mercoledì 1 settembre 2010

LA FORMICA ROSSA - FACOLTà E DISOCCUPATI

tieffe
Poco meno della metà delle donne italiane lavora e molto di quelle che non lo fanno hanno smesso di cercare occupazione. Dall’altra parte gli artigiani continuano a denunciare la difficoltà di trovare giovani che vogliano imparare un mestiere. Di quelli in cui si si sporca le mani. La verità dove sta? Sta nelle facoltà strapiene di scienze della comunicazione, dove chi esce si sente un gradino sotto soltanto a Montanelli. Sta nelle affollate aule di giurisprudenza, dove studenti fuori corso da secoli aspirano a diventare i principi di Forum. E certo che poi quando chiami l’idraulico lo paghi tantissimo. Per tacere di veline e velone de noantri. Certo, i dati dicono anche che le donne prendono stipendi inferiori agli uomini a parità di mansioni. Ma questo è un capitolo a parte.

giovedì 26 agosto 2010

LA FORMICA ROSSA - Noi onoriamo i nostri morti


Nel giorno in cui si registrano in Italia almeno 4 morti sul lavoro (quelli che hanno avuto gli onori della cronaca nazionale), di cui due in provincia di Latina - perché nel computo c’è anche il finanziere Vincenzo Di Donna - il ministro Tremonti vuole cancellare la legge sulla sicurezza (la famosa 626). Mi dicono:è logico, loro pensano al libero mercato. Io dico che potevano pensare al libero mercato anche quando hanno fatto quella porcata per “salvare” l’Alitalia. Ma il signor ministro non guarda la rassegna stampa?Oppure ha perso tra le biglie del pallottoliere un pizzico di buon gusto per evitare di dire scempiaggini in un giorno di lutto per l’Italia intera?Noi onoriamo i nostri morti, che non sono i loro.

lunedì 23 agosto 2010

LE SCAMPAGNATE – La politica pontina (e non solo) vista da ‘no lavannaro - CESSIONE DELLE FABBRICHE, NON E’ UNA SVENDITA


Roberto Campagna
Non le svendono, le vendono. E se le vendono è perché le proprie fabbriche trovano l’acquirente, altrimenti resterebbero loro sul groppone. E le chiuderebbero, se fossero state colpite da vera crisi. Invece, se hanno mercato è perchè sono appetibili. Tre i casi di cessione di aziende locali avvenuti nell’ultimo anno sulle cui modalità ed effetti è bene riflettere: Pfizer, Bristol e Findus. Partiamo dal primo. All’inizio dell’anno passato, il colosso farmaceutico americano vende lo stabilimento di Borgo San Michele al gruppo tedesco Haupt Pharma. Un trasferimento che rientrava nel nuovo piano aziendale dello stesso colosso, che prevedeva il taglio della forza lavoro, la vendita di alcune fabbriche e la riduzione dei dividendi. Nulla da eccepire. Gli stessi sindacati dei lavoratori intervennero soltanto dopo il trasferimento, quando si resero conto che gli acquirenti tedeschi non avrebbero garantito per almeno tre anni i livelli occupazionali. Troppo tardi. Occorreva, come ammise lo stesso segretario provinciale della Cgil, raggiungere un’intesa con l’Haupt Pharma prima che fosse definito l’acquisto. E’ quello che poi fecero, ad aprile di quest’anno, nella fase di passaggio della Bristol di Sermoneta alla Corden Pharma Latina Spa, una società che fa capo al gruppo tedesco Icig (International chemical investors group). Quello che i sindacati raggiunsero fu, per certi versi, un accordo soddisfacente, anche se in esso non si fece minimamente menzione delle maestranze che sarebbero state mandate a casa in un’eventuale futura riorganizzazione aziendale. Sulla vendita, ovviamente, furono impossibilitati a mettere bocca. Invece, sulla cessione dello stabilimento e di quattro marchi (4 Salti in Padella, Sofficini, Capitan Findus e That’s Amore) della Findus di Cisterna, erano stati chiamati prima dell’inizio delle trattative. Ma nonostante la loro ferma opposizione, l’Unilever, proprietaria dell’azienda, è andata avanti per la sua strada cedendo, alla fine di luglio, il sito e tutto il comparto surgelati alla Birds Eye Iglo, società controllata da Permira, un fondo di private equity europeo. Per portare in porto la vendita, la multinazionale anglo-olandese aveva appositamente costituito la Compagnia Surgelati Italiana srl. Il mercato dei surgelati italiano è il quarto più grande in Europa, con un valore di 2,3 miliardi di euro. La Birds Eye Iglo (Beig) e la Findus Italia facevano parte della stessa Unilever. Poi, nel 2006, la Beig fu ceduta a Permira, che ora ha acquistato appunto anche la fabbrica di Cisterna. Pare una partita a monopoli. Simile a quella che giocò la Phizer: contemporaneamente alla vendita dello stabilimento di Borgo San Michele acquistò la Wyeth di Aprilia. Tali operazioni, comunque, fanno parte delle scelte di politica aziendale, così come la delocalizzazioni delle attività. Delocalizzazioni, sottolinea Silvio D’Arco, assessore provinciali alle Attività produttive, dovute alla mancanza di competitività del territorio. Vero. Ma perché la provincia di Latina continua, comunque, ad attrarre certi investitori, come per l’appunto la Haupt Pharma, la Corden Pharma e la Beig? E’ questo che occorre capire, se si vuole mettere una pezza alla deindustrializzazione locale.  

SABAUDIA - Prisma: liberate il lago


Antonio Picano
Cantieri Prisma in testa, l’intero comparto nautico di Sabaudia scrive al ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo per lamentare ancora una volta le difficili condizioni in cui versa il settore e richiederle un incontro urgente al fine di instaurare un rapporto costruttivo e mettere una pietra sopra a polemiche, contrasti territoriali e istituzionali, soffocando quelle voci artatamente diffuse che volevano l’industria locale interessata alla realizzazione di un porto sul lago di Sabaudia. “Non siamo noi e non lo siamo mai stati interessati a tale ipotesi - dice infatti il titolare della Prisma Massimo Placati -. Se qualche volontà di  porto è esistita è da ricercare in persone che adesso, per mero opportunismo, per interessi privati, per compiacenza a vari livelli, per l’ottenimento di autorizzazioni per le loro attività, dichiarano fedeltà al mondo ambientalista, pur non essendolo  mai stati”. “Anzi – aggiunge – nostro auspicio è che siano avviate con celerità le procedure di rilocalizzazione dell’industria nautica nel territorio di Sabaudia, non rientrante nella perimetrazione del Parco”. Vogliono, le aziende, sgombrare il campo dall’equivoco che ad Amministrazione Comunale e Provincia di Latina “stessero a cuore le sorti del lago e l’abbattimento del Ponte Rosso, solo per compiacimento alla cantieristica locale o per amicizie personali”. E a tal proposito desiderano ricordare “che la cantieristica a Sabaudia è nata ancor prima che venissero imposti i vincoli e prima che le stesse aziende fossero perimetrate all’interno del Parco, quindi, è falso affermare, come da qualcuno in interviste televisive, che all’improvviso dal nulla sia spuntata nel lago una barca di 40 metri. Non è stato un miracolo o un favore, ma un lavoro lungo e faticoso, durato quasi 60 anni”. Pertanto, “una volta delocalizzata l’industria nautica da diporto, non dovrebbero esserci ostacoli per la riqualificazione e la fruizione dell’area da parte di residenti e turisti, a meno che i soliti detrattori, speculatori, opportunisti ambientali non inventino altre storie di connivenze malavitose, magari anche nei confronti dei piccoli pescatori della domenica, degli atleti che qui si allenano, dei cittadini che a  ferragosto vanno in processione”. Amara la conclusione degli imprenditori, dove invitando la Prestigiacomo “a meditare ed a chiedere almeno scusa a Sabaudia” si dichiarano pronti, anche se con immenso dolore, a togliere le tende dal lago “con la triste consapevolezza, però, che la vincitrice di questa vicenda è una sola persona che per una sua guerra personale e fratricida, insieme alla crisi è stata la vera devastatrice di questo territorio”. 

