestione», sottolinea Roberto Cecere segretario della Femca Cisl. Per quanto attiene alla riconversione si è registrata una chiusura totale. «Non si apre agli imprenditori locali se prima Nexans non dice come vuole assistere la partita fino in fondo – continua Cecere -. Non apriamo a progetti sulla carta». A questo punto a dare le carte si torna in patria: il governo italiano, così come promesso da vari esponenti, dovrebbe fare la sua parte intervenendo presso l’Enel. «Chiediamo al Governo italiano e al ministero di cercare di trovare insieme al sindacato percorsi alternativi di reindustrializazione - dichiara Armando Valiani della Ugl - cerchiamo imprenditori che vogliano produrre cavi su Latina». E da qui potrebbe iniziare tutta un’altra storia. 

APRILIA - Wyeth, tutti i dubbi dei dipendenti

Teresa Faticoni
«L'incontro avvenuto presso la sede Wyeth di Aprilia, in occasione del quale la Pangea si è presentata, ha lasciato tutti i lavoratori molto preoccupati». Così i dipendenti che hanno cominciato a conoscere le nuove società che dovrebbero assumerli una volta che partirà ufficialmente la procedura di mobilità. A oggi, tra ricollocamenti e addii volontari, sono 58 le persone che sono ancora in bilico, e che faticano a percorrere la strada segnata da Pangea. Il progetto di questa società, con sede legale a Monza, è ancora in fase embrionale, così come emerso «quando abbiamo fatto domande più specifiche sulla tempistica prevista per l’avvio dell’attività». Poi nel pomeriggio di martedì e per tutta la giornata di ieri sono proseguiti i colloqui individuali, che hanno rafforzato la prima impressione che i lavoratori avevano avuto. In sostanza come affermato dalla stessa società il progetto dovrebbe partire nell’autunno prossimo e a venti giorni dalla chiusura della trattativa territoriale (i 75 giorni dal momento in cui la società dichiara gli esuberi scadono il 9 luglio) i lavoratori si aspettano maggiori garanzie. «La presenza di Geosystems all’incontro è stata limitata a fornire alcune indicazioni sul software da loro realizzato e che intendono far gestire a terzi – spiegano ancora i lavoratori che erano presenti all’incontro -. Il personale, anche quanti decideranno di aderire al progetto VAS promosso da Geosystems, sarà comunque assunto da Pangea, che intende organizzare la sua struttura in due rami d’azienda ben distinti. Ancora però non è ben chiaro a svolgere quale attività (ma “cablaggio”, in Italiano, non vuol dire insieme di cavi?)». Un altro aspetto di tutta la vicenda lamentato dai dipendenti è inerente il costo della continuità lavorativa. In sostanza se andassero in mobilità tout court l’incentivo sarebbe molto più alto rispetto alla ricollocazione. E con un futuro così incerto chi lascia i soldi sul tavolo? Su questo punto però le organizzazioni sindacali hanno già annunciato la battaglia per la fideiussione che li garantirebbe nel caso le cose non andassero a buon fine. «Confidiamo nell’intervento della Provincia e della Regione, da noi interpellate, possano supportarci in questa trattativa ormai giunta alle ultime battute, consapevoli delle enormi difficoltà che i lavoratori dovranno affrontare per ricollocarsi in un territorio sempre più povero di opportunità lavorative». Firmato i dipendenti Wyeth.

Crollo Ventotene: la Procura dispone una nuova perizia

Raffaele Vallefuoco  
Si è svolta ieri mattina presso la spiaggia di Cala Rossano una perizia disposta dalla Procura di Latina che vuole vederci chiaro sul crollo che lo scorso aprile ha spezzato la vita delle due studentesse romane in gita sull'isola di Ventotene. I periti nominati dall'autorità giudiziaria stanno appurando le cause del cedimento del costone che ha strappato agli affetti familiari Sara e Francesca. Una perizia che solo tra sessanta giorni potrà dispiegare i suoi effetti, quando i risultati saranno depositati presso il Tribunale di Latina. Intanto sono dieci gli iscritti sul registro degli indagati. Si tratta, in particolare di funzionari della Regione Lazio e dell'Autorità di Bacino regionale. All'accertamento disposto dal Pm Francesco Saveriano erano presenti anche i consulenti nominati dai legali degli indagati.

