lunedì 29 dicembre 2008

prima pagina de il nuovo territorio del 30 dicembre 2008

Brutti ma buoni

Lidano Grassucci

Mi piacciono le classifiche, i numeri, i pesi. Mi piace il confronto, mi piace vedere il mondo lontano confrontato con il mio vicino. I numeri sono il modo con cui misurare il mondo, sono l’unico artificio del genio che nulla ha a che vedere con il vero e per questo sono la cosa più vera che c’è. I romani non capivano lo zero e forse questo causò la loro fine, non concepivano il niente. Per loro ogni cosa era qualche cosa e tutto partiva da uno.
Ora quelli de Il Sole 24 ore dicono che Latina è un posto brutto, tra le province italiane (che sono 103) noi siamo gli 80esimi, quindi in 79 province italiane vivono meglio che da noi.
Sarà? Ma poi leggo che siamo quinti in assoluto per capacità di attrarre nuovi cittadini.
Come dire: saremo pure brutti ma piacciamo. Siamo come quelle signore che a vederle non ci dai una lira, ma poi acchiappano.
Di tutte le classifiche questa mi pare la più significativa. Perché vengono qui? Perché la vita di provincia è meglio, perché le strade sono larghe, perché parcheggi al massimo a 200 metri dall’obiettivo, perché la gente per strada si saluta. Perché il sindaco è uno di noi e non è distante dai cittadini quanto il presidente del Burundi.
Poi ci penso, prima è Aosta. E’una città di 34 mila abitanti, in una provincia di 125 mila. Fa freddo. Mi ricordo una volta che sono andato lì da turista, entro in albergo. Un piccolo albergo di quelli di montagna, l’a,albergatore era un omone con la barba ed il maglione pesante (ed era di maggio). Era assorto, pensava a se, ai casi suoi, lavorava con cortesia ma senza trasporto.
Ci chiede i documenti per registrare la nostra presenza. Allungo la mia cartà d’indentità.
Il cristiano legge il frontespizio dove c’è il nome del comune di residenza. Si ferma, lo guarda bene e sbotta con un sorriso a 32 dente: “Venite da Latina”. Con tono alto, si trasforma diventa un uomo felice: “Io vado in vacanza a Terracina, c’è la fettuccia, c’è il sole. Mi sono rotto le palle di stare qui, tra poco vado in pensione mi vendo tutto e mi compero casa da voi. Sole, mare e strade dritte. Basta co ste montagne”.
Era la seconda volta che ,mi capitava di capire quanto si stava bene a casa mia, tra la mia gente. A Cesena sulla E8 mi fermano i carabinieri. Viaggiavo su un Bedford male in arnese e pieno di roba. I carabinieri sono gente seria, l’appuntato ci fa osservare che avevamo commesso almeno 20 infrazioni. Noi potevamo appellarci solo al loro cuore tenero.
Ma il cuore tenero non è una virtù di cui sian pieni i carabinieri come dice De Andre. L’appuntato porta tutti i nostri guai al maresciallo che lì comandava. Aveva un aria dura, il maresciallo. Ci sentivamo come un condannato reo confesso alla vigilia della sentenza. Il maresciallo prende i documenti legge, sgrana gli occhi, e ci viene incontro a braccia aperte: “Siete di Sezze?”. Noi “Sì”, e lui “So di Priverno, tra due giorni torno pure io a casa. Andate ci vediamo da noi, non ce la faccio più a sta qua”.
Saremo pure 80esimi…
Ps: sei nazionalista? Come diceva il padre di Damiano: “Qua stamo a fior d’Abramo, non ci so terremoti, inondazioni e, in fondo, la gente n’è cattiva”.

domenica 28 dicembre 2008

prima pagina de il nuovo territorio del 29 dicembre 2008

Acqualatina e la sinistra suicida

Lidano Grassucci


I miei amici di sinistra hanno la memoria corta, cortissima e arrivano in ritardo alle cose. Hanno problemi con il tempo, con gli orologi. Insomma per salvare la Sinistra non ci vorrebe un eroe, un grande leader, ma un orologiaio.
Leggo che Domenico Guidi e Sandro Bartolomeo hanno fatto della guerra ad Acqualatina la ragione stessa del loro agire politico. Mi sarei aspettato altro da due leader come loro, da due (oggettivamente) grandi amministratori, ma l’ira acceca. Ma chi ha voluto Acqualatina? La legge in base a cui è nata è la legge Galli, e Galli è un esponente della sinistra. E’ nata per salvare i comuni da disastri idrici imminenti: i costi di gestione stavano esplodendo, servivano investimenti ingenti e nessuna amministrazione locale era oggettivamente in grado di farlo. Da qui la scelta del partito dei sindaci, quasi tutti di centrosinistra, di “passare la mano”.
Galli ha scritto quel che i sindaci volevano. Nel Lazio ci mette mano un assessore, Michele Meta, chè è anche segretario regionale dei Ds.
Quando si da corso all’operazione di nuova gestione dell’acqua in provincia di Latina si da una risposta alle amministrazioni locali (in maggioranza a guida Ds) che dovevano fare i conti con carrozzoni (chi ricorda il consorzio Acquedotto degli Aurunci, non fa più nulla ma ha ancora un consiglio di amministrazione? O la vicenda della Dondi a Sezze?), con la difficoltà di dare il servizio, con costi per la collettività enormi.
Sono le amministrazioni di sinistra a scegliere la soluzione ibrida: società pubblico-privata per gestire le acque. Forza Italia è per far uscire la politica da questa gestione dando tutto, al 100% in mano ai privati.
Nella assemblea dei sindaci (su 33, 24 erano di centrosinistra) che passa la soluzione Acqualatina. Guidi e Bartolomeo lo ricordano bene, perché c’erano. L’idea, allora, era che questa soluzione avrebbe favorito chi aveva più forza politica ed allora la sinistra era forza egemone in tutti i comuni della provincia tranne Latina, Fondi, Minturno e Sabaudia.
Le cose non andarono come previsto e la sinistra non ha conquistato queste amministrazioni, ha perso quelle che aveva.
Su Aprilia è l’amministrazione di sinistra di Gianni Cosmi ad aprire la questione delle regole, del pagare tutti pagare meno, ad aprire la lotta all’evasione. La filosofia dell’Aser è quella della Legge Galli: i servizi si pagano. L’acqua non è più una forma di redistribuzione del reddito, è un servizio oneroso e l’onere va distribuito tra chi ne usufruisce.
Ma il mutuo della Depfa? Bartolomeo e Guidi sanno bene che la gara europea con cui si sceglie la società privata partner del pubblico nella gestione prevede investimenti che sono finanziati dai soci. Quindi? Per il 51% dai comuni. L’alternativa al mutuo è di attingere ai bilanci comunali. Insomma senza mutuo che “addolcisce” l’esborso distribuendolo per alcuni anni, le amministrazione avrebbero (tutte) i conti in corto circuito.
La sinistra non ricorda le sue scelte, non fa di conto con la sua storia. Ma quello che preoccupa non è questo, è che le azioni populistiche sono proprie di chi non mette nel conto che potrebbe vincere, che potrebbe governare.
L’azioni di Guidi e Bartolomeo preoccupa perché è di una sinistra che si pensa opposizione eterna.
Per un liberale una democrazia bloccata in cui uno vince sempre e l’altro è destinato sempre a perdere è malata. Gravemente malata.