NEXANS, STRISCIONI OVUNQUE

Teresa Faticoni
Anche sotto il mare un sub ha portato uno striscione: «Nexans cede sito per produrre cavi». Non si fermano i ragazzi della ex Fulgorcavi: per tutto il mese di agosto hanno attaccato striscioni sui ponti. La notte tra domenica e lunedì è stata la volta della Frosinone-mare e del Mof di Fondi. Punti strategici, molto simbolicamente sono stati scelti i ponti per attaccarci sopra una speranza di domani. Un segnale forte che arriva da chi da mesi presidia lo stabilimento di Borgo Piave. I dipendenti della multinazionale francese che ha deciso di chiudere il sito pontino per spostare la produzione di cavi a Battipaglia in Campania hanno deciso di non aspettare che qualcuno scelga il loro futuro. A settembre partirà il tavolo interistituzionale per vagliare i progetti che arriveranno per la reindustrializzazione del sito. La stessa Nexans ha già dichiarato di avere nel cassetto qualche proposta: prima della chiusura in diverse occasioni c’erano state visite dei consulenti della Saint Gobain, che produce vetri. Ma la priorità dovrebbe essere, secondo il volere dei dipendenti, data a chi produce cavi; per non disperdere il know how acquisito negli anni, considerato pure che la stessa Nexans si sarebbe detta non interessata a portar via i macchinari che sono in via del Crocifisso. Sarebbe tutto pronto per ripartire con la produzione dei cavi, ma manca a questo punto un imprenditore disposto a investire. Qualche contatto, segretissimo, sembra esserci stato. Ma i vertici della multinazionale francese si erano detti pregiudizialmente contrari - e in una logica puramente di mercato è comprensibile un simile atteggiamento - a lasciare tutto a un ipotetico competitor. Nell’accordo sottoscritto al ministero dello sviluppo economico, confermato poi in Regione Lazio, quella pregiudiziale sembra essere caduta, ma la locuzione usata è apparsa alquanto sibillina. «La Nexans esaminerà - si legge nel documento del 23 luglio - esaminerà senza pregiudiziale alcuna, ulteriori progetti che verranno via via presentati». Sembra una formula facile da aggirare. Non resta che attendere settembre, con il gruppo di lavoro, istituito presso il ministero dello sviluppo economico, cui prendono parte i rappresentanti della Nexans, la Regione Lazio, la Provincia di Latina e le organizzazioni sindacali.

L'ARCINORMALE - Elezioni, qualche dubbio



Lidano Grassucci



Andremo a votare di nuovo, anche questa volta sarà un referendum sull’orlo di un baratro. Naturalmente non sarà così, ma se la politica continua a giocare con il consenso ci sono dei rischi.
 I latini amano molto Cesare e il cesarismo, sono naturalmente affascinati dagli uomini della Provvidenza, salvo poi odiarli quando la Provvidenza cambia uomo, e la nostra è volubile forte.
Vengo da terre schiave per secoli di preti e, quindi, gli esempi coi preti mi vengono meglio: “chi entra Papa in conclave, ne esce cardinale”. Che vuol dire? I calcoli che si fanno a monte spesso non  tornano con quelli che poi si riscontrano a valle.
Vanno di moda, tanto, i sondaggi ma il popolo non è come il deserto arabo che se fai il buco esce il petrolio, qui se buchi ti esce indifferentemente acqua, melma, gas o terra e ancora terra, e talvolta escono conchiglie. Il popolo è volubile, imprevedibile e i risultati delle elezioni sono sempre cinici e bari. Una volta i socialisti decisero di unirsi dopo che un odio fratello li aveva divisi per lustri, Saragat e Nenni insieme. Pensavano di fare bingo, di sommare i loro voti e di mettercene sopra altri. Erano ottimisti, presero meno consensi di quelli presi divisi la volta prima. “Cinico e baro” avrebbe definito il destino che porto a quel risultato Giuseppe Saragat che era uomo provveduto e razionale.
Mai scherzare con le elezioni: Bossi è convinto, ma ha visto la faccia della sua prole? Non è nobile mettere il cognato nella casa del partito, ma fare consigliere regionale il pargolo, bocciato alla maturità tre volte, è una figata?
Berlusconi ha il dovere delle riforme: cosa ha fato per limitare il potere (lo strapotere, l’abuso di potere) dei magistrati? Perché chi giudica è collega di chi accusa? Perché non c’è una norma efficace che impedisca ai miei colleghi di trasformare il diritto di raccontare cose pubblicamente rilevanti con l’abuso di sputtanarmi per cose personali e penalmente ininfluenti?
Perché in questo paese, e solo in questo, non vale il principio che tutto è lecito tranne ciò che è espressamente vietato? Perché la legge sulla procreazione assistita l’hanno dettata i preti non determinata liberamente i rappresentanti del popolo sovrano?
Ci ragionerei sopra queste cose, so bene che i sanfedisti i Pavolini sognano eroiche rese di conti nel ridotto della Valtellina (che non resta famosa per resistenze eroiche ma per la prosaica bresaola), ma la politica democratica è ragione non entusiasmo, fanatismo.
Penserei e tanto prima del voto, Bossi cerca di anticipare la resa dei conti dei suoi colonnelli, lo capisco ma quando si va in guerra mica è detto che la vinci. In un paese siciliano alla fine della guerra campavano male e avevano fame. Uno sveglio dei paesani propose: “dichiariamo guerra agli americani, ci vincono, ci fanno prigionieri e a quel punto sono tenuti a darci da mangiare”. Idea geniale, solo che un compaesano trovò da ridire: “Tutto giusto, ma se vinciamo?”
Non se ne fece nulla.
Bossi ha ragione, ma se vincono gli altri? 

sabato 21 agosto 2010

L'ARCINORMALE - I ben pensanti



Lidano Grassucci



Pubblico di seguito una nota di Dario Petti, lui viene dal Pci ed è di una generazione intorno alla mia. Interviene a seguito di un confronto aperto su queste colonne da mie considerazioni su Francesco Cossiga e dall’assalto conseguente di un mondo “eternamente politicamente corretto” nei miei confronti e in quelli di Cossiga. Come Dario sono stato un militante politico, anche se io ero menscevico, socialdemocratico, riformista e per tanti “servo della controrivoluzione”. Capita, e la cosa è una costante di chi in questo posto non sta con la (le) fedi ufficiali.
Riconoscendo a Cossiga il posto nella storia repubblicana che merita non ho abiurato alla mia storia, ai miei valori, e all’idea che avrei voluto “non morire democristiano”. Ma questo non mi ha mai impedito di riconoscere che la Democrazia Cristiana è stato un grande partito popolare e al suo interno c’erano interrogativi, attenzioni, speranze che erano, sono e saranno patrimonio dei democratici. Sandro Pertini è stato presidente della Repubblica, era socialista e questa cosa la spiegava così: “se vengono a chiedermi, a me socialista, di accettare la più grande giustizia sociale a scapito della libertà, io la rifiuterei perché non ci sarà mai giustizia senza libertà, se al pari vengono a propormi la liberta assoluta senza giustizia sociale, parimenti direi di no: non può essere libero un uomo che può solo morire di fame”. Ecco, continuo a pensarla così e la libertà, caro Dario, è prima di tutto riconoscimento della libertà dell’avversario, del nemico, di chi è diverso da noi. La libertà è un dovere civile nell’esprimere idee, se le ritieni giuste, anche se sono difficili.
Non sono più militante politico, noi socialisti non abbiamo più casa da tempo, siamo vittime di una diaspora che, credo, rende l’Italia povera, marginale e fuori dal contesto europeo. Ma nel dibattito su Cossiga la mancanza di una sinistra riformista, orgogliosa della sua storia e non accecata dalla sua retorica, è venuta fuori tutta. Pertini è stato socialista, ma ha combattuto nella prima guerra mondiale per l’Italia, ottenne la medaglia d’argento al valor militare, era politicamente scorretto? Essere internazionalista e combattere per la Patria, è bestemmia o umanissimo problema della coscienza? Gli uomini hanno valori che, spesso, creano conflitti contraddizioni contrasti, lacerazioni. A me piace Cossiga che dubbioso fa il dovere di ministro dell’interno su Moro (che uccidono le Brigate Rosse non i democristiani), ma sente addosso la ferita della coscienza da cattolico.
E’ la contraddizione, la lacerazione, di chi ha una coscienza e conosce il senso dello Stato. Da ragazzo mescevico e libertario mi innamorai di un cantante anche lui ereticamente menscevico, socialista liberale si definisce, e recitava così: “il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto | l'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto | è un dio che è morto”. Ecco Dario questo Guccini lo scriveva nel ’65. Che devo dirti che quando ho visto la bara con  la bandiera della Sardegna e il tricolore repubblicano italiano mi sono commosso. E chiudo sempre con Guccini è un brano che riconosci:  “Da tutti gli imbecilli d' ogni razza e colore/dai sacri sanfedisti e da quel loro odore/ dai pazzi giacobini e dal loro bruciore/da visionari e martiri dell' odio e del terrore/da chi ti paradisa dicendo "è per amore"/ dai manichei che ti urlano "o con noi o traditore!"/libera, libera, libera, libera nos Domine!/ Dai poveri di spirito e dagli intolleranti/da falsi intellettuali, giornalisti ignoranti/ da eroi, navigatori, profeti, vati, santi/dai sicuri di sé, presuntuosi e arroganti/dal cinismo di molti, dalle voglie di tanti/ dall'egoismo sdrucciolo che abbiamo tutti quanti/libera, libera, libera, libera nos Domine!”.
Caro Dario ti ringrazio, sperando che un giorno ritrovi la mia sinistra, popolare, laica, libertaria, umana e riformista. Mi scuserai se ora con questa roba sanfedista, con questi rivoluzionari in Cadillac, non ho nulla a che fare, sono figlio di contadini. Giuseppe Saragat, primo socialista presidente della repubblica italiana (l’unico, o uno dei pochi, che conosceva Marx) chiudeva i suoi discorsi invocando “viva l’Italia, viva il socialismo”. Sono di questa schiatta. E, consentimi, ne vado orgoglioso.



