sabato 30 gennaio 2010

L'ARCINORMALE - Massa Latina


 Lidano Grassucci
Ora torniamo a parlare di politica, torniamo a parlare di elezioni come se queste fossero cosa diversa da quello che abbiamo raccontato fino a ieri, vale a dire quel male che si è tradotto in due morti e in un ferito grave dentro la città capoluogo. Che è parlare di politica, forse in modo più evidente, perché la politica, che è poi il sentire comune della gente (gli anglosassoni la definiscono la condizione prima delle scelte politiche nel concetto di “opinione pubblica”). Ecco, è questo che ci manca, per cui il nostro parlare di elezioni è monco. Da noi si vota per tifo, per simpatia, per scommessa, ma soprattutto per stare dalla parte di chi vince. Da noi non c’è l’opinione pubblica, cioè non c’è un sentire comune che poi fornisce il terreno su cui coltivare piante che possano essere i partiti politici, i leader politici, i quadri, gli amministratori. Da noi ci sono elettori tifosi ed eletti notabili. Perché l’eletto non deve esprimere null’altro che il tifo: sta lì perché è dell’Inter o della Roma, e non c’è un perché. La spiegazione è che tanto “così è”. I colpi di pistola delle organizzazioni criminali locali che diventano capaci di logistica militare sofisticata, che sono in grado di esprimere azioni e reazioni con rapidità militare, non differente o non inferiore a quella della malavita metropolitana di Roma, di Napoli, di Milano, costituiscono un disequilibrio oggettivo, perché loro, la parte malata della città, sono pari ai colleghi metropolitani, ma nelle metropoli c’è opinione pubblica, società civile, capacità di indignarsi. Ci sono anticorpi sociali in grado di garantire la convivenza civile. Da noi no. C’è il rischio che la nostra comunità sia sbilanciata, che cammini sopra una gamba malata, cresca senza l’ausilio, il supporto, la velocità che consente soltanto la gamba sana. A Latina oggi interviene il vescovo, lo fa da vescovo e lo fa per quel che gli compete, che è l’attenzione alle coscienze, che lamenta «non essere reattive abbastanza» e chiede, il vescovo, «anticorpi culturali», punta il dito indice proprio sulla mancanza di «opinione pubblica». Un tempo avrei definito tutto ciò mancanza di etica repubblicana, ma credo che non sarei compreso in una comunità dove il problema è l’etica tout court, che certi sofismi si traducono in nulla dichiarato. Il sindaco di Latina, Vincenzo Zaccheo, riferiva di mobilitazione sociale, ed io qualche giorno fa vi ho ricordato che quell’azione avviene solo dopo e solo se c’è una indignazione civile, che non c’è stata. Sullo stesso mio giornale ci sono stati articoli in cui si esaltavano virtù di alcuni dei protagonisti dei fatti di cronaca, non entro nel merito di queste virtù, ma certo non era questo il momento di sottolinearle e lo dico per dimostrare che i dolori, il male che abbiamo davanti, rompe i confini tra bene e male, giusto e ingiusto, che consentono alle comunità di tutelarsi dalla loro follia. I consiglieri comunali che vanno ai funerali delle vittime di uno scontro miliare, non entro nel merito degli aspetti personali, ma denotano l’incertezza dei confini. Ecco, in questa vicenda, nelle reazioni, nella cronaca che facciamo ora, c’è tutto il male di Latina, l’essere un grande agglomerato urbano ma non una città, l’essere un insieme di case, ma non una città, l’essere un momento casuale di incontro di persone, ma non un popolo. 

Nessun commento:

Posta un commento