Pasquale Gagliardi
No, caro direttore, stavolta non sono proprio d’accordo con te.
Va bene l’orgoglio socialista, ma “Il Territorio” di questi giorni sembra “L’Avanti” dei primi anni ’90.
A sostegno delle tue iperboliche tesi (riassumo: Bettino Craxi per il suo spessore di statista merita di dare il nome non solo a una strada di Milano, ma all’intera autostrada del sole) arriva su queste colonne il contributo di una penna di valore nazionale come quella di Orfeo Notaristefano.
Credo che la memoria di un periodo storico non si esalti né si cancelli per una targa all’inizio di una via o per una indicazione da digitare sul navigatore.
Per proseguire con i paradossi, a Craxi possiamo quindi dedicare anche una catena montuosa o una vallata o un borgo da valorizzare (magari nella fantastica terra di Lepinia), ma utilizzando, per favore, argomenti che non offendano l’intelligenza di chi ha vissuto quella fase, che abbiano un minimo di coerenza con l’oggettività della storia e che lascino ai giovani di allora e di oggi la dimensione nitida di certi fenomeni.
Con Di Pietro impegnato a fare la caricatura di se stesso in versione talebana, in questo momento è semplice sminuire in chiave politica il lavoro di un gruppo di magistrati che ebbe il merito di farci riflettere su che cosa eravamo diventati.
In quella Italia tutto era mercimonio, sguazzavamo felici sul Titanic di un debito pubblico abnorme, parte del quale alimentava ingenti ricchezze private, eppure né la politica, né la cultura, né la chiesa se ne preoccupavano o sviluppavano possibili anticorpi.
Qualche investigatore troppo curioso e qualche pubblico ministero invadente (qualcuno si ricorda di un certo Carlo Palermo, nemico giurato ante litteram di Craxi?) finiva a “dirigere il traffico”.
Chi si professa socialista può giustamente rivendicare l’apporto di quelle idee al progresso del nostro paese : si pensi alle battaglie per la nazionalizzazione della energia elettrica, al serio e intelligente contributo alla secolarizzazione della società con la legge sul divorzio e il nuovo diritto di famiglia, alla rivoluzione copernicana operata dallo statuto dei lavoratori.
Attenzione, sono tutti eventi precedenti all’era Craxi.
Ditemi “qualcosa di socialista” fatto da Craxi.
No, lui innestò su quella tradizione politica e culturale un piglio, come dire, manageriale.
Utilizzò magistralmente il 10% scarso del suo PSI come una “golden share” del potere, guidando in prima persona il governo per un lungo periodo e occupando con i suoi epigoni amministrazioni locali, enti derivati, banche, insomma tutti i luoghi strategici della politica e dell’economia.
La sua realpolitik passava come uno schiacciasassi sulla stanca e spenta dirigenza democristiana dell’epoca e su qualunque oppositore interno (ne sa qualcosa il compagno nostrano Massimo Passamonti, che si vide inopinatamente commissariare la federazione di Latina).
Insomma, Craxi riuscì a sublimare e cesellare modalità di esercizio del potere che la Democrazia Cristiana aveva già inventato ed affinato, ma per le quali si avvicinava ineluttabile un redde rationem che non seppe intuire.
Sarebbe ora di smettere di ammantare quell’esito di un’aura romantica con epigrafi del tipo “ha pagato solo lui” oppure “è morto in esilio”, che offendono davvero la dignità e la statura di un uomo politico che, nel bene e nel male, ha retto l’Italia per circa un decennio.
Non solo Craxi, ma una intera classe dirigente di questo paese è stata spazzata via in quegli anni.
Alcuni hanno avuto il coraggio di sottoporsi alle forche caudine di quelle regole istituzionali e giuridiche che loro stessi avevano contribuito a creare o ad innovare, magari uscendone e sottoponendosi di nuovo al giudizio degli elettori.
Altri hanno scelto deliberatamente una via d’uscita drammatica ed epica, che merita rispetto per la fragilità umana da cui deriva e che ci affratella tutti, ma che non può non apparire abnorme se si considera che la classe politica è parte di una nazione democratica e deve necessariamente non solo produrre ma anche accettare regole, riti e sanzioni.
E nessuno è morto in esilio.
Non c’era un regime in Italia, allora, c’erano leggi e istituzioni preposte al loro rispetto, c’erano uomini (magari fallaci ) a cui lo stato affidava il compito di giudicare altri uomini in ben tre livelli giurisdizionali; in quel contesto la fuga era una scelta (discutibile), di sicuro non una necessità.
