mercoledì 11 agosto 2010

UTINA DAY - Fatica premiata da pane e vino

Maria Corsetti
Tocca, imo a montagna. Tradotto nello slang figaccio della fine del secolo scorso: «Andiamo a fare del trekking». Aggiornato agli ecologici anni ‘10 del terzo millennio: «Sabato facciamo una passeggiata sulla Semprevisa». Passeggiata? Tra sassi e macigni, tutta in salita, la meta che non si vede. Con il ronzio di una motosega che ti tiene compagnia e si propone come tramite con il mondo reale, quello tecnologico, che hai deciso di abbandonare un sabato mattina in favore della natura. Stai lì con gli anfibi della Harley Davidson, acquistati in un momento di euforia da liquidazione totale e lasciati nella scatola fino al giorno in cui finalmente sai cosa fartene. I jeans sono quelli residuati da quell’epoca comoda in cui era stata abolita la vita bassa e c’era spazio sufficiente per infilarci dentro tutte le rotondità. Dimenticati qualche decennio nell’armadio, tirati fuori in gran trionfo. La profezia si è avverata: prima o poi serviranno di nuovo. La maglietta è di ottimo cotone bianco così come i calzettoni. La felpa legata in vita, il bastone che te lo danno tagliato al punto giusto. Zaino con dentro: le scarpe di ricambio (hai visto mai che gli anfibi dovessero creare qualche problema), un telo per sdraiarsi bucolicamente sull’erba, evitando di schiacciare per via diretta gli insetti, bottiglietta d’acqua da riempire alla fonte. Il vino sta dentro l’utina, insieme a pane, prosciutto, pomodori e ciambella dolce. Via tutti insieme sulle strade degli antichi pastori. E già, la vita degli antichi pastori. Svegliati che ancora non fa giorno. Freddo, pioggia, neve. Scarpe lacere, altroché anfibi dell’Harley Davidson. Vestiti, non ne parliamo. 
Torniamo a noi. Siamo a metà percorso, ma non lo sappiamo. Gli autoctoni ci illudono: mancano solo venti minuti. Moltiplicati per tre. Alla fine si fa luce, si avvertono le voci di chi è già arrivato alla fonte Sant’Angelo. Gli ultimi metri in silenzio, la ricerca di una pietra che diventi un sedile, l’apertura dell’utina, la sensazione del pasto meritato. Il panorama è splendido: si vede Bassiano e dietro la pianura, il mare. Una distesa di verde e di azzurro. Il vino scende giù, toglie la stanchezza. Una mandria di cavalli ci guarda, è l’ora dell’abbeveraggio, ma finché ci siamo noi non si avvicinano. Basta spostarsi di qualche metro e finalmente possono arrivare alla fonte. L’organizzazione ha previsto anche un intrattenimento di musica popolare. Ci spiegano anche le particolarità dei Monti Lepini. Poi ci arrampichiamo di nuovo. Una salita ripidissima, ma breve. Per scendere sulla strada, arrivare a un prato, dove ci aspettano lacne e fagioli in un pentolone che sembra quello dei fumetti. 
Si fa ora di tornare. Farlo a piedi è l’ultimo dei pensieri. Meglio la navetta. Trekking sì, ma con moderazione. In fondo siamo prodotti di città. Gli anfibi ce li mettiamo per andare in discoteca. 

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