sabato 26 dicembre 2009

L'ARCINORMALE - Orologio e crocifisso

Lidano Grassucci



“Adesso cosa chiedo al Vescovo?”. Mi faccio questa domanda mentre vado dal Vescovo di Latina, è la vigilia di Natale, è già la mezza e la città si sta “ritirando”, le strade cominciano ad esser vuote e il tempo si fa lento. Non è un Natale da cartolina, anzi l’aria è un po’ di primavera. La domanda che mi faccio è cretina per un giornalista, come se una bimba si chiedesse “cosa ci farò con la mia bambola?”. Ci accoglie un sacerdote sorridente, entriamo al vescovato da via Sezze, cancello banale, verde, e nulla che richiami la potenza ricca del Rinascimento, o la severità controriformista. Una casa, da questa parte. Entro, sulle pareti riproduzioni di quadri di mistiche e crocifissi i cui originali stanno a Sezze, a Priverno o a Terracina, le mamme di questa diocesi. Cosa chiedo al Vescovo. Mi accoglie con un sorriso aperto: “è il mio alloggio, vieni ti mostro…”. Un camino, un televisore, arredo che assomiglia tanto a quello delle vecchie signore di paese. Mentre parla penso alla mia domanda e mi guardo intorno. Lui è tutto un simbolo: il copricapo viola che indica la sua condizione nella Chiesa, l’abito che significa che è sacerdote, e il crocifisso grande che sta sul suo petto. Penso, e io? Ho un orologio, solo un orologio. Un misuratore di tempo che indica che per me il tempo è un giro d’ingranaggio: chi ho davanti pensa che il tempo sia un percorso in un disegno. Che differenza. Lui, il Vescovo, mi parla di una Chiesa conciliante: “Noi abbiamo riconosciuto i nostri errori, siamo stati gli unici”. Poi continua: “Non credere che Galileo fosse così nel giusto, anche lui aveva degli assoluti. Pensava che la matematica, la sua matematica, fosse indiscutibile, uno scienziato di oggi inorridirebbe”. Già, ma non è che il Cardinale Bellarmino fosse meno convinto del suo. Diciamo che erano tempi “assoluti”. Sta di fatto che ora siamo seduti uno davanti all’altro e lui esordisce: “è la parola, il Verbo, che si è fatto carne”. Ecco, mi domando, come lo spiego, come lo capiscono, che la parola diventa vita, ragione di vita. Speranza? Come lo spiego a un mondo dove la carne è la fettina e sta in contenitori di polistirolo coperto con un film di plastica?
Ascolto e chiedo: “la nostra società ha perduto la prospettiva”, incalza. Già, come dargli torto, la fettina nel contenitore è rispetto al tempo questa idea che esista solo il presente, che annulla tutti i passati e non immagina il futuro.
Già, penso che quel crocifisso che ha sul petto questo voglia dire: guardate che c’è un passato, lungo, e c’è una idea di domani che è “speranza”. Il vescovo distingue tra egoismo e narcisismo, tra l’idea di un mondo concentrato in se stessi e quello di un mondo per se stessi. Non entro in questo merito, so che con l’ingranaggio del mio orologio misuro il tempo, lui, il vescovo con quel crocifisso testimonia il tempo passato e “crede” nel futuro. Robe, direbbe una persona che conosco, da occidente che sono occidente. Oggi Galileo avrebbe dei dubbi sulle sue certezze matematiche, Bellarmino sarebbe capace di chiedergli scusa per quella terra che doveva stare ferma eppure si muoveva.  

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