PRESTITO PONTE PER LA NEXANS


Teresa Faticoni
«Hanno spudoratamente imbrattato l’agro pontino di manifesti, per ricordare a tutti gli elettori e ai lavoratori della Nexans in particolare, in lotta da mesi per la conservazione del posto di lavoro e la ripresa produttiva dell’azienda, che se possono beneficiare della cassa integrazione e disporre di qualche centesimo in più al mese, devono ringraziare i pidiellini della lista Polverini. Non solo, ma se lo devono ricordare bene alle prossime elezioni comunali, per ricambiare col voto ai candidati delle liste del Pdl, per la grazia ricevuta della cassa integrazione». Un’analisi spietata quella di Tonino Mancino, del coordinamento di Latina di Sinistra ecologia e libertà all’indomani dei manifesti che la Lista Polverini ha attaccato non solo in provincia di Latina ma anche a Roma per inneggiare agli ammortizzatori sociali ottenuti. Una polemica che sta animando il dibattito estivo e ha coinvolto istituzioni (vedi l’intervento attapirato dell’assessore provinciale alle crisi industriali Silvio D’Arco), sindacati (su tutti Dario D’Arcangelis segretario della Filctem Cgil e Roberto Cecere della Femca Cisl), e partiti politici con il segretario del Pd prima e Tonino Mancino ora. «Quei manifesti suonano insulto alla lotta degli operai. Rappresentano un falso di merito. Al tavolo delle trattative c’erano i tanto vituperati sindacati a battersi a fianco dei lavoratori della Nexans. Aver ottenuto il riconoscimento di un diritto, non è una vittoria per nessuno, dato che gli ammortizzatori sociali, nel contesto dato, non preludono alle finalità istituzionali di garantire continuità occupazionale per i lavoratori e ristrutturazioni tecnologiche aziendali qualora ve ne fosse stata necessità», dice Mancino che per tutti i mesi di lotta è stato sempre al fianco degli operai, notte e giorni, accompagnandoli anche a Roma per parlare con gli esponenti regionali di Sel. «Se proprio meriti devono essere riconosciuti a qualcuno, non possono che essere ascritti alla tenacia della civile e responsabile lotta dei lavoratori - continua l’esponente della Sinistra -, ai quali continueremo ad esprimere il nostro sostegno solidale. Nel corso delle civili manifestazioni a Latina, i lavoratori della ex Fulgorcavi-Nexans, hanno invano invocato e sollecitato la solidarietà della città. Hanno invano urlato dai megafoni e scritto sugli striscioni: “Latina dove sei? Le fabbriche chiudono l’economia muore”. Ma in piazza della Prefettura e sotto al palazzo dell’Amministrazione Provinciale di Via Costa, Latina non c’era Non è stata solidale a fianco dei suoi operai». Una città che non ha risposto alle sollecitazioni di civiltà, che è stata incapace di esprimere un qualsiasi gesto di solidarietà a quelli che potevano essere i loro padri o i loro figli. E naturalmente, come sottolinea ancora Mancino, «Non c’erano neanche i sottoscrittori dei manifesti della lista Polverini». Mancino sollecita fatti e atti concreti delle giunte provinciale e regionale nella ricerca di committenze per assicurare il futuro produttivo della fabbrica. Infine la poroposta: «Perché non si mette all’agenda politica della Regione e del Governo un impegno finalizzato a far promuovere all’Enel committenze tali da garantire occupazione post cassa integrazione e continuità produttiva congeniale alle tecnologie dell’azienda ormai ex Nexans? E perché non pensare a un “prestito ponte” tipo Alitalia per rimettere in moto l’azienda insieme ad Enel?»

venerdì 20 agosto 2010

L'ARCINORMALE - Ipocrisie, ragioni e torti


Lidano Grassucci
“L’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto, un Dio che è morto”. Cantava così Francesco Guccini il ritratto di un tipo umano che non ascolta, non cerca nell’altro le ragioni anche se sono torti ai suoi occhi.
Difficile uscire dalle sicurezze dell’ideologia, della Fede, del denaro, della calda vita mentre il mondo è freddo.
Avere consenso da chi ti è vicino è facile, cercare di comprendere chi è lontano è la sfida. La libertà che rivendichiamo per noi è niente se non siamo disposti a riconoscerla agli altri e proprio a quelli che la useranno in maniera diversa da noi.
Comodi, giudichiamo i torti degli altri confermandoci le nostre ragioni.
Credo che siamo le nostre, profonde, tristi contraddizioni.
Nessun uomo è cavaliere puro spirito, ciascun uomo è anche il cattivo che è in noi.
La vita è sporcarsi le mani, è rovistare anche nel fango. Facile fare i puri e non far nulla.
Ho espresso la mia vicinanza e simpatia per Cossiga, strali sono piovuti addosso, come dava ordini alla polizia, decise di tenere ragion di Stato e non coscienza umana sul caso Moro.
Già, ma qualcuno doveva sporcarsi le mani, quelli a casa erano comodi, pensano che il vivere o il morire è un film in Tv, la morte è pulita e non puzza perché dallo schermo non escono odori.
L’umano puzza, ha paura, è vile per quanto ardimentoso.
Racconto storie, come so, racconto quel che vedo per quel che sono, ma non riesco a non cercare il limite, il paradosso il peso dell’altro.
Togliatti a Salerno doveva scegliere: o battere gli invasori o perdere e restare puro. Scelse la prima opzione e si sporcò le mani, tanto. Salvò la sua Italia, contribuì a salvare, la non fece la sua rivoluzione.
“Chi non fa non falla” è un vecchio adagio, chi non si schiera non dice.
Il mondo non è popolato di personaggi di cartoni animati, non è un luna park, non è psichedelico, è in bianco e nero.
Facile essere buoni e dare il pane quando abbiamo appena finito di mangiare le brioches, difficile dividere il tuo pane quando la tua fame non è ancora placata, quando rischi di rimanere affamato.
Vengo dal mondo degli ultimi e non ne provo vergogna, dividere l’unica mela che c’è nella consapevolezza che non ci sarà la prossima è generosità, dare la ventesima avendone 19 in frigo è carità, è un passaporto ipocrita per la propria coscienza.
Cossiga si è sporcato le mani, ha avuto il conflitto lancinante tra la sua coscienza e il suo dovere, tra la sua etica pubblica e il suo sentire privato.
Per questo è stato umano, perché l’umano è contraddirsi tra i piani che umanamente ci siamo dati. Facile da casa dire: ha sbagliato. Chi può dirlo, è vero le brigate rosse hanno ucciso Moro, ma sono state sconfitte. Se ci fossimo comportati diversamente, non saremmo sicuri della vita di Moro, ma neanche della libertà di tutti. Questi dubbi, questo fango che ti schizza quando scegli è cosa che comprendo, altro è ipocrisia.
Mangio pane e pane, il companatico è scoperta recente e precaria, ma non nascondo il fango che ho tra le mani. Ma l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto vi assicuro sporca di più’.