Leggo il mondo capoculo




Lidano Grassucci



Capoculo. Che significa che la testa sta al posto del sedere e viceversa, un mondo capovolto. Tutto diverso, tutto oltre le righe. Se vedi il mondo capoculo tutto cambia.
Metti ieri: ho aperto il giornale, ho ascoltato i giornali radio, ho visto la Tv. Gli israeliani “cattivi” attaccavano i poveri palestinesi innocenti.
Leggo e mi viene da pensare “capoculo”: ma non sono stati quelli di Hamas, i capi dei palestinesi, a sparare per primi agli ebrei? Non sono stati loro a lanciare i razzi dicendo: la tregua è finita. Si sono sbagliati pure a tirare i loro proiettili e hanno ucciso tre bimbi palestinesi.
Per chi la pensa diritto gli ebrei sono cattivi, sono “perfidi” come dicono le preghiere dei nostri preti. Per uno che la pensa capoculo viene da ragionare: se mi danno uno schiaffo, se mi sfottono, e sono più forte, ci sta che mi incazzo? E’ Cristo che dice a chi ti dà uno schiaffo porgi l’altra guancia, per gli ebrei Cristo è una brava persona niente di più. Ma anche i cristiani di guance ne porgono poche: quando i mori si presero Gerusalemme hanno organizzato più di qualche crociata per andare a picchiare il Saladino e i suoi, pure a Lepanto non si misero proprio di faccia agli infedeli ma a tiro di bombarda.
Se arriva uno con la barba e ordina con i suoi di non mandare le bambine a scuola in nome di Dio e pena la morte. Se si uccidono i maestri che insegnano a leggere alle bimbe.
Come leggo avviene in Pakistan.
Chi vede il mondo capoculo si domanda: o il suo Dio non è una brava persona; o è lui che è una persona ignobile e quindi anche il suo modo di leggere la fede.
Essendo quel signore (ignobile signore) un talebano, uno di quelli che impedivano agli afgani di sperare, non ringrazio Dio che li tiene ancora in vita ma i soldati americani che li hanno e li combattono.
Quando leggo che Walter Veltroni dice che l’arresto, e poi la scarcerazione, del sindaco di Pescara è “un fatto grave” perché è un suo compagno di partito.
Capoculo mi incazzo: 14 anni fa quando arrestavano i socialisti e i democristiani che poi risultavano innocenti che era “un fatto lieve”? Quando hanno preso Ottaviano Del Turco e ora il castello accusatorio si fa di carta che era “uno scherzo”?
Quando leggo che è meglio distruggere le cellule embrionali piuttosto che usarle per la ricerca, perché è peccato giocare con la vita si indigna, capoculo dico che è criminale non dare la speranza, che buttarle è ignobile quanto è ipocrita vedere la vita dove si vuole ed escluderla dove non piace. I cristiani discussero a lungo sulla presenza dell’anima negli indios d’america, importanti teologi conclusero che non ne erano dotati e quindi erano animali. E, si sa, la vita degli animali è un po’ meno vita.
Ho letto che un generale italiano ricordava a Porta Pia i nomi dei soldati del papa morti, dimenticandosi di quelli suoi, degli italiani. E tutto era normale per i giornali.
Capoculo continuo a pensare che gli italiani erano brava gente, quelli che stavano dentro le mura a difendere le sottane un po’ meno. Anzi per nulla.
Sarà perché sono capoculo che ogni volta che sento la fanfara dei bersaglieri mi si gonfia il petto e penso alla libertà.
Leggo che quattro case fatte da un dittatore in una landa desolata sarebbero belle, patrimonio dell’umanità e tutti plaudono. Capoculo dico quello che diceva la signora Tathcher: “I dittatori vanno schiacciati”, perché sono vermi e i vermi non fanno città ma verminai. Sono i liberi che fanno città.
E’ patrimonio dell’umanità la dichiarazione di indipendenza americana, la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Il resto è niente.







Dichiarazione dei diritti dell'Uomo e del Cittadino
Parigi, 26 agosto 1789
I rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l'ignoranza, l'oblio o il disprezzo dei diritti dell'uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e dalla corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell'uomo, affinchè questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri; affinchè maggior rispetto ritraggano gli atti del Potere legislativo e quelli del Potere esecutivo da poter essere in ogni istanza paragonati con il fine di ogni istituzione politica; affinchè i reclami dei cittadini, fondati da ora innanzi su dei principi semplici ed incontestabili, abbiano sempre per risultato il mantenimento della Costituzione e la felicità di tutti. In conseguenza, l'Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell'Essere Supremo, i seguenti



