domenica 14 marzo 2010

“SO’ FINITI I TRIBBBUNALI”


 Fabrizio Bellini
Si chiama Mauro, pesa cinquanta chili, è di Testaccio ed è da lui che, da sempre, faccio il pieno al motorino. Insomma, è “er benzinaro” mio. L’uomo più spiritoso, acuto, pungente e colto che conosco. Un concentrato vivente di arguzia e di saggezza popolare. Ieri, m’ha detto: “a Fabbri’, mo che so’ finiti i tribbbunali e se l’è ggirati tutti, Sirvietto bello ha da smette de rompe li cojoni e ce deve parla’ de sordi”. Tanto ridevamo che alla fine la benzina è traboccata. Come la pazienza di tanti elettori di centro-destra. Però è vero, le cose stanno proprio così. Con il rigetto del Consiglio di Stato, ci auguriamo tutti che si sia conclusa la stagione delle carte bollate e si passi alle cose serie. Se cinque diversi collegi giudicanti hanno detto la stessa cosa, ovvero che la lista romana del Pdl non può essere ammessa, è statisticamente molto probabile che abbiano ragione loro. Cinque su cinque e tanti complimenti agli avvocati del Popolo delle libertà. Bravi, bello staff. Il cento per cento di no è una percentuale indiscutibile e rende anche incredibile la tesi del complotto giudiziario. Contemporaneamente accredita quella che inchioda i presentatori della lista all’accozzaglia dei “deficienti allo sbaraglio” che non sanno quello che fanno. Questi hanno scelto, questi hanno voluto, questi si meritano, “e mo, co’ chi ve la volete pijà”? Finiti i ricorsi, volesse Dio, può riprendere la campagna elettorale. Una grande novità, tutti in piazza. Il Pd, come al solito, non essendo un partito ma solo un replicante, ha cominciato male. In piazza non c’era nessuno, venticinquemila persone. Poco di più dei clienti abituali del Bar Rosati che da una vita anima piazza del Popolo a Roma. In aggiunta Paolo Ferrero, Fausto Bertinotti, Guglielmo Epifani, Bersani, Vendola, insomma, in questo ha ragione il Cavaliere, il vecchio Pci. E’ arrivato perfino Armando Cossutta. Di Pietro non conta perché uno che in politica si autocensura e si autocelebra dichiarando che non dirà quello che pensa perché non conviene, va al di là del definibile. La novità è che per una elezione regionale alla quale non concorrono, si sono mobilitati anche i leader dei partiti scomparsi. Per ritrovarli, fino a ieri, bisognava frugare negli scaffali di una unica amministrazione locale, quella pugliese. Come i panda nello zoo di Tokio. Infatti a parlare della Regione Lazio, a Roma, c’è venuto Nichi Vendola che è il Governatore della Puglia. Bari non mi sembra la stessa cosa di Roma e il Lazio in comune con la Puglia ha solo il mare. Anzi, è diverso pure quello. Chissà che prima o poi dal Piemonte non arrivi anche la Bresso a spiegarci che il Barolo è comunque un vino e che la Sindone è uguale a San Pietro. Dio mio, che brutta immagine. Ecco, questo è il punto, che brutta immagine dà complessivamente la politica italiana. L’idea che da queste miserie piazzaiole o dalle scale delle cancellerie dei tribunali, possa uscire qualcuno che per i prossimi cinque anni si occuperà del mio ricovero in ospedale, mi fa rabbrividire. Pure Mauro è preoccupato e mi ha detto: “me pare la storia de Gesù e Barabba”. - “E perché?” - “Gesù è er bene. Pe’ la destra è Berlusconi. Tutto er bene de la tera. Pe’ la sinistra n’se sa, perché è bbono chi te pare. Barabba è er male. Pe’ la destra so’ li communisti, tutto er male der monno. Pe’ la sinistra er peggio è er Cavaliere, che è più brutto de Belzebù. Er popolo c’ha da sceglie. Quanno che l’ha fatto pe’ davero ha scerto Barabba, er male” – “Beh, che vor dì?” – “Facile, no? Vor dì che, sia come sia, er bene nun lo sceglie mai nessuno perché è noioso e faticoso. ‘N ammette deroghe. Er male invece è divertente perché è trasgressivo e se rinnova sempre. Lo poi fa come te pare. Conosci ‘n Santo allegro o che t’ha fatto ‘nvidia? Nooo? E ‘na peccatrice? Quella sì, eh, quella sì che t’attizza. E allora pensace, a commannà c’ariva sempre un gran fijo de na m…tta”. Certo, messa così è una pasquinata, ma a pensarci bene viene in mente che in una contrapposizione così estrema e definitiva, così dura e ingenerosa, così radicale e assoluta, chi perde sarà crocefisso. Il bene. Chi vince e “commannerà”, sarà comunque il male assoluto. In buona sostanza nessuno vuole riconoscere il valore dell’altro e mai ne legittimerà il successo. Chi perderà si sentirà vittima e chi vincerà sarà visto dall’altro come un imbroglione. Da questa idea popolare nasce l’odio, l’inconciliabilità, l’inefficienza, la paralisi, il conflitto permanente. In sintesi, il danno collettivo, il male per tutti. Ricorso dopo ricorso, intercettazione dopo intercettazione, insulto dopo insulto. In una democrazia non dico evoluta, ma almeno civile, non dovrebbe funzionare così. Diceva Mauro “certo, se non vince mo, er piddì è mejo che se scancella. Sta a giocà da solo”. E’ proprio così. Questa è la tornata elettorale più anomala che si possa immaginare. Se dovesse vincere il Cavaliere, ha chiesto una scelta di campo a prescindere dai candidati, bisognerà prendere atto che la gente è con lui. E la democrazia si basa su questo principio senza chiedersi tanti perché. Se dovesse perdere potrà invocare tutte le attenuanti del mondo. Il Pd non avrebbe scuse. Deve solo vincere. Che poi possa essere scambiato per la succursale di Di Pietro e dei radicali è un’altra storia. “Quant’è Maurè?” – “Cinque euri” – “’N ce l’ho. Ciao, te li porto domani”.

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