lunedì 28 giugno 2010

Giovani arditi, adulti pessimi



Lidano Grassucci



Siamo un paese di vecchi? O siamo una Nazione senza giovani? Credo che Fabrizio Bellini abbia ragione: “siamo una nazione di giovani codardi”. I tempi passati, è vero, sono sempre migliori. I tempi sono come certi vini strutturati migliorano se stanno fermi nelle botti dei ricordi.
Ho quasi mezzo secolo di vita, sono giovane o sono vecchio? Propendo per la seconda visto che il tempo che mi rimane è sicuramente meno di quello che ho vissuto, e l’esser passato si misura in termini di quantità dei ricordi.
 Come posso immaginare un futuro che comincia a non appartenermi più?
Come faccio a capire il presente se ho occhiali del passato? Quelli della mia età nel resto d’Europa sono capi, noi siamo ancora coda. E’ colpa di chi sta avanti? Ha ragione Bellini, è colpa della coda se la testa è salda al suo posto. Dice Bellini, ci sono giovani capaci e vecchi somari, ma anche vecchi capaci e giovani somari. Anzi, per Bellini, la seconda formula è più “popolare”.
Io credo che ci siano soltanto giovani senza audacia. Mi impressionò qualche tempo fa una scena in un ristorante: giovani italiani perfetti, elegantissimi, curati nei dettagli. Mi sono immaginato la scena spostata nel tempo quando era la mia generazione in quello strato: eravamo più brutti, decisamente poco eleganti e anche più crucciati ma…
Dietro una porta vetrata la cucina da dove, di tanto in tanto, si affacciava un ragazzo, il lavapiatti. Sarà stato indiano, pachistano: capelli nerissimi, pelle olivastra. Guardava i suoi coetanei che stavano producendo i piatti sporchi per lui. Aveva occhi vivissimi, aveva occhi che avevano visto la fame ed ora guardavano il “grasso” senza adipe dei suoi coetanei. Al tavolo italiano i ragazzi quasi non comunicavano, monadi condannate ad un rito sociale, lui, il piccolo indiano, era la cosa più viva che c’era. Lui era curioso degli altri, quei ragazzi perfetti, invece, non guardavano, non si facevano domande sull’”intorno”.
Le monadi avevano cenni di vita quando citavano “papà”, come se quella autorità riflessa li legittimasse nel ragionare sulla bellezza dell’ultima Maserati rispetto alla penultima Bmw. Il ragazzo indiano non parlava, non citava padri, madri, ma aveva negli occhi tante domande. Magari era disturbato dall’odore della carne di vacca, magari non capiva quel mangiare contenuto. Ma lui era vivo. Forse questo volevo dire caro Fabrizio, non ci sono gare sulle capacità dei vecchi rispetto ai giovani, dico che ci sono giovani che non sono giovani perché non si fanno domande, non hanno gli occhi curiosi dell’indiano ma quelli timorosi dei giudizio di papà.
Questo manca, la capacità di farsi domande. Vidi la mia prima Maserati sulla Pontina che non aveva ancora 4 corsie, il naso spiaccicato sul finestrino nella 1100 nera di zia Maria, era bella che ancora non capivo le curve delle donne ma era in nuce quella passione. Il tridente, il nome dell’auto quella di un vento il mistral, il maestrale e una volta a casa a cercare il libri per “avere” nella testa quella automobile: la storia dei fratelli Alfieri, Ettore ed Ernesto, la scelta del tridente di Nettuno che stava nella piazza di Bologna come simbolo, e le corse, i sogni. Poi non avevo bisogno di papà, a lui raccontai la storia di Alfieri. Certo la mia generazione, Maria Corsetti non me ne voglia per la citazione, è di falliti: volevamo far la rivoluzione ora “serviamo” il potere, ma avevamo sperato e ogni tanto, in sogno, speriamo ancora.
In fondo Fabrizio hai ragione: conta la qualità dei giovani, noi 50enni siamo pessimi adulti per quanto ardito fu il nostro sogno.

1 commento:

  1. E perché dovrei volertene?
    Io sono della generazione immediatamente successiva, quella che ha camminato sulle vostre macerie,
    No, non è stato un fallimento il vostro, ma una resa.
    Quasi che, una volta diventati adulti,vi foste imposto di essere almeno simili agli adulti che vi hanno preceduto. Ma tu, noi, nel mandare avanti questo giornale, a dispetto degli adulti che avevano pronosticato vita breve, ogni giorno dimostriamo che si può fare qualcosa. Ma costa. E tanto. In quel prezzo che paghiamo ogni giorno c'è il senso di chi ha deciso di non essere la copia, spesso brutta, di chi lo ha preceduto. Maria

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