LA FORMICA ROSSA - Repubblica democratica fondata sugli ammortizzatori sociali

Teresa Faticoni
«L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, non sugli ammortizzatori sociali, sulla disoccupazione, il precariato, lo sfruttamento». Ho copincollato una frase scritta su facebook da Ivan Dal Col, un giovane sindacalista della Cgil. Dà l’idea di che mondo viviamo, di quanto - checchè ne dica chi si diverte a chiamarli “bamboccioni” - i ragazzi aspirino al lavoro, quello in cui ci si mette la faccia e ci si sporca le mani e non solo un reddito garantito pagato dall’Inps. Era il 17 maggio 2010, la prima grande manifestazione Nexans, e Alessandra Crociara, rsu di quella fabbrica, gridava al microfono con voce rotta: «Vogliamo lavorare, non ci accontenteremo degli ammortizzatori sociali». Niente di meno che il lavoro. Non sembra chiedere troppo.


giovedì 19 agosto 2010

Sardegna un posto dove c’è il mare



Geronimo Stilton


Che il suo Dio, quello in cui credeva, lo accompagni per il tempo senza tempo. Il presidente Cossiga è stato seppellito ieri a Sassari, nel cimitero monumentale della città, lì dove era nato. Si gira sempre il mondo per tornare a casa e fermarsi. Sul feretro la bandiera della Repubblica e quella della sua Sardegna, i 4 mori. Simbolo di fierezza la seconda quanto di libertà il tricolore italiano. A onorarlo i suoi soldati: i piccoli fanti della Sassari, i giganti dei granatieri di Sardegna. I primi erano la sua gente, i secondi erano la guardia, quelli che arrivano quando tutto, tutto è finito e solo l’onore è da salvare. Ai secondi regalò la divisa che per secoli avevano indossato e per anni dimenticato da retoriche pacifiste che offendono la storia. Simboli, le bandiere e i soldati, che nessuno sa più leggere, come se fossero tutti analfabeti di ritorno. Come puoi capire Cossiga se non conosci la storia di quelle teste mozzate, di quel segno a incuter timore per chi vuole far prepotenza ai sardi, da lontano la senti la paura per quell’offendere alla dignità.
E il tricolore mutato dalla rivolta grande di Francia per la Francia e per il mondo, niente parrucche, niente privilegi liberi, fratelli e uguali. Ma chi la legge più, bande colorate sono. Boh, sono principi. I soldati presentano le armi, a dire che il loro è servire per la libertà di tutti. Ma chi lo legge più, si corre oggi sui giornali ci spiegano che il capo del governo è stato visto con due donne e che  al mare la prole indossa un costume succinto. Tempi nuovi corrono, tempi in cui le bandiere le fanno i designer, le divise gli stilisti.
Tempi nuovi corrono, e Repubblica è solo un giornale e la Sardegna un posto dove c’è il mare. 

L'ARCINORMALE - Il cancro della Sinistra



Lidano Grassucci



Il dibattito seguito agli articoli sulla scomparsa di Francesco Cossiga hanno riportato a galla un mondo che, sinceramente, credevo scomparso. Ogni tanto, con il mio compagno Massimo Passamonti, facciamo i reduci della eresia riformista che ci accumunò, dividendoci (ma la bellezza di essere socialisti è questa, in due fondiamo almeno tre correnti), pensando che i tempi nuovi avessero cancellato le scomuniche che ci portiamo dietro da quando scegliemmo quell’eresia nella patria dei sanfedisti.
 Claudio Lolli, interpretando l’ostilità verso i catari che eravamo, cantava:“ La socialdemocrazia è un mostro senza testa.
La socialdemocrazia è un gallo senza cresta. Ma che nebbia, ma che confusione che vento di tempesta. La socialdemocrazia è quel nano che ti arresta”.
Erano certamente tempi bui quelli che vanno dalla fine del ’68 all’inizio degli anni ’80. Ecco noi eravamo (e ahimè, siamo socialdemocratici), eravamo letti come i preti romani leggevano i catari: “servi del demonio”. Ora che il demonio è l’America, il riformismo, l’Spd tedesca, cambia poco, le chiese hanno poca fantasia.
Ma mentre loro, i puri, mandavano i ragazzi a morire per strada e trattavano per andare al governo, noi facevamo “piccole cose”, cose borghesi, io direi socialdemocratiche: lo Statuto dei lavoratori; l’energia elettrica come diritto per tutti; la possibilità di sciogliere il sacro vincolo del matrimonio quando non si andava più d’accordo tra uomini e donne che erano, per noi, eguali nei diritti e nei doveri; il diritto alla salute gratuito e per tutti (ancora oggi il migliore e più equo sistema sanitario al mondo); la riforma della scuola con l’obbligatorietà della istruzione fino a 14 anni, la scuola media unica, l’accesso per tutti all’università.
Cose stupide mi direte, cose che il mio padre politico Riccardo Lombardi definiva “riforme di struttura”. “Noi - ci spiegava Lombardi – viviamo in una casa che non ci piace, ne sogniamo una nuova, ma nel frattempo dobbiamo tenerla in piedi e cambiare mattone dopo mattone fino a quando della vecchia casa non rimarrà un mattone”.
Loro, i massimalisti gli estremisti, contemporaneamente stavano in piazza, aspettavano Godot.
Socialdemocratici significa cambiare ora e non rimandare al prossimo futuro, significa capire il contemporaneo, analizzarlo studiarlo, pensarlo. Ci siamo confrontati sempre con il livore puro ma improduttivo dei puri, siamo stati tacciati di tradimento, il marchio di “social fascisti” non lo cancellano. Oggi, sulle analisi legate alla figura di Cossiga, ho ritrovato quello stesso livore, quella stesa purezza che carsicamente si è nascosta dentro la società italiana fichetta e politicamente corretta. Si ricordano i ragazzi morti per mano poliziotta, ma si dimenticano i poliziotti morti per mano “rivoluzionaria”. Giorgiana Masi aveva 19 anni, è stata uccisa mentre passeggiava con il fidanzato, ma Settimio Passamonti, agente di polizia morto solo qualche giorno prima per mano rivoluzionaria, di anni ne aveva 23. Dimenticato?
Qualche domanda i puri se la dovrebbero pur fare. Pierpaolo Pasolini, la mente più lucida dell’intelligenza italiana per alcuni lustri, anni prima sul Corriere della Sera aveva pubblicato una nota. La ripropongo in uno stralcio, è una poesia ed era il giugno ‘68:
“Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti!
Perché i poliziotti sono figli di poveri. Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.
Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care. Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia. Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete! I ragazzi poliziotti
che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione risorgimentale) di figli di papà, avete bastonato, appartengono all’altra classe sociale. A Valle Giulia, ieri, si è cosi avuto un frammento di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte della ragione) eravate i ricchi,
mentre i poliziotti (che erano dalla parte del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque,
la vostra! In questi casi, ai poliziotti si danno i fiori, amici.”

Quella incapacità di leggere il mondo in maniera non manichea è rimasta tutta, l’incapacità di vedere le ragioni nell’altro fosse lui anche l’avversario più acerrimo resta tutta. Forse questo spiega la distanza siderale tra la sinistra pura, e inutile, e la società italiana, che infatti pragmaticamente non la sceglie. Cossiga è considerato responsabile di tutto il male del mondo: lui ha ucciso Giorgiana Masi, lui ha ucciso Moro, lui ha ucciso la rivoluzione, lui era il depositario dei segreti. Dire che Moro è stato ucciso dalle Brigate Rosse è, per questa vulgata, una bestemmia, l’assassino è Cossiga. Settimio Passamonti, poi, è morto meno degli altri. La sinistra “ufficiale” si è mai interrogata sulle radici (universitarie? Operaie? Oratoriali?) del terrorismo? Come oggi non si interroga sulla presa tra gli operai della Lega nel profondo nord.
Mai un dubbio, mai un errore. Del resto i cattolici romani hanno mai avuto dubbi sulla repressione dei catari?
Qui cambia sempre poco e i crociati sono sempre lancia in resta, noi siamo qui sulle montagna a sognare un mondo senza fedi, un mondo “senza testa” appunto.

TOSARELLO NUOVO SEGRETARIO DEL CONI



Paolo Iannuccelli

Maurizio Tosarello si dimetterà presto da presidente provinciale della Fip per assumere dal primo gennaio 2011 la carica di segretario generale del Coni provinciale, lasciata libera dal maestro dello Sport Marcello Zanda che andrà in pensione. Il tutto verrà ufficializzato tra un mese, Tosarello lascerà la carica di presidente Federcanestro  e membro del comitato regionale per incompatibilità. Il dirigente sportivo che sostituirà Zanda ha 44 anni, è cresciuto a Latina ma vive ad Anzio per via di matrimonio, è papà di una figlia di 12 anni, Martina, che raccoglie medaglie nel nuoto. La moglie, Antonietta Perrone, ha allenato per anni il Delfino Anzio Basket ed istruttrice minibasket.  Il Coni dovrà continuare nel lavoro di comune collaborazione e sinergie con istituzioni, scuola, società sportive, che vanno dalla ricerca e sperimentazione alla formazione, dalla didattica alla ideazione e realizzazione di master. In particolare le aree interessate saranno la progettazione di impiantistica sportiva, medicina sportiva e doping, comunicazione e marketing, management per le società sportive e ancora giornalismo sportivo e storia dello sport. Il recente accordo tra Ministero dell’istruzione e Coni costituisce il primo passo verso un rapporto ufficiale, stabile e coordinato con il mondo scolastico e la scuola primaria, con l’obiettivo di avviare una collaborazione stabile per la crescita e la promozione della cultura sportiva grazie al coinvolgimento dell’intero sistema sportivo organizzato di cui il Comitato Olimpico è formalmente rappresentativo sul territorio. L’accordo consentirà un rapporto diretto e concreto con il mondo sportivo, un’esperienza formativa sempre più reale e magari anche opportunità di impiego. Allo stesso tempo tempo pensiamo che l’organizzazione sportiva possa migliorare, dal rapporto con la scuola, l’Università, la formazione dei propri operatori, garantendo così un servizio sempre migliore ai cittadini. Gianni Di Rocco, 50 anni, allenatore del Coccodrillo Formia, una sua creatura a livello giovanile, si candiderà sicuramente alla presidenza provinciale della Fip pontina al posto del dimissionario Tosarello, a sbarrargli la strada potrebbe essere Marcello Zanda, attualmente responsabile tecnico del settore giovanile della Latina Basket, una nuova società sorta nel capoluogo. Tra Di Rocco e (forse) Zanda sarà un bel duello sino all’ultima scheda. Gianni Di Rocco, nell’ultima stagione agonistica, ha guidato con successo il Serapo Gaeta in C dilettanti, ottimi risultati per coach Marcello Zanda con la Bull Basket femminile e l’under 14 Open dell’Ab Latina, arrivata alla finalissima regionale, battuta solamente dalla Lottomatica Roma. 

