venerdì 14 maggio 2010

L'ARCINORMALE - Lidano e l’identità



Lidano Grassucci

Libano, Lidiano, Lidànno e potrei andare avanti all’infinito. Ho avuto in dote dalla mia famiaglia e dalla terra da dove vengo questo nome, Lidano che non è facile da portare. Come se fosse un marchio di un tempo che stride con Luca, Marco e Jonathan e via dicendo. “Ma che nome è…?”.
Già che nome è questo nome? Ci incontriamo a Sezze, il paese che se era “identitario” lo doveva anche a questo nome. “Lidano? Sei di Sezze”, facile comprensibile, originale, unico. Oggi ti chiami Luca e sei Luca di Bolzano o di Catania, è uguale. Sono con Lidano Marchionne, comandante della polizia municipale di Latina e Lidano Caldarozzi, comandante della polizia municipale di Sezze, tre Lidano: “si potrebbe battezzare un asino”, come dice il vecchio adagio: ma non ci sono più i Lidano e neanche gli asini sono tanti.
Caldarozzi presenta un foglio: “164 Lidano a Sezze, 170 nel resto del mondo, l’ultimo che si è chiamato così è nato nel ’97, poi niente. Nel terzo millennio niente…”.
Già niente, finito, chiuso, terminato: non ci saremo più, queste terre nostre diventeranno un po’ più periferie, un po’ meno qualcosa.
“Ma che nome è?” ci chiedevano quando stavamo fuori e noi: “perché siamo di Sezze, è il patrono. Poi nonno si chiamava così, e anche suo nonno…” “e su ‘sto nome ci abbiamo quasi fatto una guerra noi di Sezze, contro Sermoneta, poi l’abbiamo risolta con una ordalia, con il giudizio di Dio, ed è stato il Signore che ha fatto ‘setino’ Lidano”. Parecchi imbarazzi da timore per gli esami all’università si sono mitigati con la necessità di questa spiegazione.
Poi Civita d’Antena il paese in Abruzzo dove è nato Lidano il santo, la parola del Signore che arrivava, attraverso lui, alle paludi ad uomini che non erano, forse, neanche umani. Lidano li ha fatti cristiani che non è farli di una religione ma farli “umani”. Nonna Pippa distingueva la vita che popolava in questa terra tra cristiani e animali, in questo senso Lidano è la nostra comunità.
 Ora? Luca, Matteo uguale.
E’ un maggio rigido siamo ai Colli, alle fratte, luoghi che mica puoi confondere con altri. Conosciamo gli angoli di questo posto: “tu l’hai mangiata l’erba cite?”. Era aspra di sapore, come un succo di limone che ti buttavano in gola, e facevi “la sgregna” (la smorfia) e correvi in quel posto che non poteva essere altro.
Andiamo alla processione del 2 luglio, così per testimoniare che ci siamo, che siamo la prova che questa comunità esiste da secoli che c’è stato un progetto di “rimozione”, questo nome che portiamo è prova di storia, di identità di non omologazione, di partecipazione al mondo non da gregari ma da protagonisti. Perché le comunità chiuse ed egoiste sono inutili, ma quelle vuote sono madri di uomini massa, di recipienti umani da riempire. Nonno si chiamava Lidano, il nonno di mio nonno si chiamava Lidano, mio nipote (se sarà) non si chiamerà Lidano.
Ci guardiamo siamo musei umani. Arriva Titta Giorgi che chiama “Lidano..” . Poi ci pensa e ride: “se atecco su tre, manco posso di’ Lidano di Sezze”. L’unica volta che eravamo tanti.
Ma questa storia di questo nome chi la conosce? Che triste un mondo dove muoiono i nomi, dove uccidono le parole. Se ci chiamiamo Lidano e siamo cittadini del mondo perché con le radici salde in questo posto. Fa freddo parliamo in italiano, ma sempre più torna la vecchia lingua, le facce. Lingua e facce che è popolo.

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