Lidano Grassucci
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha parlato agli italiani per capodanno, sul tavolo due libri uno di Benedetto Croce, uno di Leo Valiani. Il presidente viene da un tradizione distinta da quella di questi due autori: Croce è uno dei padri del liberalismo europeo e Valiani viene dal Partito D’Azione e dal socialismo laico. I libri sono lì, li vedo, ma cosa c’è di quella storia laica e socialista nell’Italia di Napolitano (intendo come presidente della Repubblica) di Berlusconi, di Bossi, di Di Pietro, di Bersani, di D’Alema? Cosa c’è, intendo, della idea della libertà di ciascuno da qualsiasi arbitrio, anche quello dello Stato, di Croce? Cosa c’è dell’idea di un paese dove la giustizia sociale, le libertà civili, non fossero seconde, né prime, all’eguaglianza?
Chi conosce Valiani? Chi ricorda in questa Italia, dove si litiga di nulla e si fanno le cose sempre con la stessa pasta, l’idea della storia come percorso della libertà?
Si sta sviluppando su queste colonne un confronto che prende spunto dalla figura di Bettino Craxi. Temo che nel ‘92/’93 quando la vicenda Craxi fu al suo apice in troppi, con Craxi, volevano liquidare la storia socialista, l’idea di una Italia laica e libertaria. Quella idea che voleva lo Stato arbitro della giustizia sociale, ma neutro rispetto alla vita dei singoli ogni giorno, che poneva l’idea della felicità su questa terra come libera scelta di ciascuno, come fine delle opportunità che erano per ciascuno eguali. Valiani e Croce dietro il presidente Napolitano testimoni di una Italia che poteva essere ma non è stata.
Gli italiani sono troppo presi dalle evidenze della Chiesa, troppo dalla sicurezza che davano idee come “farem come la Russia”. Siamo sempre stati divisi tra chi era a favore del Papa e chi del principe tedesco, francese, spagnolo (o russo) di turno.
C’era in Valiani e Croce il segno, per la prima volta nella storia, di una Italia degli italiani. Loro per la prima volta credevano in una etica civile che avrebbe consentito di accettare Fedi differenti, etiche private plurime. Con Craxi questa idea stava per diventare di “massa”, parve a noi socialisti che potevamo fare di un paese medioevale un paese che riprendesse il suo tempo. Andò diversamente, non entro nelle responsabilità individuali di Craxi (su cui ho molti dubbi), ma dentro la criminalizzazione del socialismo che ne è seguita.
Il moralismo che sta nella idea della “diversità comunista”, nella ascesi di molti cattolici democratici che si muovevano sul solco di La Pira è il profondo sentire di un popolo che ha sempre “esternalizzato” la morale alle chiese.
Pasquale Gagliardi mi chiede che merito storico e politico abbia avuto Craxi. Ha provato a creare una politica delle scelte individuali, della libertà di ciascuno e, consentimelo, di accettare il successo e la felicità non come dono del demonio, ma frutto delle proprie virtu’.
Dice: ma e è fuggito! Non erano tempi di giustizia, ma di gogna.
Con questo non assolvo Craxi da questioni gravi legate alla sua prassi politica, ma non era malato il socialismo. Una strada a Craxi? Sì perché sarebbe la strada di Turati, di Treves, di Ivanoe Bonomi, di Riccardo Lombardi, di Sandro Pertini, di Giuseppe Saragat, Pietro Nenni.
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