mercoledì 18 agosto 2010

Nexans, la lista Polverini esulta per quattro spiccioli: è polemica


Teresa Faticoni
Dal vocabolario della lingua italiana:“vincere:battere, superare”. Il dizionario dovrebbe essere propedeutico alla comprensione dei manifesti affissi in città dagli esponenti della lista Polverini che inneggiano al lavoro, all’ottenimento del 100% del reddito per i dipendenti Nexans, del bonus bebè con gli assegni studenti. «Una vittoria di Pirro - tuona Dario D’Arcangelis, segretario della Filctem Cgil di Latina - perché abbiamo fatto l’accordo per gli ammortizzatori sociali, ma a noi interessa il lavoro». I200 lavoratori sono in attesa adesso di qualcuno che compri quel sito, hanno affisso in giro per la provincia e anche in quella ciociara striscioni sui ponti. Ma un ponte verso il futuro è quello che è stato negato loro, almeno fino a oggi, dalle istituzioni. Perché la lista che fa capo alla presidente della Regione Lazio avrebbe dovuto inneggiare a una nuova fabbrica, a nuovi posti di lavoro, a investimenti sul territorio, a imprenditori che intraprendono. Qui si gioca al ribasso. Oggi si inneggia a una pezza a colori su un vestito nero a lutto. «La chiusura della Nexans ha rappresentato un momento drammatico per la città di Latina. Tutta la cittadinanza e tutte le forze politiche hanno solidarizzato con i lavoratori», ha commentato Giorgio De Marchis, segretario cittadino del Partito democratico. Quello che brucia, però, sono quei manifesti apparsi a tutti inopportuni. Perché cassa integrazione e mobilità sono percorsi di diritto, non concessioni di un politico generoso. «La garanzia degli ammortizzatori sociali in seguito alla morte di un’azienda è, fortunatamente, garantita dalle leggi dello Stato», continua De Marchis. «Fanno passare il ricorso agli ammortizzatori sociali come una grande vittoria - continua D’Arcangelis - quando per noi come sindacato è stata una totale sconfitta. Perché Nexans ha portato avanti il suo progetto andare via dal territorio e abbandonare la produzione di cavi». «Siamo contrari alla politica che specula sulla pelle dei lavoratori - gli fa eco Roberto Cecere, segretario della Femca Cisl - Ribadiamo che non è stato un risultato allora, non è un accordo storico, ma un accordo ponte per gestire una vertenza che ancora oggi non dà certezze sul futuro dei lavoratori».  «Le istituzioni - continua D’Arcangelis - devono avere un ruolo di pianificazione, programmazione e sviluppo. Se qualcuno vuole avviare la campagna elettorale lo facesse su altre questioni». Da una filiera politica quale è quella del centrodestra che governa fino ai massimi livelli ci si aspetterebbe un piano progettuale diverso. «Gli ammortizzatori sociali sono un palliativo - conclude D’Arcangelis -  che non dà risposte né ai lavoratori né al territorio». «Rispediamo al mittente i risultati che stanno sbandierando - sottolinea Cecere ricordano che i bonus serviranno solo a pochissimi lavoratori della Nexans, la cui età media è intorno ai 40 anni -. Le cose serie si devono ancora fare per il futuro di questi lavoratori». Ma la chiusura è di De Marchis:«Gli amici della Lista Polverini dimenticano che la funzione di governo si esplica creando le condizioni per lo sviluppo economico e garantendo la crescita del sistema produttivo. La lettura di questi fatti ci fa capire quanto inadeguata sia stata la politica e la classe dirigente del centrodestra nel capoluogo negli ultimi dieci anni». Sarebbe meglio assoldare gli stacchini per cancellare la brutta figura.

L'ARCINORMALE- I dubbi di Cossiga



Lidano Grassucci

Lo ammetto, non sono scevro da considerazioni personali su Francesco Cossiga. Perché quel “nemico” era, ed è, intellettualmente affascinante. Colto, ed è merce rara in questa Italia di figurine, spiritoso, cosa che mi pare eccezionale lì dove sono tutti serissimi fino alla noia, curioso, lì dove la massa è ebete e tronfia nel suo niente.
Aggiungo, affascinante perché legato alla sua terra, la Sardegna, visceralmente benché uomo del mondo, anzi per questo più globale di qualsiasi altro e, consentitemi, juventino di quella classe che solo quelli della Juventus hanno, innata. “I veri sardi sono della Juventus” diceva. Già, è vero, gli italiani che non stanno inurbati, intruppati nelle città dormitorio sono juventini.
Adriano Sofri, il capo di Lotta Continua, è l’uomo che è diventato il capro espiatorio della criminalizzazione di due generazioni di italiani a Radio Radicale, questa mattina, si è detto “addolorato” per la morte di Francesco Cossiga. Sofri, credo, non sia pentito del suo sogno giovanile, non sia revisionista del suo immaginare un futuro diverso. Questo non significa non riconoscere la grandezza dell’avversario. “Ciascuno di noi è le sue contraddizioni, non siamo non contradditori” aggiungeva Sofri.
Leggevo Sofri e Lotta Continua da socialista, non ne condividevo l’eccesso ideologico, vicino al delirio, ma l’ansia libertaria di quel movimento era nostra. Per questo noi della Fgsi (la federazione dei giovani socialisti) eravamo i più ansiosi rispetto al movimento, i più vicini. Certo dietro avevamo la storia, la cultura, i temi del riformismo, ma l’ansia libertaria era il tratto fondamentale del nostro sogno di Italia nuova.
Cossiga, è vero, mandava la polizia. Ma il capo della Polizia (era ministro dell’interno) cosa può mandare contro la piazza in rivolta, le rose? Il caffè? Un Campari?
Qualcuno si era messo in testa di fare la rivoluzione con lo Stato che si faceva rivoluzionare. Come se lo Zar avesse aderito al Bolscevismo, o ne era esaltatore.
Cossiga è stato fermo sul caso Moro, noi socialisti pensavamo che l’umano (ed è merito di Craxi questo pensiero) era “dovere dello Stato”. Noi socialisti avevamo l’idea che lo Stato se non tratta per salvare un uomo non è umano ma è il Leviatano aumano che spiega la tragica storia del Novecento. Cossiga la pensava, ed agì, diversamente. Diversamente dalla sua coscienza, lui era cristiano, e la vita per un cristiano fa premio su tutto, anche sullo Stato, ma era ministro della Repubblica, se agiva per Moro in termini percepiti come difformi rispetto a quanto si sarebbe fatto per altri, sarebbe diventato aStato, non Stato, sarebbe stato considerato ingiusto.
Agì con quella dicotomia, umanissima, che spiegò un giorno a Cirino Pomicino, suo amico democristiano: “in me c’è un omino bianco che costruisce, con scrupolo, ed un omino nero che distrugge. Litigano i due omini e io mi diverto tanto”. Mettete voi il bianco e il nero, metteteci le magliette ma in lui c’era una coscienza personale che era per salvare Moro, ed un dovere pubblico che rendeva la cosa impossibile. La prima cosa, non averla fata, ha segnato la vita di Cossiga e del Paese, l’unica cosa che si può fare non è sempre la cosa che la coscienza reputa giusta.
La vita non è un’autostrada, è un tratturo dove il giusto e l’ingiusto sono curve sia a destra sia a sinistra.
Era sardo Cossiga, non è un elemento marginale. Mi spiegano sempre che prima della rivoluzione agricola eravamo nomadi e il legame con la terra non esiste. Sarà, ma se nasci in un posto quello ti entra nelle ossa, nei sensi. Non vivo da anni nel posto dove sono nato, ma ogni volta che ci ritorno l’odore, i suoni, le facce, i sassi, il vento mi cambiano l’anima, come se lì sono sempre stato. Cossiga questo lo spiegava lo raccontava, non lo negava come fanno i provinciali quando diventano romani, milanesi o di Parigi. Essere di Roma, di Milano, di Parigi, di New York è possibile solo se si è se stessi, altrimenti non sei niente.
“Nella mia vita sono stato tutto, tranne Papa, ma perché non ho mai preso i voti”, lui era così: colto, intelligente, ironico. Un pezzo di storia di questa Nazione, l’altro, l’amore e l’odiuo che l’uomo ispira sono retorica. A me è stato simpatico e mi ha regalato i dubbi.