Diritti dell'Uomo e del Cittadino:
Articolo 1
Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull'utilità comune.
Articolo 2
Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell'uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all'oppressione.
Articolo 3
Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo o individuo può esercitare un'autorità che non emani espressamente da essa.
Articolo 4
La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così, l'esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di quegli stessi diritti. Questi limiti possono essere determinati solo dalla Legge.
Articolo 5.
La Legge ha il diritto di vietare solo le azioni nocive alla società. Tutto ciò che non è vietato dalla Legge non può essere impedito, e nessuno può essere costretto a fare ciò che essa non ordina.
Articolo 6
La Legge è l'espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione. Essa deve quindi essere uguale per tutti, sia che protegga, sia che punisca. Tutti i cittadini essendo uguali ai suoi occhi sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti ed impieghi pubblici secondo la loro capacità, e senza altra distinzione che quella delle loro virtù e dei loro talenti.
Articolo 7
Nessun uomo può essere accusato, arrestato o detenuto se non nei casi determinati dalla legge, e secondo le forme da essa prescritte. Quelli che procurano, spediscono, eseguono o fanno eseguire degli ordini arbitrari, devono essere puniti; ma ogni cittadino citato o tratto in arresto, in virtù della Legge, deve obbedire immediatamente; opponendo resistenza si rende colpevole.
Articolo 8
La Legge deve stabilire solo pene strettamente ed evidentemente necessarie e nessuno può essere punito se non in virtù di una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto, e legalmente applicata.
Articolo 9
Presumendosi innocente ogni uomo sino a quando non sia stato dichiarato colpevole, se si ritiene indispensabile arrestarlo, ogni rigore non necessario per assicurarsi della sua persona deve essere severamente represso dalla Legge.
Articolo 10
Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, purchè la manifestazione di esse non turbi l'ordine pubblico stabilito dalla Legge.
Articolo 11
La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell'uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell'abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge.
Articolo 12
La garanzia dei diritti dell'uomo e del cittadino ha bisogno di una forza pubblica; questa forza è dunque istituita per il vantaggio di tutti e non per l'utilità particolare di coloro ai quali essa è affidata.
Articolo 13
Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese d'amministrazione, è indispensabile un contributo comune: esso deve essere ugualmente ripartito fra tutti i cittadini, in ragione delle loro sostanze.
Articolo 14
Tutti i cittadini hanno il diritto di constatare, da loro stessi o mediante i loro rappresentanti, la necessità del contributo pubblico, di approvarlo liberamente, di controllarne l'impiego e di determinarne la quantità, la ripartizione e la durata.
Articolo 15
La società ha il diritto di chieder conto a ogni agente pubblico della sua amministrazione.
Articolo 16
Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha costituzione.
Articolo 17
La proprietà essendo un diritto inviolabile e sacro, nessuno può esserne privato, salvo quando la necessità pubblica, legalmente constatata, lo esiga in maniera evidente, e previa una giusta indennità.

venerdì 26 dicembre 2008

Sovrano è il popolo a Pescara come a Fondi

di Lidano Grassucci


Violante, quello del Pd, ora dice di stare attenti sui magistrati. Per via della vicenda del sindaco di Pescara D’Alonso (del Pd) arrestato con tanto di grancassa e ora “scarcerato”, e anche Veltroni dice che quel che è accaduto è “un fatto gravissimo”. Già, ha ragione il socialista Cicchitto che commenta (per una volta col cuore): “Dovevano dirlo 14 anni fa”. Sì, dovevano dirlo anche quando sotto le forche caudine dei magistrati c’era Ottaviano Del Turco. Ma per i comunisti difendere i socialisti è sempre stato difficile, anzi la loro disgrazia era una piccola soddisfazione.
Il super moralista Antonio Di Pietro da qualche giorno è meno rigoroso per via del figliolo che pare di favori ne chiedesse e come. Se pensi male degli altri, primo a poi qualcuno pensa male di te. Moralista il padre, ma discolo il figliolo.
Ho letto i redditi del re della nuova morale, quel Grillo che fugge nella libera Svizzera davanti alla italica dittatura e dal suo fisco. Gli anarchici andarono a Lugano senza mezzi, lui ci va in villa, non è proprio la stessa cosa.
Vi racconto queste storie per le ricadute in casa nostra. Sono socialista e non mi è mai passata l’offesa per essere stata considerata la mia idea come criminale e mariola a fronte delle virtù degli altri. Mi sono preoccupato di una magistratura che faceva politica, eravamo in pochi i più buttavano monetine e incensavano i giudici come nuovi sovrani e stavano con loro. Rino Formica chiese di stare attenti: “A fare il puro trovi sempre uno più puro che ti epura”. Non aveva l’aria di profeta Formica, ma lo è stato.
Ora mi chiedo: se a Fondi la mafiosità l’accertano non i carabinieri ma dei travet, cosa ci impedirà domani di allargare il sospetto a Terracina, a Sabaudia, a Latina, a Roma? I comunisti (o ex fa lo stesso) pensavano di essere esenti dal sospetto, avevano un’etica superiore. Si facciano spiegare da D’Alonso.
Noi naturalmente stiamo dalla parte di D’Alonso, tanto quanto i suoi ci hanno gettato le monetine come si fa agli infami, ai traditori. Noi difendevamo, 14 anni fa, un principio. Sempre lo stesso: “la sovranità appartiene al popolo”. Sempre lo stesso da Genova nel 1892, prima nella Repubblica Romana, nell’Italia unita che abbiamo sognato, quando siamo entrati a liberare Roma, quando abbiamo cacciato i dittatori. Sovrano è il popolo a Pescara come a Fondi.

