domenica 27 dicembre 2009

Buon Natale... ragazzi


Fabrizio Bellini

Vivo ancora nella casa di mio nonno. Il tavolo da pranzo è per sedici persone. A Natale, quest’anno, eravamo in nove. Sette sedie vuote, troppe. Natale in pochi? No, tutti quelli che restano di una bella, classica, famiglia italiana. Il mio, purtroppo, è un caso molto comune: i vecchi se ne vanno e i giovani non fanno figli. Mancano i “rimpiazzi”. Questo è il terzo millennio e per adesso non mi sembra un gran che. Gli auguri calendarizzati prevedono spesso formule banali. Si va da “Auguri di Buon Natale e felice anno nuovo” a “Buon Ferragosto”  passando per “Buona Pasqua”. Al Nord, più prosaico e attaccato al soldo, spesso sostituiscono “felice” con “prospero”. Per noi romani il “prospero” è solo un fiammifero e quindi non l’usiamo. Si mandano in circolarità con gli sms. Ne scrivi uno ed è buono per tutti. Frasi senz’anima che sostituiscono i delicati bigliettini personalizzati di una volta. Però vuol dire che almeno qualcuno ci ha pensato. Secondo me, no, significa che ci ha messo in rubrica, e basta. Che tristezza! Abbiamo perso il sentimento, conserviamo solo la forma. Senza grandi emozioni e con poche pretese. Comunque quattro, miseri, giorni di auguri l’anno: Natale, il 31, Pasqua e il 15 agosto. E gli altri trecentosessantuno? Ecco, i miei auguri sono per questi e sono rivolti a tutti coloro che sono in età e in condizione di moltiplicarsi: “auguro, a chi può e dovrebbe, di “fare” ogni giorno dell’anno. Festivi, il doppio, mattina e sera”. Insomma , chi è in grado di mettere al mondo figli, lo faccia. O almeno segua scrupolosamente la procedura. Tenti, si impegni, non si risparmi, “faccia”. Non dia retta a nessuno e “operi” in libertà. Prima o poi qualcosa succederà. Se non altro saranno contenti il Papa e l’Inps e poi, se mi ricordo bene, non è neanche una cosa molto noiosa. Il Natale di noi sessantenni con figli adulti ma prudenti, stanchi, preoccupati, timorosi perfino di sognare, sta diventando una tragedia. Troppe sedie vuote intorno a noi, ognuna con un ricordo che non si scioglie nel sorriso di un bambino. Nessun giocattolo sotto l’albero, solo cravatte e foulard, nessuna speranza. Viva i bambini, qualcuno li faccia. Riprodursi . Su questo punto c’è accordo perfino tra evoluzionisti e creazionisti. Si beccano solo su come si è cominciato, questione importantissima, ma io voglio discutere sul perché da noi si è smesso. E’ vero che il mio operaio indiano in tre anni ha messo al mondo due pargoletti e quindi, demograficamente, il conto torna, ma mi chiamano saib e invece io voglio un mostriciattolo tutto mio che mi chiami nonno. Ho voglia di vita. La nostra, in famiglia. Credetemi, come me c’è un sacco di gente. Leggo che le colpe sono nostre. Che abbiamo educato male i figli, che li abbiamo protetti troppo, che addirittura li abbiamo trasformati in bamboccioni. Ce lo dicono i soloni della politica, a prescindere dalle appartenenze. Quelli che mettono la famiglia e i giovani al centro dei loro programmi elettorali e poi, quando sono al governo di qualunque cosa, se lo scordano. Niente quoziente famigliare, occupazione giovanile, salario d’ingresso, mutui agevolati, piano casa, lotta al criterio di anzianità, valorizzazione del merito,  finanziamento degli studi universitari, ecc ecc. Posso andare avanti  fino alle due parole magiche che racchiudono tutto il politichese insulso del mondo: spirito di servizio e politica sociale. Madonnina mia, non si possono più sentire, figuriamoci crederci. Se la politica non crea e mantiene le condizioni di una socialità minima e di una fiducia generale, come fanno i giovani a trovarle in se stessi? Un esempio piccolissimo ma significativo: pochi giorni fa, a Latina, in Consiglio comunale si dovevano approvare i sussidi per gli indigenti e gli ammortizzatori delle zaccheiane strisce blu. Cioè soldi a chi ne ha bisogno e serenità a chi lavora; che c’è di più sociale di questo? Bene, invece di discutere, la maggioranza se ne è andata e l’opposizione pure. Sono rimasti pochi simil-sessantottini a occupare l’aula. Da una parte hanno fatto capire che era un messaggio in codice per il Sindaco, dall’altra che era un modo per evidenziare la crisi della maggioranza. La tattica più che la strategia. I dettagli più che la sostanza. I mezzi più che i fini. L’interesse di bottega più che quello generale. Morale: la politica di quartiere è quasi sempre stupida e troppo spesso affidata a uomini inadeguati che non ne capiscono neanche il significato e gli obiettivi. Così mentre loro si compiacciono della propria furbizia gli indigenti si scaldano battendo i piedi per terra e chi non può spendere per il parcheggio, cammina. E noi li paghiamo, gettoni di presenza compresi, per queste belle pensate. In che si dovrebbe avere fiducia? Se il mio indiano mi presta un bambino voglio portarlo da uno di questi geniacci e metterglielo in braccio. Spero che gli faccia almeno la pipì addosso. Ma conto anche su qualcosa di più. Sindrome da Bambinello? Ok, forse è vero, comunque ne vorrei discutere, ma a Natale siete tutti più buoni e in ogni caso, mi perdonerete. E voi ragazzi, fregatevene e …“fate”.

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