LA FORMICA ROSSA - Sciacalli e brioches

Teresa Faticoni
Quando c’è puzza di cadavere escono gli sciacalli: un vecchio adagio che ben rappresenta la pessima figura degli esponenti della Lista Polverini a Latina. Chi ha potuto ha goduto della passerella mediatica fino a quando essa garantiva visibilità. Accorrere al capezzale del morto è uno spot molto praticato da queste parti. Adesso che i riflettori si spengono, che non si può più andare a raccontare balle alle telecamere, ci si inventa un manifesto che tanto ricorda le brioches di Maria Antonietta. Ma le urne potrebbero raccontare una storia diversa: il tempo d’estate cambia in fretta. 

martedì 17 agosto 2010

Ciao Presidente, onore all'Italia e alla Sardegna

Lidano Grassucci
È morto il presidente Francesco Cossiga. Non è riuscito a picconare la signora in nero, neanche la sua testa dura di sardo è riuscita in questo intento. Cossiga era lontano dalla mia generazione, per noi è stato Kossiga. Aveva l'elmetto ed era tutto il contrario dello Stato molliccio, andreottiano, clericochirichettico con cui ci eravamo confrontati prima di lui noi ragazzi degli anni '70. Non nascondeva di stare dalla parte degli americani che per noi erano piu' cattivi di lui. 
Poi il tempo trasforma i rivoluzionari in pantofolai, gli eroi in campioni di boccette, gli ambiziosi in presidenti del condominio.
Diciamolo aveva ragione lui, noi non avevamo capito che la rivoluzione per essere grande aveva bisogno di un governo serio, di senso dello Stato. Lo abbiamo capito dopo e forse da generazione di bruciati. Ma lui era anche altro era sardo, anzi sassarino. Lui mi ha insegnato ad essere del posto dove nasci. Se nasci lì, sulla punta in alto della Sardegna davanti hai il mare ed il mondo è lontano devi per forza capirti, muto devi guardarti dentro. Lo avevano capito per primi quelli dell'esercito che fecero dei reggimenti di soli sassarini. Andavano a morire (piccoli, ma indomiti,"demoni" li chiamavano) come vanno a morire le mosche. 
Non morivano per la bella morte ma per l'"onore". E' questa la valentia di cui parlava Cossiga quando descriveva la sua gente. La valentia è onore, è rispetto, è dignità sopra la legge, sopra la fede, sopra tutto perché: "Sa fide nostra, no la pagat dinari aioh! dimonios! avanti forza paris. Pro l'onore de s'Italia e de Saldigna".
Morirono come mosche per l'Italia gridando "avanti Sardegna". Sono frasi tratte dall'inno di quei soldati che il nemico vedeva piccoli e "cattivi" e li chiamava demoni,"dimonius", che è il titolo dell'inno che ancora oggi gli uomini della Sassari intonano davanti al capo dello Stato, per l'Italia in sardo.
Gente così quella di Cossiga, così era Cossiga. Ora i politici urlano cose che non conoscono e non conoscono onore. Rendo onore, oggi, al mio "nemico" di ieri, perché le ragioni e i torti arrivano dopo, prima c'è la valentia, la grandezza. Cossiga è stato un grande italiano perché conosceva il mondo perché era profondamente sassarino: "China su fronte si ses sezzidu pesa! ch'es passende sa Brigata tattaresa boh! boh! e cun sa mannu sinna sa mezzus gioventude de Saldigna" . In italiano: "Abbassa la tua fronte, se sei seduto, alzati! Che sta passando questa brigata sassarina, boh, boh,con la mano benedici e segna la miglior gioventù di Sardegna". Lui era di questa gente

Ciao Presidente, anche il mio presidente e abbasso la fronte


L'ARCINORMALE - Tracce di scissione


 Lidano Grassucci
 Le file si assottigliano. Ricordo all’hotel Europa lo schieramento di Zaccheo, pareva una parata di quando c’era lui. Uomini che in petto in fuori che annunciavano la “conquista dell’impero”. Salvo scoprire, quando la guerra è scoppiata per davvero, che non c’era benzina, che i radar ce li avevano gli altri e che le baionette non erano 8 milioni e gli altri tenevano i carri armati.
Mica le cose capitano per caso, se da lì vieni da lì prendi vizi e virtù.
 Poi le file hanno cominciato ad assottigliarsi. Cesare Bruni è passato con la Destra, e come dargli torto, lui è per una opposizione politica non personalistica. Più vicino a Finestra ed alla sua storia personale che al futuro onirico di Zaccheo. Prevedibile, certo. Poi ad andar via è stato Salvatore De Monaco, è andato ad occupare la casella di Futuro e Libertà. Non so se lo ha fatto in accordo con Zaccheo o in autonomia, sta di fatto che lui ha fatto tana per primo ed adesso è lui a stabilire se “liberare tutti” o solo alcuni. Zaccheo se arriverà sarà secondo.
Galardo? E’ democristiano, può fare tutti i voli pindarici che vuole ma in un partito di ex fascisti, anche se parecchio ripuliti, lui non ci può certo stare. Era moroteo, guardava a sinistra. Adesso può pure guardare Berlusconi, ma il moralismo di Fini proprio no. Bruno Creo c’era all’Hotel Europa ma se ne era già andato, era come un pesce rosso in una vasca con gli squali. Li guardava i commensali con stupore e mentre si schierava pensava ad andar via, credo che non abbia aspettato neanche di abbandonare la sala per “uscire” e si è sentito anche liberato. Pure lui è un pragmatico democristiano e non un sognatore reduce. Galetto è riconoscente, ma la riconoscenza non è una categoria della politica ed i secondi sono storicamente i meno affidabili a sostenere le cause dei primi decaduti. Perché Stefano Galetto è il più interessato alla caduta del capo, perché se si ridimensiona il capo è lui. E neanche alla passatella è bello fare il sotto. Ultimo ad andar via è stato Gianni Chiarato, in odor di assessorato promesso e mai dato (Ma su questo anche Maietta può accampare qualcosa), ha avuto la pazienza di Giobbe, ma anche lui ora è sbottato ed ha dichiarato di restare nel Pdl.
Restano Maietta e Gioia, il primo fedele per mancanza di spazi di manovra, il secondo per amicizia personale. A questi si aggiungono i pentiti: quelli che Zaccheo non lo hanno votato alle elezioni comunali ma che si sono innamorati per strada, quelli della cotta facile. Aielli che alle amministrative portava Mansutti, Messina, anche lui mansuttiano, e Anzalone ipersinistro oggi emulo di Nicola Bombacci (quello che ha fondato il Pci, rivoluzionario di ferro che passa con un Mussolini tornato repubblicano e decadente). Ci sono anche i Cirillini pentiti Di Fazio e Olimpieri, ma loro alle comunali volevano sindaco Cirilli e non Zaccheo. Hanno già cambiato una volta…
Poi c’è Guercio che, oggettivamente, è l’unico capace di tener testa al capo e giocatore di una partita ardita ma sua. Insomma l’armata è diventata un reggimento da retrovie con truppe spesso raccolte lungo la strada e qualche fedelissimo. Contiamo anche Marcheselli e Rosolini la cui fedeltà non è proporzionale ai voti, devotissimi ma con appeal elettorale vicino a niente. Tutto qui.
Zaccheo contava su Nuova Area, ma già gli uomini di Loffredo sono diventati meno entusiasti di giocare una partita che è di altri, Conte deve fare i conti con le politiche ormai prossime venture e non è in condizioni di rischiare. E siamo ad agosto, ad ottobre credo che l’opzione zaccheiana sarà registrata come l’albumina nell’analisi delle urine, con la parola tracce.
Del resto davanti ad Aracri sono andati via Guercio e Marcheselli, gli altri sono rimasti al loro posto.