Un uomo non meno potente di Craxi, Giulio Andreotti, accusato di reati di gran lunga più gravi ed infami, ha affrontato a testa alta per un decennio le aule giudiziarie, sentendosi attribuire gesta esecrabili, ma oggi è ancora nelle istituzioni.
I cantori del leader socialista fanno riecheggiare spesso come testamento morale e prodromo dell’”esilio” il famoso discorso alla Camera in cui Craxi proclamò che il sistema delle tangenti era un male necessario al finanziamento della politica e chiamò come correi tutti i partiti.
Disse cose tremende, crude, vere, ma chiedo agli amici socialisti : se era un grande statista perché era rassegnato a quel sistema ? Si era mai posto il problema di adottare qualche contromisura sul piano economico e morale ? Perché lo enunciava solo dopo le indagini del pool di Milano ? Perché appena qualche mese prima il suo sodale Mario Chiesa era solo un volgare “mariuolo”?
Quanto alla fantomatica “spectre” legata ai narcotrafficanti che avrebbe ordito l’ignominiosa fine politica di Craxi, caro Notaristefano, la tesi è singolare e spericolata.
Ci mancherebbe altro che il capo di governo di una nazione occidentale civile ed evoluta non condannasse in tutte le sedi internazionali il traffico di stupefacenti.
Peccato che qualche signorina D’Addario dell’epoca raccontasse come nella Milano da bere o nei salotti romani in cui i craxiani impazzavano la cocaina comparisse in dosi copiose a ravvivare le serate (d’altronde anche le amministrazioni di Berlusconi e di Marrazzo sono contro la prostituzione e l’uso di stupefacenti, ma non credo che saranno ricordate per la loro lotta a questi fenomeni) .
Peccato che mentre Craxi ostentava il suo machismo politico a Sigonella o contro i narcotrafficanti, i suoi seguaci si spartivano (non da soli, beninteso) le già esangui risorse del sistema sanitario e gli appalti pubblici miliardari (c’erano le lire).
Era un male necessario ?
Dovevamo pensarci noi, con i prelievi alla fonte sulle nostre tasse e con l’insostenibile peso del debito pubblico, a supportare finanziariamente chi finalmente mostrava i muscoli agli americani e ai narcos ?
Tutta qua la rivoluzione socialista di Craxi ?
Dove stava la chiave di lettura originale della nostra società, che ci liberava dalle pastoie e dagli intollerabili costi politici ed economici del correntismo democristiano ?
Dopo la tragica fine di quel leader un partito dalle solide basi storiche e ideali come il Partito Socialista non è stato più in grado di compattarsi e di risorgere.
Le sue nobili radici fanno fatica ad attecchire in Italia dopo quella drammatica stagione, i suoi ideali sono anzi esplosi come in un fibrillante big bang.
La diaspora è stata talmente clamorosa che non solo gli allievi, ma neppure i figli di Craxi sanno se sia corretto, da socialisti, collocarsi a destra o a sinistra.
La colpa, però, non è di fantomatiche congiure internazionali, né di Berlinguer o di D’Alema, ma proprio di chi ha svuotato la tradizione di un partito che doveva tutelare i lavoratori e i ceti più deboli, snaturandolo, facendone una spietata macchina da consenso, un crocevia di affari e di interessi trasversali, facendogli vivere una stagione esaltante a livello di gestione del potere, ma suicida sul piano politico.
Cari amici socialisti ( o compagni, secondo il saluto un po’ demodé che Lidano Grassucci predilige e rivolge agli interlocutori di qualsiasi fede politica) , lasciamo finalmente Craxi riposare in pace, ricordiamolo pure con un benevolo segno toponomastico (lo merita certamente più di altri eroi eponimi), ma non facciamo di questo un gesto catartico e purificatore, non illudiamoci di cancellare la storia gettando fango su altri simboli e su altri uomini.
Di quegli anni è giusto ricordare non il furore iconoclasta di certa magistratura, né le supposte vittime politiche (ognuno ha scelto il suo destino), ma la vergogna che provammo tutti nel renderci conto di che razza di paese eravamo.
Ecco, la memoria simbolica di Craxi (raffigurata su una via o su una piazza o,meglio, nel profondo della nostra coscienza) non sarà vana se ci aiuta a costruire un’Italia migliore.
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