lunedì 2 novembre 2009

I padri scomparsi





Lidano Grassucci


Mi sono meravigliato qualche giorno fa del fatto che i ragazzi non possano più fare i ragazzi, non possano sbagliare, farsi male. Insomma vivere. Ieri su Il Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli raccontava del libro della figlia di Walter Tobagi, Benedetta. Lei racconta del padre, padre che le brigate rosse gli hanno portato via quando aveva tre anni. Tre anni, non ha ricordi del babbo, ma ha cercato di scoprirlo dalle sue cose. Un padre lo capisci dall’ordine dei libri che ha in casa, da qualche appunto, dai ricordi degli amici e dalle cose pubbliche.
Tanto tempo fa lessi un libro bellissimo “Un altare per la madre” di Ferdinando Camon. Un libro bellissimo sul rapporto madre-figlio. Ma un libro sul padre? Benedetta racconta quello che ha scoperto del Papà per il bisogno di capire chi era stato suo Padre. Non per affetto da carezze, ma per carezze di lettere. Tobagi faceva questo mestiere del raccontare ed era riformista che non è una parolaccia, è quella idea che hanno alcuni uomini sul modo di cambiare il mondo rispettandolo. I riformisti non odiano il presente, sognano il futuro. Non vorrebbero uomini nuovi, ma uomini felici.
Piccole differenze? Mica tanto. Vedo con mio figlio “300” il film sui troiani. Serse e Leonida si incontrano, il primo, l’orientale, dice: «vincerò perché sono disposto a far morire ognuno dei miei uomini». Gli risponde il greco: «vincerò io perché sono disposto a morire per ciascuno dei miei guerrieri». Tutto qui quello che volevo testimoniare a mio figlio in questi tempi di tempesta tra oriente e occidente (ma non è una novità, dopo le Termopili c’è stato Lepanto, Vienna) che l’idea che abbiamo da riformisti è questa: «l’uomo ha dignità per se stesso, non è un numero per l’onore del Re. È il re che “serve” l’uomo». Di questo si potrebbe parlare tra un padre e un figlio, di valori, di responsabilità. Di percorsi di comprensione, non per fare fotocopie umane, ma per seminare valori, idee del mondo. Non è dall’odore, dal colore, da dove nasci che sei uomo, ma da come cresci.
La figlia di Tobagi cerca nei valori quel colloquio che non ha mai avuto con il padre, lo scrive come si scrivono molti libri per esorcizzare. I bambini crescono senza più figure maschili: la maestra, la professoressa, la dottoressa. E i padri sono appendici inutili in un rapporto esclusivo tra madre e figlio. In un mondo in cui non ci sono più discrimini, tutto è uguale, tutto è digeribile. I padri servivano a segnare i limiti, il punto in cui le cose da giuste diventavano ingiuste, da bene diventava male. Il padre era questo, il termine ultimo per la giustizia. Ora rimane nella ricerca dei ragazzi che non l’hanno conosciuto. Come era il papà di Benedetta? Sarebbe stato in grado di raccontarle le ragioni per cui non stava mai dalla parte facile, per chi l’ha ucciso era un traditore, per gli altri era un bolscevico. Gli avrebbe spiegato la testa capovolta che hanno i riformisti, ma adesso non ci sono più pensano tutti uguale. Questo è…



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