Remember Lepinia


di Lidano Grassucci

Sbatte la manona sul tavolo e alza il tono di voce: “Mo basta, rifacemo la Lepinia”. Gli astanti restano di sale, non era questo l’argomento, ma lui insiste. “E’ venuto pure Bossi qua a Latina, ci andiamo a parla. Ripartiamo alla grande”. Poi si ferma, sbatte di nuovo la mano sul tavolo e rilancia: “Beh, so o non so i governatore”.
Enzo Eramo, capogruppo del Pd a Sezze, prudentemente cerca di abbassare i toni. Ma gli altri sembrano aver avuto una carica aggiuntiva. Giannetto è il primo: “I’ so fatto già na società e la so’ chiamata Lepina, pe non capisce niente”. Sergio Corsetti cerca la quadra costituzionale della cosa, certo questo non è il posto da cui può partire una rivoluzione. Non è proprio la sala della Pallacorda da dove è nata la Francia nuova, quella senza padroni, quella dei cittadini. Siamo da Mena, piana di Sezze, di giorno si vede l’Appia, di là verso il mare è Latina, di qua Lepinia.
Qui la terra è nera oltre l’Appia è rossa, qui si riuniscono i contadini per parlare delle cose del mondo: affari, donne, lavoro, vino e… rivoluzione quando è il caso. Qui davanti aveva il terreno Alessandro Di Trapano il capo dei contadini di Sezze. Qui non sono usi ai compromessi. Come diceva Guareschi di Brescello: qui il sole batte forte e gli animi si riscaldano facile.
C’è anche il sindaco di Sezze, Andrea Campoli che glissa, lui è una istituzione, non può prendere parte.
E’ GiovanBattista Giorgi che non vuole mediazioni: “Qua vengono tutti e li accogliamo a braccia aperte, ma questo non significa che noi siamo niente”.
La butto lì: “facciamo il bilinguismo nei cartelli stradali, ufficializziamo l’uso della nostra lingua in consiglio comunale”.
Titta incassa: “E’ bene, è bene che torniamo in campo che riprendiamo questo discorso”. Sono passati di qui francesi, spagnoli, tedeschi, inglesi e americani. Tutti con l’idea di farla da padroni, ci provarono pure i fascisti a imporre “regole”, ma qui niente non passava il messaggio. ‘Sti contadini non sanno proprio marciare, non riescono a intrupparsi e poi, sotto-sotto, restano eretici. Latina è lontana, non per via dei chilometri, ma per via della terra. Qua è nera, nera come il carbone, come uscita da una vulcano. Qui la terra ti entra dentro i pori della pelle, ti veste, ti fa “negro”. Chi lo ricorda che in America solo fino a pochi decenni fa si domandavano se questi contadini erano negri più che bianchi. Arrivarono alla conclusione che eravamo negri, poi arrivò Caruso e qualcuno cominciò a dubitare, un popolo che cantava in quel modo aveva qualcosa di speciale. Già un popolo che cantava così non poteva essere “normale”. Da queste parti di tanto in tanto cantano, di tanto in tanto un brivido passa per questa gente che si ricorda di come Dio li fece liberi in una terra che era, ed è, di nessuno perché è posto che uccide. Combatte sta gente, se ci crede, non per obbedienza.
Per obbedienza non fanno niente, mica si piegano.
Titta riprende il discorso: “Iamo a parlà co Bossi, ci spiegamo, ci raccontamo”.
Di che? Di Roma, dei Papi, dei francesi, degli spagnoli, dei fascisti che ci hanno rubato la terra. Di noi che ci siamo vergognati della gente nostra, della storia, che ci sentivamo di meno davanti ai signori che parlavano pulito.
Che ci raccontiamo a Bossi, che non ci siamo più, che siamo una invenzione, che non abbiamo le statue con i nostri eroi. Che ci hanno comperato con un posto in fabbrica?
Il sindaco Campoli sorride, forse è vero che qui diventerà tutto normale, anche qui arriverà il vino che ha il retrogusto di mirtillo, arriveranno i piatti per gustare e non si mangerà più, arriveranno le birre al doppio malto e il pan carrè.
Si parlerà senza accento prima in italiano, finchè dura, poi in inglese. Si fa notte, e la cosa diventa nebbiosa, l’umido sale dalla terra e fa “fumo” sulla campagna, poi sulle strade. Perché la notte qui noi non ci stavamo, la notte era della terra, gli uomini tornavano dentro le mura su in collina. Qui c’era spazio per secolari, per femminelle, per lupinari, per uomini che non avevano più passato, che non speravano nel futuro. Per legionari, per francesi persi, per tedeschi sorpresi nei viaggi in Italia tra l’Appia e il niente.
Come era bello il nostro mondo, il silenzio non aveva fine, e i senza legge si nascondevano qui. Ora c’è una strada, l’asfalto, un posto come un altro, una periferia come un’altra.
Quando i sermonetani partirono per difendere l’Europa dai mori, mica sapevano di cani e di cristiani, partirono perché c’era da partire, per via che i mori venivano ad insultare le nostre donne, non era per Fede ma per onore. Per questo tornarono, pochi, e vittoriosi, per questo combatterono in mare loro che erano gente di acqua ferma. Per onore.
Mo, vallo a raccontà a Bossi. Sergio prende appunti e prepara la costituzione, Enzo è d’accordo ma con un retrogusto contorto ed è anche d’accordo con altri.
Prendo la macchina e torno a Latina, ma che sarà sta Lepinia? Poi mi viene davanti, all’altezza degli archi di San Lidano, nonno Lillo che canta: “la ciociara va a Caserta co ‘nà ciocia rotta e una spaccata…”. Che c’entra, forse la Lepinia è questa.

martedì 23 dicembre 2008

Lettera di Natale

Lidano Grassucci


Certo alla mia età scrivere a Babbo Natale è cosa ridicola, se non patetica. Mi sento come le signore che vedendosi sfuggire il tempo cercano conforto nell’audacia del vestire.
O lo faccio per dispetto, per via di quel prete che ha fatto ai bambini uno scherzo (da prete) rivelando che Babbo Natale non esiste? Comunque sia, faccio la mia brava letterina, ricordando quella che mi facevano scrivere a scuola, quella con la copertina piena di sbrillocchi e colori, quella che mettevo sotto il piatto di papà. In genere la prima portata era di cappelletti in brodo e lo costringevo a fare un gioco di prestigio nel tirar fuori la lettera evitando di far cadere il brodo sulla tovaglia.
Lo scrivo con quello spirito, rendendomi conto del ridicolo. Cosa chiedo a Babbo Natale? Forse solo di poter continuare a lavorare, di fare quel che so con il mio estro cercando di dare il mio piccolo contributo al mondo.
Vorrei che cacciassi tutti i menagramo, tutte quelle persone che la sanno lunga e prevedono catastrofi. Che raccontano di un domani che è sempre cupo e triste. Vorrei che li cacciassi via tutti perché uccidono la speranza e non leniscono la certezza della fine che è propria di questo vivere.
Vorrei che cacciassi i moralisti poco morali, che sanno come dovrebbero vivere gli altri non facendolo loro. Vorrei per regalo il rispetto dell’errore degli altri che è la cosa che ci rende umani, di carne.
Vorrei che accettassi le mie contraddizioni, le stesse che fanno differente il mondo degli uomini dal meccanismo di un orologio svizzero.
Vorrei che nella mia città arrivasse una sorta di pifferaio che con il suo suonare portasse via i cretini, i montati, e l’ignoranza che fa più male dell’epidemia di Spagnola.
Vorrei che mi regalassi, a me e agli altri, la possibilità di fare, di non fermarsi sull’orlo del burrone.
Vorrei che togliessi di mezzo i tribuni che per le proprie carriere raccontano di una vita facile nel difficile di esistere.
Vorrei che ci salutassimo, che nessuno togliesse il saluto al suo prossimo.
Vorrei che ciascuno pregasse il suo Dio senza pensare, giudicando, a come lo fanno gli altri.
Boh, io la lettera la scrivo. Poi pensaci tu.
Ricordo mio padre che sorrideva leggendo le mie stupidaggini. Fallo anche tu Babbo Natale, forse solo per questo ti scrivo.
Buon Natale anche a te.
E Buon Natale agli amici dell’Arcinormale che hanno avuto la pazienza di leggermi.

