domenica 20 giugno 2010

L'ARCINORMALE - La lezione di Amedeo


 Lidano Grassucci
Mi colpisce l’articolo in basso, a pagina sette, de Il Corriere. Annuncia la morte a 101 anni di Amedeo Guillet. Un articolo fatto di poche righe. Direte voi, “ma chi è ‘sto Amedeo Guillet”? E’ qui il punto.
 Lui è stato quell’ufficiale italiano che un dittatore imbecille lasciò, insieme a tanti altri giovani italiani, a combattere con la bandiera e poco più a migliaia di chilometri di distanza dalla patria, senza possibilità alcuna di vittoria. Si trovava in Africa orientale con un gruppo di amhara, soldati che l’Italia non l’avevano mai vista, e non l’avrebbero mai vista, che in suo nome combattevano in quelle terre. Guillet guidò i suoi uomini a cavallo contro i carrarmati inglesi, quando il Duca Amedeo D’Aosta all’Amba Alagi, fu costretto alla resa perché non aveva più munizioni per combattere , e per questo ricevette dagli inglesi l’onore delle armi, Amedeo con i suoi Amhara continuò a combattere in nome del suo paese lontano e del suo re. Lo fece per mesi e in barba a tutte le autorità di Sua Maestà britannica. Poi attraverso lo Yemen e un viaggio lunghissimo tornò in Italia dove riprese le armi, in nome di giuramento di fedeltà al suo re, contro i tedeschi come il suo capo gli aveva comandato. Quando gli italiani scelsero la Repubblica e mandarono a casa il sovrano, lui fedele al suo giuramento, si dimise da militare perché non si può giurare fedeltà due volte e chi lo aveva fatto alla monarchia non poteva farlo alla repubblica e intraprese un’altra strada, quella della diplomazia. Quando a Londra in un ricevimento ufficiale un diplomatico britannico che era stato tra quelli che in Africa gli davano la caccia durante la guerra gli disse: “Lei signor Guillet è stato molto fortunato a non incontrarmi prima” di contro l’italiano gli rispose: “non sa quanto è stato fortunato lei a non incontrarmi prima”. Ecco, Amedeo Guillet, rappresenta quell’Italia per cui sono orgoglioso di essere italiano, non fatta di corsa in mutande con una maglia colorata, non fatta di vigliaccheria e fughe ma di dignità, di senso del dovere, e di rispetto di se stessi perché si è in grado di rispettare la propria nazione. Per questo, per dirla alla Giorgio Gaber, “io non mi sento italiano ma per fortuna lo sono”. Perché c’è stata gente come lui, perché ogni volta che passo davanti alla Sinagoga, davanti al tempio maggiore che sta in Lungotevere a Roma ricordo cosa significava la schiavitù dei preti che toccò alla mia gente, ricordo cosa significava essere servo di stranieri. Per questo oggi, quando questo Stato che è l’Italia compie 150 anni, ritengo fondamentale ricordare il meglio che siamo stati. E ritengo offensivo che Amedeo Guillet sia stato ricordato in un trafiletto in basso a pagina 7 mentre titoli a tutta pagina annunciavano ed elogiavano prove muscolari di uomini in mutande che inseguono una palla o radio locali che inneggiavano a patrie di cartone. Si muore sicuramente e ogni morte è per sempre. Ps La figura di Amedeo Guillet verrà ricordata in un articolo che pubblicheremo nel nostro giornale mercoledì prossimo a cura di Fabrizio Bellini. Non volevo raccontare la figura storica di Guillet ma testimoniare che c’è un altro modo di essere italiani che non è secondo a nessuno e neanche primo a nessun altro ma è semplicemente dignitoso e di cui si può essere orgoglioso. Ecco, sono orgoglioso di esser concittadino di uno che non si è arreso quando sarebbe stato facile farlo, che ha combattuto quando sarebbe stato difficile farlo, che è stato italiano quando è stato difficile esserlo.

1 commento:

  1. Un uomo straordinario, che meriterebbe ben altra fama in Patria. Mi adopererò per farlo conoscere.
    So che la morte è nel destino di tutti, ma mi perdonerai se sono dispiaciuta per la scomparsa di quest'uomo così grande eppure così umile.
    Lucilla

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