mercoledì 18 novembre 2009

La scuola senza memoria


 Lidano Grassucci


Leggo di un istituto veneto, un istituto tecnico, che vanta tra i suoi allievi Fagin, il padre del microchip (Uno che vive nella Silicon Valley ed ha cambito il mondo) è il vanto della sua scuola. Come dire; lo usano per far vanto di quel che quella scuola sa fare.
Ora, cosa sanno fare le scuole di Latina? Non lo dicono, non raccontano mai dei loro ex allievi. E’ come se la Lamborghini si vergognasse un po’ della Miura, l’Alfa Romeo della “duetto”, la Volskwagen del “maggiolone”.
Sono, quelle di Latina, scuole anonime. Senza nomi e cognomi, senza facce.
Beppe Severgnini da Crema un volta si offese con la sua scuola che non lo aveva, dopo il diploma, mai contattato in ragione del fatto che le scuole del Regno Unito erano perfino più assillanti che gli ex allievi. Chiedevano testimonianze, contributi, organizzavano eventi.
Se in Italia questo è un problema, a Latina è un dramma.
Il sentire comune di una città nasce dalla capacità di avere una nervatura sociale, un insieme di occasioni che fanno la memoria della comunità.
Mi sono innamorato di Sassari, la città di Segni, Berlinguer, Cossiga (due presidenti della Repubblica Italiana e il capo del piu’ grande partito comunista d’Europa). Loro, i sassarini, hanno il culto delle loro scuole, fanno il militare nella brigata che porta il nome della città (dalla guerra 15/18). Sono orgogliosi della loro terra e il loro onore per l’Italia gli ha dato il privilegio unico di poter sfilare, ovunque, cantando in sassarino. Forse l’avete sentito quel “Forza paris” (che significa “tutti insieme”). Sassari è piu’ piccola di Latina, conta 7 ministri, la sua classe dirigente è la classe dirigente italiana. Perché? Anche perché c’è la nervatura, perché ti senti di un reparto militare, di una scuola. Noi “dove” ci sentiamo?
Se fossi il preside del Liceo Scientifico Grassi mi vanterei di aver avuto come allievo Luciano Garofano, quello che ha “inventato” l’investigazione scientifica dei carabinieri (oggi è colpito da una infamia, ma resta uno che ha cambiato il modo di far polizia in Italia), farei lo stesso se fossi preside del classico scriverei sulla porta “qui ha studiato Barbara Ensoli”. Invece le porte di quelle scuole sono mute.
Durante un amabile colloquio abbiamo scambiato alcune battute con il comandante dei carabinieri, colonnello Roberto Baccaccio, è del ’61 come me ed ha studiato, quando lo diceva non nascondeva il suo orgoglio, alla Nunziatella il liceo militare di Napoli. L’ho invidiato, anche io vorrei essere orgoglioso della mia scuola. Che significa essere orgoglioso dei miei insegnanti, della mia città, della mia comunità.
E’ una sciocchezza?
Raccontiamolo ai nostri compatrioti di Sassari.
Raccontiamo a quelli di Sassari che usare la lingua locale significa essere “meno italiani”, “meno del mondo”: “Siamo eredi di quella antica gente che fermava il cuore al nemico. Boh, boh. Oggi sono nostre le loro insegne, per l’onore dell’Italia e della Sardegna”. Lo dicono in sardo.
Noi ci vergogniamo della nostra lingua, non abbiamo mai avuto un ministro. Fate voi.

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