Bisanzio-Aprilia, the end

Lidano Grassucci

È caduta la giunta Santangelo e, pare, non si sia fatta male. Nel senso che la storia di questa consiliatura ad Aprilia ha dell'incredibile. Santangelo è come Fregoli, riesce a cambiare pelle 100 volte e ancora 100. Il consiglio comunale di Aprilia è Bisanzio nel periodo di decadenza e allo stesso tempo di più alta sofisticazione. Fino a ieri Santangelo aveva in maggioranza Stradaioli che si era candidato contro di lui, all'opposizione quelli che gli hanno fatto campagna elettorale. Aprilia non ha bisogno di bizantinismi politici ma di teutonici governi. E', oggettivamente, una città non governata, una città dove la presenza pubblica, il suo ordine, è assente. Il problema è che è una grande città. Spesso per definirla abbiamo giocato sulla definizione che De Gaulle aveva dato dell'Europa: Aprilia è un gigante economico, una grande città, ma è un nano politico. Manca una classe dirigente per Aprilia e manca una classe dirigente di Aprilia per la provincia di Latina. Santangelo è la sublimazione di tutto questo, ingegneria politica sulle sabbie mobili amministrative. Due sono stati, fino ad ora, i politici di Aprilia di rilievo provinciale: Luigi Meddi e Gianni Cosmi.
Il primo, figlio di un tentativo di governo operaio della città (era sindacalista socialista), l’altro la riaffermazione delle radici contadine della Aprilia originale. Entrambi sono stati (e Cosmi ancora lo è) espressione di una Aprilia reale a fronte di una sorta di “derivati” politici che ha dato vita ad una bolla amministrativa che ora esplode e lascia dietro di se il nulla.
Possiamo criticare ma Cosmi aveva una idea di città, legata a Latina, con funzioni di servizio. Meddi aveva una idea di città, legata a Roma, con funzioni governate di cassa di compensazione davanti al gigantismo romano. Il resto è niente, è vuoto.
Da dove ripartire? Il centrodestra non avendo leader aveva preso Beckham a sinistra (Meddi divenne sindaco socialista con il sostegno del centrodestra), ora deve cercarne un altro. A sinistra Cosmi è ancora in campo, ma sono le idee ad essere confuse.
Con la crisi di Santangelo si chiude una stagione, quella del levantinismo apriliano. Cosa nascerà, è difficile saperlo.

prima pagina de il nuovo territorio del 23 dicembre 2008

domenica 21 dicembre 2008

ESPLODE IL CAPANNONE. UN'AZIONE CRIMINALE CONTRO GIORGIO FIORE, PRESIDENTE DEL CONSIGLIO COMUNALE DI FONDI

di Irene Chinappi


Un attentato dritto al cuore delle istituzioni di Fondi. Intorno alle due della notte appena trascorsa una forte deflagrazione ha rotto il silenzio delle campagne fondane. Un’ala del capannone di proprietà dell’azienda agricola di Giorgio Fiore, presidente del Consiglio comunale, è esplosa provocando un forte boato che è stato percepito dai residenti della zona. L’allarme ha raggiunto il 115 e, una volta spento il fuoco l’immagine che si sono trovati davanti i carabinieri della compagnia di Gaeta e lo stesso proprietario della costruzione nuovissima e ancora spoglia situata al km 117 della via Appia nel tratto che da Fondi conduce a Monte San Biagio, è stata quella di un chiaro segnale intimidatorio. Un centinaio di cassette di pomodori pronte per essere smistate erano state cosparse di benzina. Non è ancora chiara la dinamica dell’atto, ma probabilmente gli autori del gesto criminale devono aver incendiato l’interno di un gabbiotto chiuso da una vetrata. Sarebbe stata poi la forte pressione interna a far esplodere le finestre, finite in frantumi assieme agli infissi fino ad una decina di metri di distanza. Per tutta la notte i carabinieri sono stati sul posto per indagare sul fatto e sono stati sentiti sia il colonnello del comando provinciale Roberto Boccaccia che il comandante generale dell’arma a Roma Gianfrancesco Siazzu. Non rilascia dichiarazioni, invece, la vittima dell’attentato che preferisce affidarsi al lavoro degli inquirenti. Inevitabile comunque collegare l’attentato al presidente del consiglio comunale e leader della seconda forza politica della città, alla tensione che nelle ultime settimane sta investendo Fondi, per il sequestro di beni per 28milioni di euro al sodalizio criminale legato aVincenzo Garruzzo e Massimo Di Fazio Peticone, nonché alla richiesta di scioglimento del consiglio comunale inviata dal prefetto di Latina Bruno Frattasi al Ministro dell’interno Roberto Maroni. A questo punto è chiaro che se esiste un’associazione di stampo mafioso, questa sta agendo contro le istituzioni.

Latina, l'Unesco e la bellezza (editoriale del 21 Dicembre 2008)

di Lidano Grassucci

Quando trovi gli ardimentosi rimani stupito del loro ardimento e devi rendere l'onore delle armi. Leggo che un tal Giuseppe Mancini è andato a Parigi a perorare la causa di Latina patrimonio dell'Unesco, l'assessore Creo che è il mandante dell'operazione ci informa che è stato ricevuto da Francesco Bandarin direttore dell'Unesco. Mi tolgo il cappello davanti a Mancini perché lui ha fatto quello di cui io sarei stato incapace, mi sarei vergognato come un cane in chiesa a chiedere di far diventare 4 edifici pubblici, pure male ceriti, patrimonio dell'umanità. Avrei avuto timore vedendo l'elenco dei siti dell'Unesco. Faccio l'esempio: Latina dovrebbe stare insieme agli scavi di Pompei, alla Città del Vaticano, alla Valle dei Templi di Agrigento, alla città barocca di Noto, alla Costiera Amalfitana, a Villa Adriana e Villa d'Este, a Siena, a San Gimignano.
Mi sarei sentito come uno scolaro che non ha studiato, mi sarei sentito come un signore che difende la bellezza di Camilla davanti a Diana e dice che il principe Carlo ha buon gusto in fatto di amanti.
Per questo credo che Mancini e il suo mandante Creo siamo degli eroi, dei temerari. Sarà arrivato lì Mancini con le cartoline con scritto "saluti da Littoria", con le foto dei rurali, con l'estetica di Palazzo M. Le notizie riportano di una accoglienza calorosa ed entusiasta del direttore dell'Unesco, si sarà entusiasmato quando gli hanno spiegato perché il palazzo è fatto a forma di emme? Si sarà entusiasmato della fontana con la palla di Piazza del Popolo? Gli sarà parso bellissimo l'albergo Italia? Ci vivo a Latina, anche ieri mi sono fatto una passeggiata in centro, non cambierei questo posto con nessuno ma come diceva un mio amico di Cori: "Beglio non ce se po' dice".
Cerchiamo di essere normali, di avere il senso delle cose. Latina è bella perché è la nostra città, ma l'estetica dell'umanità ne potrebbe fare volentieri a meno.
Comunque grande Mancini e grandissimo Creo, anche io quando ero piccolo e non ero mai uscito da via Marconi, già via Cesare Cavallotti, a Sezze pensavo che fosse la più bella via del mondo, anzi pensavo proprio che oltre non c'era nulla. Poi ho scoperto il mondo, amo via Marconi, già Cavallotti, per me è unica, ma per il resto dell'umanità significa poco, o poco più di niente.
PS: naturalmente per me via Marconi è più bella di Noto.