domenica 15 agosto 2010

Preterizione e litote

Fabrizio Bellini
Che significano? Nell’era del computer non è difficile scoprirlo, basta digitare le parole su Google. E se uno non ha il computer? Ancora più facile, basta leggere Latina Oggi del 13 agosto e il Giornale del 14. Preterizione: è il dire che si tacerà qualcosa. La più subdola e vigliacca forma di insinuazione del dubbio. In effetti chi la usa non sa mai un accidenti di niente, se sapesse qualcosa lo direbbe di corsa, ma si accredita facendo credere di essere al corrente di chissà quali segreti. Però sceglie di tacere.  Apparentemente per signorilità. Una brava e discreta persona. In realtà, come dire, sotto sotto, un fetentone. La litote è anche peggio: dare un giudizio negando il contrario. Esempio: non è bella e neanche intelligente, ovvero, una brutta cretina e così via fino alla litote inversa per eccellenza: più bella che intelligente. Comunque una brutta cretina. Ora accantonando questi esempi, diciamo così, da letteratura, passiamo a quelli tratti da Latina Oggi del 13 agosto dove, a pagina trentaquattro, si legge: “Tutti sanno che Oescmi è una creatura di Mitrano. C’è bisogno di aggiungere altro?” Sì. Secondo il mio mungitore, che è il lettore che si è stupito della preterizione e Mitrano lo chiama Cosimino, sì; c’è bisogno. Cominciamo da “tutti sanno”. Non è vero, è falso, almeno uno, il mungitore, non lo sa. Allora il cronista deve essere preciso e dire tutto quello di cui è evidentemente a parte l’intera umanità, tranne un mungitore e, forse, un suo collega di Canton. Perché subdolamente lasciare intendere senza precisare?. La Oescmi è un’associazione a delinquere? Mitrano è un pericoloso criminale camuffato da dirigente? Il Prefetto Frattasi l’ha denunciato come tale? Perché l’anonimo estensore del succitato articolo non si firma? Proprio lui che tutto sa e lascia intendere di conoscere anche l’arcano come il Mago di Portici. Possibile che non ricordi neanche il suo stesso nome? Lo sbandieri, non si nasconda, abbia fegato e si esponga. Il 14, Latina Oggi, evidentemente affascinata dalla prorompente personalità di Cosmo Mitrano, riprende gli elogi e scrive che Mitrano “ha conosciuto una carriera fulminante come funzionario, prima precario poi stabilizzato, del Comune di Fondi grazie allo sponsor del senatore”. Ora, “allo sponsor del senatore” grammaticalmente suona talmente male che, forse, Pierfederico Pernarella, nel ruolo di biografo improvvisato, voleva dire un’altra cosa. Quale? Che immaginare? Che alberga nella feconda fantasia di Pernarella, che anche Fazzone ha uno sponsor? E chi sarebbe? Quale capo clan? E via, ce lo dica. Boh! Che rompicapo! Al mio uomo delle vacche è venuto il mal di testa. Rimane il fatto che insinuare e non dimostrare è contemporaneamente una porcata e un’arte. Volendo passare alla litote, cioè alla negazione del contrario, dirò che nei brani citati, tratti da Latina Oggi, non è un’arte. Non lo è neanche quando vi ricorre Sgarbi che ne fa sfoggio nell’articolo, pubblicato da il Giornale il 14 agosto, con il quale “celebra” la signora Elisabetta Tulliani: “ho taciuto per due anni, per rispetto dei sentimenti e della riservatezza del Presidente della Camera, terza carica dello Stato. Le istituzioni non possono essere mortificate né da sussurri né da grida.” Preterizione e litote, insieme, accipicchia. Ma, secondo me, avrebbe fatto meglio a continuare a tacere. E insieme a lui tanti altri.

sabato 14 agosto 2010

L'ARCINORMALE - Rosello sindaco



Lidano Grassucci


“Tenco no bove, se chiama Rosello”. Cantava così Graziella Di Prospero una folk singer nata dalle mie parti, cantava una canzone popolare sulla fatica. La richiamo perché di questi tempi, fa caldo e a Latina non c’è nessuno, quindi potremmo candidare Rosello a sindaco. Rosello è bello in carne, è forte, è paziente ed è lavoratore. Perché no? Rosello, il bove, potrebbe risolvere anche i problemi energetici: non inquina, nel tempo libero da sindaco potrebbe tirare la carrozza da Latina scalo a Latina e risolvere i problemi di traffico, fa due o tre chilometri l’ora, ma non è che la metro andava più veloce ne faceva 15. Ma vuoi mettere la calma. Rosello, poi, è bove de palude e se lo metti sugli argine del canale Mussolini lo tiene pulito.
E’ il candidato ideale, non protesta quasi mai ed ha la tendenza alla pazienza. Perché non far fare il sindaco a lui? Tra le altre cose è serio, non spara cazzate. Il bove non vi proporrà mai che so: un tunnel camionabile per la Sardegna, un porto per navi da crociera a Monticchio, una stazione sciistica a Santa Fecitola, o una pista da bob a Rio Martino con annessa pista di pattinaggio con canale ghiacciato a luglio. Cose fiche che da 17 anni i sindaci locali ci propongono senza ridere, e senza farle.
Il  bove non vi proporrà mai una banca, non do assicurazioni su un fienile al posto dell’intermodale (almeno servirebbe a qualche cosa). Ecco io il 15 agosto vi annuncio che il candidato sindaco di Latina è Rosello, metteteci ‘na pezza e ditemi se date le condizioni di partenza il mio non è destinato a fare solo meglio. Tanto ad agosto sono tutti sindaci, perché no Rosello?
Sarebbero d’accordo anche gli ecologisti: è più pulito di una centrale nucleare, anche se su tutti ‘sti pannelli solari al posto dei campi di fieno non sarebbe d’accordo, ma non si può volere tutto da una bove.

Terracina, Comune senza pollice verde


Rita Alla
Al verde, gli operai della Ditta “Verde Italia” di Taranto. Il Comune è in ritardo con i pagamenti. Tre le mensilità arretrate, dal mese di maggio, più la quattordicesima che aspettano chi in questi ha lavorato. Eccome, non solo bene. Provare per credere: Area Chezzi alle spalle di piazza Mazzini è tornata ad esistere. Come luogo di gioco e di riparo dagli affanni della città. Una storia infinita quella del verde pubblico. Un record, le cinque ditte alternatesi in dieci anni. Senza contare il non rispetto dei termini contrattuali e gli affidamenti diretti di dubbia legittimità, per l’opposizione. Un verde pubblico, terra di tutti e nessuno. Le competenze divise a metà tra un capitolato e l’altro, tra la Ditta per il verde pubblico, attualmente la “Verde Italia”, e l’immancabile, onnipresente “Terracina Ambiente” e quel capolavoro di capitolato con cui ha vinto la gara d’appalto: non proprio lei, ma pur sempre lei. Siamo alle solite difficoltà nonostante il risparmio economico: 350 mila euro contro i 600. Ma sembra che non faccia la differenza. Poi dai uno sguardo al verde, e capisci che il problema non sono tanto i soldi. Ma che tutti parlano di verde pensando di sapere, oggi come ieri, a destra come a sinistra, e invece non sanno di non sapere niente. Così provano, tanto per vedere che effetto fa: la spiegazione alle due piante di olivo sul lungomare; i pioppi lungo Viale Leonardo da Vinci “costretti” ad invadere la strada con le radici; l’aiuole di Piazza Fiorini al di sotto c’è l’asfalto; un lungomare, da poco rifatto, senza l’impianto di irrigazione, o senza prendere le misure delle aiuole quindi per riparare diamo un taglio alle piante. E via dicendo, quel che manca è il pollice verde. 






LATINA - La posta a singhiozzo in città

Teresa Faticoni
Si estendono a macchia d’olio i disagi nel recapito della posta. Dalle zone periferiche della città adesso la mancata consegna delle lettere arriva anche nelle aree centrali. La denuncia questa volta arriva dal signor Nicolino Torre, che con amarezza denuncia una vicenda di qualche giorno fa. Torre è anche un ex dipendente delle poste, avendo fatto per anni il telegrafista alle poste centrali. Un servizio che ora non esiste più. Il signor Torre abita nel quartiere R6, a ridosso del centro storico di Latina, dunque. «Non in zona rurale», dice stupito. La posta, tra via Pontinia, via Sezze, via Terracina, via Don Sturzo, arriva una volta a settimana, secondo il racconto di Torre. Poi giorni e giorni senza ricevere nulla. Preoccupato per le bollette (tanti i casi, soprattutto nei borghi, di fatture arriva molto dopo la data di scadenza con conseguente sollecito delle società di erogazione di gas, elettricità e acqua), il cittadino si è rivolto telefonicamente al cpo (centro postale operati) servizio corrispondenza. Nessuna risposta dall’altro capo del telefono. Armato di buona volontà il signor Torre è andato direttamente in via Rossetti, approfittando della passeggiata per salutare qualche vecchio collega. Lo hanno fatto gentilmente accomodare fuori, e dopo un po’ di attesa gli hanno consegnato cinque lettere. «Ma perché non me le avete portate a casa?», ha chiesto. Nessuna risposta nemmeno in questa occasione. Va bene che siamo in estate e anche i postini vanno in ferie. Va bene che i postini assunti per pochi mesi non conoscono a menadito il territorio, e qualcosa può sfuggire soprattutto con la numerazione civica che a volta difetta. Ma stiamo arrivando al ridicolo. Soprattutto quando Poste italiane, nonostante le continue, reiterate denunce dei cittadini e delle organizzazioni sindacali, si vanta del “nuovo piano di revisione complessiva dell'assetto logistico e del recapito con l’obiettivo di venire incontro alle esigenze e alle abitudini sempre più diversificate della clientela e di migliorare ulteriormente la qualità e l’efficienza del servizio in vista della completa liberalizzazione del mercato, in vigore dal 1° gennaio 2011”. Nel bilancio della società  - è una società per azioni il cui capitale è detenuto dallo Stato per il 65% e dalla Cassa depositi e prestiti per il 35% (a sua volta partecipata per il 70% dallo Stato e per il 30% da Fondazioni bancarie) - l’unica voce che è a perdere è quella del recapito. Ovvio che Poste se la vuole togliere di mezzo, anche in vista della concorrenza spietata che sta per arrivare sul mercato. Nel frattempo, però, visto potremmo essere considerati “azionisti”, non solo clienti, perché non trattarci come meritiamo?

