domenica 3 gennaio 2010

Polverini style

Fabrizio Bellini
Non mi capita mai, ma questa volta mi compiaccio: sulla Polverini ci avevo azzeccato. E’ fissata con i tailleur. Forse il mio unico lettore si ricorderà che avevo concluso l’articolo del 20 dicembre scorso, “Brutte giornate, anzi, pessime”, con un riferimento alla totale ineleganza della candidata piddiellina alla Regione Lazio. Avevo scritto che possiede i tailleur più brutti del mondo. Seconda solo ad Angela Merkel. Bene, sentite un po’ che ha dichiarato la nostra Renata a Paolo Foschi sul Corriere: “… mi hanno detto: preparati c’è il fotografo. Me ne ero scordata. Mi sono data una velocissima mano di trucco. Avevo tremila cose da fare, non volevo perdere tempo. Ho indossato la prima giacca che ho trovato. Una vecchia giacca. Eppure tutti mi dicono che sono venuta bene. “ Oddio mio, già cominciano a dirle cavolate. Non è venuta bene, anzi. E poi, con quella giacca rosso sciupato!!! E meno male che era la “prima”, pensate se si fosse messa la seconda. Ma è importante essere eleganti in politica?  No, diciamo che non guasta, ma non è fondamentale. Marrazzo era elegantissimo ma sappiamo tutti come è finita. Però, quando il tema estetico è insistito, si scoprono aspetti del carattere e della personalità che altrimenti non emergerebbero. La Polverini, oggettivamente, non è bella e infatti, esclusa lei stessa, nessuno le chiede di esserlo. In un confronto solamente di immagine con le donne del Pd, vincerebbe a mala pena con la Bindi. Anche se la brava Rosy i tailleur li sceglie meglio di lei, ma li indossa ancora peggio. La chanelliana Giovanna Melandri la farebbe a pezzi. Temo, anche in altri campi. Eppure la Polverini piace. Soprattutto agli ex An e alla sinistra in genere. E allora ha ragione Antonio Padellaro: perché non fare una grande coalizione con la ex sindacalista della Cisnal come candidato unico? Se il Pd, oltre al portiere di casa mia, non trova nessun altro, non è meglio la Polverini? Sarebbe un evento eccezionale, vincerebbero tutti. In prima serata tv ci sarebbe uno stupendo “Porta a porta” con i leader di tutte le sigle a gloriarsi del successo della propria parte politica. Compreso Mastella che sarebbe il primo a potersi vantare di aver intuito le grandi potenzialità della non so più come chiamarla. Magnifico, come il Campionissimo: “una donna sola è al comando, la sua giacca è rosso sbagliato, il suo nome è Renata Polverini”. Fine dei giochi. L’esperimento potrebbe essere esteso, con alcune varianti, anche alla Puglia. La destra potrebbe sostenere Emiliano e la sinistra, viste le marraziane inclinazioni, Vendola. Anche lì vincerebbero tutti e si eliminerebbe la farsa delle primarie: todos caballeros. Certo Di Pietro lo chiamerebbe inciucio, ma sarebbero in due, lui e Paolo Ferrero. Strillerebbero un po’, quattro insulti a Berlusconi, ma si leverebbero dalle scatole e si aprirebbe finalmente la via alle riforme condivise. Ma lo scherzo finisce qua perché la candidatura della ugiellina più o meno fotogenica, forse bipartisan, pone una questione più seria: perché la politica è costretta a ricorrere ai sindacalisti senza tessera? Perché si è rivolta ai giornalisti con la tessera? Come si seleziona il personale politico? E’ un temone così grande che, in questa sede, può essere solo ridotto a qualche considerazione marginale. Di giornalisti in Regione Lazio ce ne sono stati già due, Marrazzo e Badaloni. Non sono stati brillanti e il rimpianto non è tra le cose che hanno lasciato. Entrambi sono stati selezionati più per la loro personale notorietà che per un pregresso politico di cui non c’era e non c’è nessuna traccia significativa. E’ così che si conferma il teorema sulla videocrazia tanto caro a Massimo Salvadori. La visibilità più dello spessore, l’immagine più che la sostanza, il consenso facile più che quello ragionato. Ovviamente l’azione di governo ne risente molto. Di sindacalisti in politica ne sono entrati diversi e quasi tutti ne sono usciti malamente. Da Benvenuto a Del Turco, da Cofferati a Marini, l’unico sopravvissuto indenne. Tutti hanno dimostrato che tra interlocuzione politica e politica in senso stretto c’è una bella differenza. La politica si preoccupa del generale, il sindacato del particolare. E’ una questione di approccio culturale e forse bisognerebbe tornare a tenerne conto così come andrebbe riproposta la distinzione tra politica e amministrazione. Purtroppo ormai il pensiero unico si è radicato nella convinzione che la classe politica debba essere tratta dalla società civile. Cioè, si dice, capacità e intelligenze prestate alla politica. Per un po’, come fanno negli Usa. Lo chiamano spirito di servizio ma, in realtà, è diventato un mestiere. Ora premesso che una volta arrivato non se ne va più nessuno, il caso Villari è emblematico, chi garantisce che il “prestato” sia la crema e non lo scarto della società? Perché chi è veramente capace non si fa “prestare” e rimane a fare con successo quello che ha sempre fatto? Una prova? Le parole con le quali Mario Marazziti (Sant’Egidio) ha rifiutato la candidatura del Pd:”continuerò a dare il mio contributo a partire dalla società civile, nell’interesse, per quanto posso o sarò in grado, di tutti.” Altra classe!. E invece per chi sgomitando, cade? Come minimo c’è sempre uno straccio di Comunità montana. Quattro soldi si rimediano sempre. “Quasi quasi mi butto in politica” diceva Totò in un celebre film. Meglio che lavorare. Bisognerebbe considerare, infine, che la politica è un’arte, che non si improvvisa e che quelli bravi la imparano da piccoli a forza di scappellotti. Nessuno se lo ricorda più, ma è un percorso. E pure accidentato. Lo stesso Berlusconi ci ha messo quattro anni per capire dove stava Palazzo Chigi. Anni durante i quali è successo di tutto e di più, compreso il governo D’Alema. E quello del Cavaliere mi sembra un prestito a lungo termine e con diritto di riscatto. Ma ora bando alle chiacchiere, tocca alla Polverini e ai suoi tailleur. Andrà meglio? E’ solo in prestito? Sarà capace? Speriamo. Diceva il mio maestro: “bisogna avere fiducia”. Obbedisco. Non capisco ma mi adeguo.



