Elena Ganelli
Ergastolo con isolamento diurno per 15 mesi e senza alcun tipo di attenuante. Sono passate le 16 da pochissimi minuti quando la Corte d'Assise di Latina (presidente De Angelis, a latere De Robbio) esce dalla camera di consiglio durata meno di un paio di ore con la sentenza per l'omicidio di Massimo Pisnoli. L'imputato, Gabriele Piras, 48 anni, chiamato a rispondere di omicidio volontario premeditato, sequestro di persona e detenzione illegale di armi, non c'è in aula come del resto non c'è stato nelle ultime udienze del processo: ha rinunciato. Ci sono invece la sorella della moglie della vittima e la figlia minore Martina ad ascoltare il verdetto che commina all'uomo il massimo della pena.
Questo aveva chiesto nella sua requisitoria durata circa un'ora il pubblico ministero Raffaella De Pasquale a conclusione di una ricostruzione dei fatti e della personalità dell'imputato dai tratti chiari e quasi brutali. Massimo Pisnoli venne ucciso il 7 agosto 2008 nel parcheggio della stazione ferroviaria di Campoleone con due colpi di fucile dopo essere stato costretto in via Ardeatina a Roma a salire su un'auto con lo stesso Piras e Giuseppe Arena, già condannato all'ergastolo durante il processo con rito abbreviato svoltosi lo scorso anno davanti al gup. Una vera e propria esecuzione quella dell’ex suocero del calciatore della Roma Daniele De Rossi, come ha ricordato ieri il rappresentante dell'accusa ricostruendo i passaggi di quella giornata e il contesto nel quale si muovevano i rapporti tra vittima e omicida: il bottino di una rapina messa a segno insieme in un istituto bancario di Roma e non diviso, le prove raccolte dagli inquirenti e soprattutto la confessione dell’imputato provano per il pm la totale responsabilità di Piras con tanto di premeditazione e tale da non meritare alcuna attenuante.
«Piras ha assunto un atteggiamento processuale non meritevole di benefici- ha scandito il pubblico ministero - e ha deciso di confessare solo ed esclusivamente per evitare l’ergastolo: è una persona socialmente pericolosa che deve essere condannata e senza attenuanti visti anche i precedenti specifici per omicidio». Una richiesta alla quale si sono associati anche i legali di parte civile tra i quali Ceare Placanica e Giuseppina Tenga che ha ricordato l’atteggiamento processuale arrogante di Piras, giunto a minacciare in aula i familiari della vittima e che per l’intera durata del processo non ha mostrato alcun segno di pentimento. La difesa invece ha invocato il minimo della pena e le attenuanti in virtù dell’atteggiamento collaborativo dell’uomo.
La Corte dopo meno di due ore è rientrata in aula con una sentenza di piena condanna a carico dell’uomo riducendo di soli tre mesi rispetto alla richiesta dell’accusa la durata del periodo di isolamento diurno.
I giudici non hanno riconosciuto nessun risarcimento ai familiari della vittima: per questo si dovrà attendere il processo civile.
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