sabato 20 dicembre 2008

Benvenuti sul blog de Il Nuovo Territorio

di Irene Chinappi


Il Nuovo Territorio ha deciso di lasciare le sue tracce sulla rete. Da oggi, infatti, nasce la versione blog (contrazione di web-log, ovvero ‘traccia su rete’)del nostro quotidiano. Non è il battesimo del web poiché con l’ingresso in Facebook Il Nuovo Territorio si è già mischiato tra i milioni di bit che compongono l’universo telematico. Ma un blog ci voleva. Non è la stessa cosa di un social network. Un blog è un luogo di riflessione, di approfondimento. In qualche modo, un modo per stare più vicino ai lettori, per capirsi meglio e magari interagire. Sul blog i lettori possono commentare direttamente gli interventi dei nostri giornalisti, e magari introdurre nuove riflessioni.
Non è ancora ben chiaro come evolverà Il Nuovo Territorio blog, ma è anche questo il bello delle avventure. Certe creature si osservano crescere e modellarsi a seconda dell’umore, del tempo, delle reazioni e pure, certamente, della loro fama. Insomma non sappiamo cosa ci aspetta, ma abbiamo in mente tante cose. E questa è la cosa più importante.
Considerato che la maggior parte dei blog sono strutturati sulle riflessioni dei cosiddetti ‘bloggers’ (gli autori dei blog), per il momento sulla pagina de Il Nuovo Territorio blog sono stati pubblicati gli editoriali delle ultime edizioni, non essendo possibile, naturalmente, pubblicare in un blog tutte le notizie delle edizioni quotidiane. Insomma, il blog è un invito a riflettere ma soprattutto a condividere con noi ragionamenti e opinioni, cosa che con la versione cartacea del giornale, non è possibile fare. A meno che non si scriva alla redazione attraverso i mezzi tradizionali. Ma in quel caso, spesso per ragioni di spazio, le probabilità che l’intervento venga pubblicato sono davvero poche. Sul blog, invece, tutti possono scrivere. Naturalmente, però, non si può scrivere tutto. Il blogger, infatti, selezionerà i commenti che non presentano offese o linguaggio scurrile. Questa è tuttavia l’unica eccezione. Saranno pubblicati tutti gli altri commenti, anche (e a maggior ragione) quelli di chi non la pensa come noi. Perché il pensiero fa l’uomo. E noi lo rispettiamo.

Le monetine che nessuno getta

di Lidano Grassucci

Sarebbe bello un paese dove, semplicemente, ciascuno facesse il suo lavoro. Così facendo ciascuno avrebbe rispetto per il lavoro che non sa fare. Mi spiego: i giornalisti fanno fatica a raccontare la normalità, allora diventano giudici, poliziotti, moralisti: i giudici, a loro volta, trovano noioso applicare la legge e allora fanno sociologia, politica, storia, ecologia; gli amministratori trovano irritante, poco nobile, riparare le strade e fare le leggi e allora litigano e fanno i dispetti ai colleghi.

Nel '93 quelli di sinistra che avevano aperto la "questione morale" (ma la morale è una questione?) hanno gettato le monetine al "corrotto" Bettino Craxi. Passano gli anni, e a contarli, anche i minuti direbbe De Andrè, ma non ho visto lanciare monetine al sindaco di Napoli, a quello di Pescara, a Bassolino. Niente, la piazza tace e le monete restano nel borsellino.

Quando saltano le regole saltano per tutti, non distinguono simpatici da antipatici, belle da brutti.

Capite la ragione per cui ci stiamo preoccupando, e non poco, dell'eventuale commissariamento di Fondi? Lo facevamo quando arrestavano i socialisti ed i democristiani, lo facevamo quando gli ex Pci si sentivano superiori. Anche oggi si sentono superiori rispetto a Fondi, anche oggi non si preoccupano del fatto che lo scioglimento del consiglio comunale li coinvolgerebbe direttamente (va a casa maggioranza e opposizione, perché "tutto" il consiglio sarebbe colpevole).

Quando le regole si cominciano ad interpretare per gli avversari, poi qualcuno le interpreta per gli amici. Sarebbe stato dignitoso rispondere la verità quando Craxi chiese a tutti di pronunciarsi se erano esenti da peccato. Nessuno lo fece, erano falsi, mendaci.

Forse per questo la sinistra non affascina più, era la parte delle idee, delle utopie, è la parte di quelli che hanno barato con la storia. Erano moralisti non morali. Tutto qui.

Naturalmente crediamo nella innocenza degli amministratori del Pd, crediamo che dimostreranno nei fatti la loro estraneità agli addebiti. Avremmo tanto gradito che avessero usato la stessa cortesia nei confronti di socialisti e democristiani, è troppo. Non arriveranno le monetine a Veltroni, non andranno esuli all'estero i dirigenti del Pd per fortuna. A giocare con i giudici ci si fa male.

La prima pagina di Sabato 20 Dicembre 2008

giovedì 18 dicembre 2008

Senato e Popolo di Latina e la non festa (editoriale del 18 Dicembre 2008)