Rifondazione vs il Comune di Formia: nessuno tocchi i lavoratori Cotral

Raffaele Vallefuoco  
24 giugno 2010 
Nessuno tocchi i lavoratori. è il monito lanciato dal segretario formiano di Rifondazione Comunista,  Roberta Trombetti. L’esponente, però, non interviene per esprimere solidarietà ai lavoratori di Pomigliano, ma assolve il compito di segretario territoriale irrompendo nel dibattito cittadino nel giorno in cui gli autisti Cotral annunciano la protesta per la rimozione del capolinea dalla Stazione di Formia. Spiega: «Lo spostamento della fermata si era reso necessario, secondo la versione ufficiale, a causa dei lavori di sistemazione del viadotto sulla litoranea. Un sacrificio che gli autisti avevano accettato senza alcuna lamentela», consapevoli di dover pagare il loro prezzo all’emergenza viabilità. «Poi come spesso succede l’emergenza viene risolta, ma il provvidemento non solo non viene ritirato, ma anzi lo si usa per scatenare una polemica contro gli autisti, che hanno la sola colpa di chiedere il ripristino del proprio diritto a lavorare in condizioni di sicurezza.  Va bene che oggi è tanto di moda sparare sui lavoratori facendoli passare per dei privilegiati, semplicemente perché portano tutti i mesi uno stipendio a casa, ma che l'assessore Cardillo arrivi addirittura a minacciarli  del sequestro del mezzo se si ostineranno a non ubbidire ai suoi ordini, è francamente troppo». Quindi l'esponente delle sezione Enzo Simeone entra nello specifico contestando il mancato rispetto della legge sulla sicurezza: la 626, nonostante «il sindaco Forte e l'assessore al lavoro Treglia avevano assicurato il massimo impegno da parte del Comune di Formia nell'opera di prevenzione». Per questo il sodalizio di sinistra si rivolge direttamente al primo cittadino «perché gli autisti siano messi nella condizione di lavorare al meglio, garantendo la loro incolumità e quella dei passeggeri che trasportano. Ovviamente - conclude sprezzante la Trombetti - rimane aperto il capito della sicurezza in generale ma su questo contiamo di ritornare a breve». I lavoratori, almeno a livello locale, tornano al centro dell’attenzione delle forze di sinistra. Proprio quello che è mancato a Pomigliano.
 

martedì 22 giugno 2010

Case famiglia nella Fattoria solidale del Circeo


Teresa Faticoni
Un esempio da seguire, un modo di fare impresa che fa scuola, un modo di impiegare la solidarietà per fare impresa. La Fattoria solidale del Circeo è stata protagonista di un convegno che si è tenuto a Roma nell’ambito del Sanit, il forum internazionale della salute che ieri si è concentrato sulla riabilitazione in agricoltura. L’oggetto dell’incontro è stata proprio l’attività riabilitativa che si svolge nella Fattoria di Pontinia con le testimonianze dirette portate dagli operatori sanitari e dal personale del dipartimento di salute mentale dei Monti Lepini. Ma ieri si è fatto molto di più: all’interno del Sanit è stato siglato un protocollo di intesa per realizzare case famiglia per ospitare persone disabili all’interno della Fattoria. «Una cosa molto innovativa e pionieristica», commenta con orgoglio Marco Di Stefano della Fattoria. Il documento è stato siglato dallo stesso Di Stefano, da Saveria Dandini, presidente dell’Istituto Leonardo Vaccari («la storia della riabilitazione a Roma dal 1936», dice Di Stefano) e Alfredo Bonino, presidente dell’associazione italiana disabili. Partner di prestigio che confermano non solo la validità del progetto, ma anche la sua fattibilità avendo fatto propria una esigenza come quella di dare un tetto vicino al luogo di lavoro a persone con patologie psichiatriche. Adesso parte la caccia ai fondi per la realizzazione delle case famiglia. Pubblici e privati, basta rispondere all’appello.