LATINA - La posta a singhiozzo in città

Teresa Faticoni
Si estendono a macchia d’olio i disagi nel recapito della posta. Dalle zone periferiche della città adesso la mancata consegna delle lettere arriva anche nelle aree centrali. La denuncia questa volta arriva dal signor Nicolino Torre, che con amarezza denuncia una vicenda di qualche giorno fa. Torre è anche un ex dipendente delle poste, avendo fatto per anni il telegrafista alle poste centrali. Un servizio che ora non esiste più. Il signor Torre abita nel quartiere R6, a ridosso del centro storico di Latina, dunque. «Non in zona rurale», dice stupito. La posta, tra via Pontinia, via Sezze, via Terracina, via Don Sturzo, arriva una volta a settimana, secondo il racconto di Torre. Poi giorni e giorni senza ricevere nulla. Preoccupato per le bollette (tanti i casi, soprattutto nei borghi, di fatture arriva molto dopo la data di scadenza con conseguente sollecito delle società di erogazione di gas, elettricità e acqua), il cittadino si è rivolto telefonicamente al cpo (centro postale operati) servizio corrispondenza. Nessuna risposta dall’altro capo del telefono. Armato di buona volontà il signor Torre è andato direttamente in via Rossetti, approfittando della passeggiata per salutare qualche vecchio collega. Lo hanno fatto gentilmente accomodare fuori, e dopo un po’ di attesa gli hanno consegnato cinque lettere. «Ma perché non me le avete portate a casa?», ha chiesto. Nessuna risposta nemmeno in questa occasione. Va bene che siamo in estate e anche i postini vanno in ferie. Va bene che i postini assunti per pochi mesi non conoscono a menadito il territorio, e qualcosa può sfuggire soprattutto con la numerazione civica che a volta difetta. Ma stiamo arrivando al ridicolo. Soprattutto quando Poste italiane, nonostante le continue, reiterate denunce dei cittadini e delle organizzazioni sindacali, si vanta del “nuovo piano di revisione complessiva dell'assetto logistico e del recapito con l’obiettivo di venire incontro alle esigenze e alle abitudini sempre più diversificate della clientela e di migliorare ulteriormente la qualità e l’efficienza del servizio in vista della completa liberalizzazione del mercato, in vigore dal 1° gennaio 2011”. Nel bilancio della società  - è una società per azioni il cui capitale è detenuto dallo Stato per il 65% e dalla Cassa depositi e prestiti per il 35% (a sua volta partecipata per il 70% dallo Stato e per il 30% da Fondazioni bancarie) - l’unica voce che è a perdere è quella del recapito. Ovvio che Poste se la vuole togliere di mezzo, anche in vista della concorrenza spietata che sta per arrivare sul mercato. Nel frattempo, però, visto potremmo essere considerati “azionisti”, non solo clienti, perché non trattarci come meritiamo?

L'ARCINORMALE - Traditi dal canale


Lidano Grassucci
Non commento mai i fatti di cronaca, le tragedie non hanno opinione, sono dolore e sul dolore cosa vuoi “spiegare”? Ma ieri mi ha colpito la storia dei rumeno morto affogato in un canale a Pontinia, si è buttato in acqua per salvare la figlia. Qualche tempo fa abbiamo raccontato di un piccolo cinese morto annegato in un canale a Santa Fecitola.
I canali sono infingardi, apparentemente stupidi. Stanno al mare come una gallina sta all’aquila, ma…
Ma sono infidi, sono come certe bombe che paiono giocattoli ma esplodono e fanno male, uccidono. Devi saperci fare, devi sentirteli. Parlo da chi quei canali ha frequentato, ci ha giocato, si è bagnato. Sono infidi di melma, di alghe, sono falsi.
Se li guardi dagli argini quasi non paiono “intelligenti”, sono rassicuranti con acqua che fa crescere da ferma le piantine verdi.
Con le rane che si tuffano meglio della Cagnotto, ma non sono i nostri canali affidabili, sono palude governata, ma sempre palude. Ti mangiano, di divorano come gli alligatori d’America. Per andare dentro le paludi dell’alligatore devi essere cajun (i francesi della Luisiana), devi essere dentro quel posto.
Il canale di questa palude non è governabile, come lo spieghiamo? Gli uomini sono diventati arroganti rispetto ai posti dove vanno. Forse alla gente che viene a vivere da noi dovremmo un po’ raccontargli di questo posto, qui non siamo in una terra di uomini ma di bestie. Qui gli uomini per vivere si debbono fare un po’ bestie e il canale è traditore. 

mercoledì 11 agosto 2010

UTINA DAY - Non mancava proprio nulla

Teresa Faticoni
Alla partenza - 7 in punto -  il raduno mezz’ora dopo l’urlo del signor Angelo «Si parteeee» - tutti ciarlieri e vivaci, i cani animati da mille curiosità stiravano all’inverosimile i guinzagli dei padroni, le magliette a maniche lunghe ancora addosso per il freschetto scrocchiante di Bassiano. 
Così è cominciato l’Utina day. 
Con l’assessore alla cultura Maurizio Orsini a distribuire i fazzolettoni a quadri bianchi e rossi legati ai quattro angoli opposti pieni di ogni bendidio (un quarto di vino di Cori, una pagnottella di pane da fare ‘nfusso, pomodori-cipolle-olive, un pizzico di sale e una “ciammelletta”) attaccati ai bastoni freschi di taglio. Utina è il nome che i Lepini danno al fagotto che i pastori attaccavano al gomito quando salivano in montagna con le bestie (da uto, in dialetto, appunto, gomito). E noi moderni senza scimmiottare ma con un sano divertimento ci siamo incamminati verso la fonte Sant’Angelo. A metà percorso, che segue la cascata dell’acqua incanalata in un sentiero di sassi, nessuno parlava più. Solo i bambini, e qualche pigro con la ruggine antica nelle ossa, a chiedere quanto mancava. 
Il gruppone si è sparso per la montagna, con le sapienti guide a tenere d’occhio tutti. La vista della fonte è sembrata un’oasi nel deserto come nelle barzellette della settimana enigmistica. A quel punto l’utina è stata scartocciata, mentre l’assessore distribuiva a tutti alici al tacco (da sbattere contro le scarpe per toglier via il sale), il pane è stato bagnato nelle freschissime acque di montagna (d’estate e di inverno a dieci gradi e mezzo), i pomodori spaccati con i coltellini da campeggio, e vino a volontà. Erano le dieci del mattino. Il gruppo Jo menaturo, con uno splendido adolescente a cantare in dialetto, si è prodotto nelle sconce e divertenti canzoni lepine; una guida ha spiegato flora e fauna dei monti nostri; lo storico Gino Zaccheo (arrivato in seconda battuta con Memmo Guidi) ha raccontato la storia della fonte e degli acquedotti. Non mancava proprio nulla. Anche i cavalli che si sono abbeverati alle vasche dove un cane aveva pensato bene di rinfrescarsi qualche minuto prima. Poi tutti ci siamo spostati qualche metro più in su, in un largo prato dove in un pentolone sono state cucinate per tutti le lacne con i fagioli piccanti al punto giusto. E complice l’atmosfera bella e calda, una compagnia gradevolissima e l’immancabile bicchiere di vino sono partite anche le barzellette sui preti. Esperienza da ripetere, perché se dovessimo immaginare frotte di turisti arrivare sui monti nostri le penseremmo così. Con tutto quello che abbiamo da offrire che è la nostra storia, le nostre risorse naturali e la nostra gente che sa parlare e divertirsi.