Lidano Grassucci



Oggi Latina fa il compleanno. Auguri, prima di tutto, perché la festa é un atto di sfida alla piatta normalità. Il problema é che questa é la festa di una città, non dei cittadini. Perché Latina é nata (aveva un altro nome, ma ho un certo ribrezzo nel ricordarlo per via del mio odio per i dittatori) perché qualcuno a Roma aveva deciso così. Non é nata infatti dove il fiume si stringe, dove si può guadare, non é nata dietro un porto da cui si può arrivare e partire, non sta neanche in alto per potersi difendere dai mori. E’ l’unica città che sta dove gli uomini non avrebbero mai fatto una città, ma dove i geometri potevano coltivare un sogno: fare case senza vincoli di mare, fiumi, o colline.
Una città da laboratorio. Tutto quadro e squadro, tutto ordine e disciplina, tutto un credere.
Festeggiate la città, c’è sempre una ragione per far festa. Ma vorrei, un giorno, festeggiare i cittadini.
Sul simbolo di Roma c’è la sigla SPQR, una cosa che mi ha affascinato per via dei giochi di parole che stavano nelle strisce di Asterix il gallico che trasformavano la sigla in “Sono Pazzi Questi Romani” o in “Sono Porci Questi Romani”.
Oderzo, l’autore della striscia di Asterix, giocava tra nazionalismo francese e brogli sulla storia. Ma sapeva bene che era per quella sigla che Roma aveva conquistato il mondo, in quella sigla c’era il segreto di Roma. Perché quella città era il Senato e il Popolo di Roma. Erano i suoi cittadini.
Latina sarà città quando sarà possibile scrivere sotto il simbolo della città Senato e Popolo di Latina, una città libera, una città della sua gente.
Per questo oggi non faccio festa, ma auguro ai festanti tanta fortuna e di pensare a quella storia del Senato e del Popolo, fa la differenza.

mercoledì 17 dicembre 2008

Fini, Chiesa, Italia e Curia (editoriale del 17 dicembre)

di Lidano Grassucci


Credo che ieri Gianfranco Fini abbia dimostrato ad un paese di codini, di baciapile che si possa essere italiani in un altro modo. Il presidente della Camera ha spiegato che le reggi razziali non possono essere relegate nelle sole colpe del fascismo, ma che attecchirono nella società italiana e “nel silenzio della Chiesa”. ianfranco Fini con questa posizione diventa il continuatore della destra laica e liberale che, e scusate se è poco, hanno fatto l’Italia una e libera. I chierici subito sono insorti, hanno portato tante argomentazioni, ma il silenzio di Santa Romana Chiesa rispetto al genocidio resta preoccupante. Come è preoccupante quell’antisemitismo che sta sopito dentro la coscienza nazionale. Ci siamo, per troppo tempo, nascosti dietro l’idea di “italiani brava gente” che era autoassoluzioni. “Il giudio è perfido”, ancora adesso ridiamo di battute come quelle del marchese Del Grillo che non paga l’ebanista Piperno perché: “E’ vero o non è vero che gli avi tuoi hanno ucciso Cristo, e io posso sta’ ancora un po’ ‘ncazzato”. Nel film di Luigi Magni “Nell’anno del Signore” il cardinale spiega a Pasquino innamorato di una giudia: “Ti confesso un segreto, questi giudii sono essere umani quasi come noi”. Gianfranco Fini rompe un tabù, spezza tanta ipocrisia nazionale. Racconto questo perché solo anni dopo Giovanni Paolo II va in sinagoga al di là del Tevere e chiama fratelli maggiori gli ebrei.
L’altro giorno il Papa, Benedetto XVI, ha elogiato la separazione tra Stato e Chiesa. Ma quando lo dicevano i liberali italiani, i suoi predecessori non erano dello stesso avviso. Monti e Tognetti per dire che Roma era italiana e il Papa non era un Re ci persero la testa per mano del boia papalino (era papa Pio IX che volete fare santo).
Santa Romana Chiesa, caro Caliman è grande, tanto grande.
Non eccepisco su cosa ci sarà al di là, quando sarò dipartito, se credete andate dai sacerdoti a chiedere lumi, discuto delle cose di qua, di questo mondo e non sempre, nelle cose di questo mondo, la chiesa ci prende. Non ci ha preso quando era contro l’Italia, non ci ha preso con gli ebrei. Potrebbe non averci preso nelle dimensioni della curia a Latina. Se cerco Dio? Mi interrogo e, non avendo certezze sulla vita terrena, non ne ho su quella dopo, se c’è.
Un edificio grande, che cambia il volto della città ha bisogno di discussioni, tra uomini. Delle cose di Dio non so.

martedì 16 dicembre 2008

Ma quanto è grande Dio (editoriale del 15 Dicembre)

di Alessia Tomasini

Sconcertata, senza parole. E’ stata questa la prima impressione che ho provato ieri durante la visita alla nuova curia vescovile di Latina. Una struttura immensa, pagata
con i soldi dei contribuenti. Un dono alla chiesa cattolica per molti. Uno sperpero per me che però, devo ammettere, convivo con un laicismo profondo. Appena entrata sono stata colpita dall’immensità, e vi assicuro non si tratta di un’esagerazione, degli spazi. Ero indecisa tra le stesse immagini e sensazioni che avevano suscitato in me il Louvre e la cattedrale di Notre Dame a Parigi. Il servizio d’ordine sembrava quello di un museo. Ho compreso, ripeto solo ieri, che l’immensità degli
ambienti era paragonabile solo a quello dell’unico impero/potere che sia riuscito a superare indenne il trascorrere dei secoli. Sono stata sempre convinta che la religione sia l’oppio dei popoli. Guardandomi intorno la mia opinione si è arricchita di due osservazioni e di due ulteriori certezze. La prima è che i preti sono tanti e muovono tantissimi voti. La seconda è che abbiamo una classe
politica ed istituzionale codina. C’erano più sindaci, consiglieri, deputati, ex senatori all’inaugurazione della curia che in qualsiasi riunione sullo sviluppo di questo territorio. E nessuno che abbia commentato in negativo la struttura come per paura che dall’alto qualcuno potesse fulminarli all’istante. Non voglio dire con questo che la curia non dovesse essere realizzata. Però le dimensioni mi sembrano spropositate. Quante abitazioni per famiglie disagiate, con le stesse risorse, sarebbero state create? Nessuno sembra essersi posto questa domanda così come nessuno ha detto che dall’esterno l’edificio è inquietante. Lo stesso presidente della Regione, Piero Marrazzo, era tutto sorrisi e baci mentre inneggiava alla capacità di comunicazione e di aggregazione che la curia può rappresentare. Uno sbrodolamento politico mai visto. Marrazzo ha dato piena disponibilità al vescovo per il futuro. Il governatore del Lazio vuole organizzare eventi culturali e colmare in questo modo il senso di solitudine che i cittadini provano. Ma non sarebbe meglio ridurre gli sprechi della Regione ed essere più presenti su questo territorio non solo a parole ma con i fatti? Magari con un capitolo di bilancio a sostegno della sanità, del sociale, dello sviluppo infrastrutturale e dell’occupazione. L’eccesso degli atteggiamenti, la platealità degli interventi, stonavano con tutto e oprattutto con il messaggio di una chiesa che dovrebbe essere di umiltà e di dedizione agli altri e che si è rivelata solo l’occasione per una parata. L’arredamento è sontuoso nella sua semplicità. Il Roof garden potrebbe ospitare la scena finale del Titanic o un paio di partite di calcio, formazione ad undici, o ancora una gara di pattinaggio. L’arena esterna sembra quella del teatro greco. Bellissima, per carità, ma quanto sarà sfruttata? Quanti avranno accesso al suo interno? Purtroppo quello che ho visto ieri non ha fatto altro che aumentare i miei dubbi e le mie domande. I fasti della chiesa allontanano dalla fede, alimentano velleità anche morali esagerate rispetto a quello che è la vita normale. Uscendo, dopo la cermonia, le luci degli interni della curia non mi hanno impedito di vedere il degrado della zona del Nicolosi, il palazzo sventrato e non ancora ricostruito.
La chiesa per me è altro. Posso dirlo anche perchè non mi devo candidare e l’unico voto cui aspiro è quello di Dio e senza intermediari. La chiesa del Sacro Cuore era stracolma per una sorta di conferenza stampa. Mi domando, per questa malattia della curiosità che mi uccide, quanti di quelli che erano presenti domani porteranno i figli in chiesa a sentire la messa, o all’oratorio per incontrare altri ragazzi, o ancora agli eventi organizzati dal gruppo degli scout dell’ Azione cattolica.
Quanti di quelli che erano seduti in prima fila si confessano e vanno in chiesa tutte le domeniche? Ancora una volta la politica non si è smentita. Si è presentata in pompa magna per dare prova di grandi gesti ma non è stata capace di dare prova di buon comportamento. Io in chiesa non vado e non mi confesso dal giorno della comunione e per dirla tutta sono stata anche cacciata dal catechismo. Però almeno sono coerente, o ci provo. La chiesa ieri era piena di persone che cercavano un “protettore” qualcuno che li liberasse dalla sofferenza, della solitudine e del ubbio. Spero lo abbiano trovato. Io ho visto solo un luogo immenso che mi ha fatto pensare che Dio è stato il miglior imprenditore di se stesso.