2 commenti:

  1. Io spero che Vittorio Feltri abbia sbagliato la previsione fatta sulla Polverini. La Pisana non deve rimanere ala sinistra dopo i danni fatti con la sanità.

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  2. Il caso di Renata Polverini fa scandalo sul web nel silenzio della politica

    Il caso di Renata Polverini conferma la teoria di Beppe Grillo: internetè spietato. Puoi mentire persino al notaio, come ha fatto la leader del sindacato Ugl per evadere le tasse, ma non puoi mentire alla rete. È impressionante la lettura del sito www.renatapolverini.it. Sono tantissimi i commenti al blog (ne riportiamo tre, ma sono almeno dieci volte di più) di persone comuni che scrivono per chiedere conto al candidato delle notizie pubblicate dal Fatto Quotidiano. Il caso dovrebbe essere studiato nelle scuole di comunicazione. L’apertura al web doveva essere la carta vincente della campagna obamiana della sindacalista di destra prestata alla politica.

    Purtroppo, alla vigilia dell’inaugurazione del sito, è uscita l’inchiesta del nostro giornale: Renata Polverini ha comprato a prezzo stracciato dallo Ior nel dicembre del 2002 (272 mila euro per sei stanze tre bagni e due box vicino all’Aventino) e non soddisfatta dell’affarone ha anche mentito al notaio per avere l’agevolazione prima casa e pagareil 3 per cento di tasse invece del 10. La sindacalista, infatti, aveva già comprato 9 mesi prima un’altra casa dall’Inpdap, a un prezzo ancora più basso: 148mila euro per sette vani catastali e un box al Torrino, vicino all’Eur.

    Oggi siamo in grado di aggiungere un dato: anche sull’acquisto di quella prima casa dall’Inpdap c’è qualcosa che non va. Almeno dal punto di vista etico-politico. Renata Polverini compra con lo sconto in qualità di inquilina dell’Inpdap ma è costretta a fare una donazione alla mamma di un’altra casa che aveva già comprato nel 2001, perché altrimenti non avrebbe avuto diritto a comprare con lo sconto. Anzi non avrebbe avuto diritto proprio a quella casa che sarebbe così rimasta nel patrimonio dell’ente che ne avrebbe tratto molti più soldi mettendola all’asta.

    La storia della casa dell’Inpdap è poco chiara dall’inizio. Dopo lo scandalo Affittopoli, il ministro Tiziano Treu nel 1997 aveva emanato una circolare vincolante. Le case in affitto dovevano andare prima a poveri, handicappati, sfrattati, militari e giovani coppie. Non è chiaro come abbia fatto Renata Polverini ad avere quella casa. Lo abbiamo chiesto al presidente dell’ente, Paolo Crescimbeni, ex consigliere regionale umbro di An (stessa area della candidata). Ovviamente non ci ha risposto, seguendo l’esempio di Renata Polverini, alla quale abbiamo chiesto ripetutamente un’intervista. Inutilmente.

    Eppure sono molte le cose da spiegare: dall’evasione fiscale all’affitto dall’Inpdap. Il silenzio è aiutato dall’atteggiamento della stampa. Tutti tacciono. Compreso Il Giornale di Vittorio Feltri e Libero di Maurizio Belpietro. Erano stati i protagonisti di Affittopoli quando bisognava stanare dai loro appartamenti Massimo D’Alema e Franco Marini. Ora scoprono una politica-sindacalista furbissima che ha dribblato tutti ottenendo una casa con lo sconto e poi ne ha presa una seconda dichiarando il falso per non pagare le tasse. E loro muti. Ma tra i lettori ci sono molte persone che hanno lavorato una vita per comprare la casa e pagare le tasse. Per fortuna ci sono i blog.

    da il Fatto Quotidiano del 30 gennaio

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