domenica 14 dicembre 2008

La questione morale e la morte della politica (editoriale dell'11 dicembre 2008)


Le cose mutano, come mutano le nuvole, ma le cose hanno ragione e memoria. Dico questo perché in questi giorni è emersa una questione, una domanda, che è stata rimossa da tempo, messa nell'angolo dell'ipocrisia. Sono emerse le conseguenze della questione morale che mise in campo Enrico Berlinguer, segretario del Partito comunista italiano. Partiva dal presupposto che davanti alla tragedia del "socialismo applicato", dietro la fine dell'utopia dell'eguaglianza di Stato, la diversità dei comunisti stava nella loro "superiorità etica". La questione morale è questione centrale nei totalitarismi, fuori dalla politica per i laici. Machiavelli aveva "separato" l'etica della politica. La politica era il "governo della città così come era", per le religioni (e poi per i totalitarismi) era uno strumento per
insegnare a vivere". La differenza sta in chi vede la politica come tecnica di governo per l'uomo così come è e chi la interpreta come scuola di vita per creare un "uomo nuovo", un uomo migliore di quello che è dato. Questa seconda modalità
ha bisogno di élite che "interpretino" il bene, che siano eticamente superiori. I
l leninismo crea il "partito per le masse" contro la visione menscevica(socialdemocratica, laburista, socialista) di un partito delle masse. Nel primo caso i membri del partito sono iniziati del vero (o della storia) nel secondo caso sono pari ai rappresentati. Nel primo caso sono sopra, nel secondo allo stesso livello.
Essere allo stesso livello significa essere parte delle virtù, ma anche dei vizi degli altri. Berlinguer tira fuori se stesso e i suoi da questa visione, loro sono "moralmente diversi". I socialisti, i menscevichi barano, rubano, si distraggono, amano i lussi, i comunisti no, mai. Questa differenza entra dentro la
società civile, dentro i nervi comunitari. Tanto che Gaber in "eravamo comunisti" sostiene: "eravamo comunisti, perché da noi il peggiore partito socialista
d'Europa"; "eravamo comunisti, perché Berlinguer era una brava persona".
E' la "questione morale" berlingueriana è il presupposto per l'offensiva giudiziaria degli anni '90. La moralità diventa l'unica categoria per la politica e mette dentro
la dicotomia bene-male che è propria della religione. La conseguenza è l'arresto dell'avversario che è, in quanto avversario, immorale, cattivo. I menscevichi, i
socialisti sono il nemico per eccellenza, sono come Jessica Rabitt: disegnati cattivi. La morte giudiziaria dei menscevichi italiani produce l'unica conseguenza
possibile, la morte della sinistra. Perché la sinistra in Europa o è menscevica, socialdemocratica o semplicemente non è.
Le categorie morali non stanno dentro l'internazionale socialista che è pragmatismo, che è politica come trasformazione del reale nell'aspetto materiale: migliorare
le condizioni degli ultimi ora e qui, non rimandare a paradisi futuri. La diversità etica significa, poi, l'affrancarsi da qualsiasi rapporto con le differenze del reale, la superiorità morale può prescindere dal consenso, dal bisogno volgare.
Il Partito democratico non è per sfamare gli affamati, ma per spiegare come si mangia. Se in tavola c'è companatico il pane è superfluo, basta mantenere l'etichetta, non ruttare, e saper usare le posate. Anzi l'avere cibo a tavola
è un problema ulteriore, nel senso che mangiando sul serio ci si sporca le dita e anche la tovaglia e si scompone l'ordine delle posate. La sinistra etica ha nel partito delle toghe la sua sublimazione, la sua realizzazione. E godeva di
buona stampa e buoni intellettuali: il suffragio universale, la democrazia non piace alle élites, la fame non è conosciuta da chi ha sempre mangiato
Ma quando i meccanismi si mettono in moto non si fermano, ora la "questione morale" è arrivata nelle amministrazioni diverse, quelle degli orfani comunisti e
non c'è speranza. Domenici, il sindaco di Firenze, è impotente giudici e Repubblica,
giudici e stampa non badano al consenso, alla buona amministrazione, serve una amministrazione etica. Serve La Pira, non Domenici.
Naturalmente non gioisco di questo "sistema", inorridisco di come la democrazia italiana si è suicidata, di come per via giudiziaria (morale) sia stato cancellato tutto il pensiero politico liberal-socialista dando la stura alla sopravvivenza
degli eredi del peggio del '900: il comunismo e il fascismo. Categorie che nel resto
dell'Europa non hanno senso mentre in Italia esprimono classe dirigente.