sabato 21 novembre 2009

Gerarchie e chiese basse





Lidano Grassucci






Ho qualche problema con l’ordine, con le gerarchie. Non riesco a capire il prima e il dopo. E’ un difetto? Credo di sì, ma da cosa deriva?
Credo che ciascuno di noi sia plasmato dai posti in cui è cresciuto in quella età in cui ti fai un’idea di cosa è il mondo, dai 5 ai 16 anni. Per me non c’era un segno della “filiera di comando”. Le chiese erano tante e piccole, il municipio era un angolo di piazza, neanche il più bello e per entrare si “scendeva” di qualche gradino. E non c’erano castelli. Se dal basso guardi il posto da dove vengo vedi le case, non ci sono campanili, vedi le case che fanno corpo, comunità.
A Sermoneta, dal basso vedi il Castello, a Terracina dal mare vedi il tempio di Giove, a Maenza vedi il castello del barone. Nel paese mio niente, le chiese erano piccole e i loro tetti si perdevano nei tetti delle case intorno. Erano, sono, rigorose le chiese. Quella dei gesuiti in Piazza San Pietro non è più grande e non schiaccia il Comune. Un tempo i comunisti avevano lì vicino la sezione che era quasi sotterranea rispetto al piano della piazza, quasi a testimoniare percorsi segreti tra iniziati della rivoluzione e iniziati della fede. Sarà per questo che non comprendo le gerarchie, che non sono uso a pensare uguale, che mi fanno schifo i privilegi e non li riconosco non rivendicandoli.
Quando Pio IX venne dalle mie parti arrivò in pompa magna era Papa per grazia di Dio e Re per disgrazia del popolo e dell’Italia. Una signora del popolo, il popolo senza castelli e delle chiese piccole, lo guardò e nonostante la pompa lo vide per quel che era “Se è Papa quisto è Papa puro maritemo”. Che vuol dire “E’ umano, è umano”. Lui, il Papa, si pensava più che umano. Ovunque, ma non dalle parti mie dove era “come maritemo”.
Per questo quando il sacerdote, etnicamente compatibile con me, mi confessò, nell’unica volta che l’ho fatto per rispetto e meno per convinzione, lui mi disse: “Ma che pu esse fatto tu? Che malo pu esse fatto? Mo ogni tanto, ogni dua o tre anni va a ca santurio ca è beno”.
Avevamo 21 chiese, erano case accanto alle case. Dio era uno di noi, uno che se faceva freddo aveva freddo, se faceva caldo aveva caldo. Era uno di noi.
Per questo non sento le gerarchie, per questo la pensiamo ciascuno a modo suo mai allineati, mai come ti aspetti. Qui a Latina le case sono piatte, non ci sono castelli, la torre civica è minimalista il campanile pure. Il Vescovo di Latina, in carica, non ha capito questo problema “dimensionale” e si è fatto una casa grande grande, una casa dove il Dio umano in cui sono cresciuto non avrebbe trovato “spazio”, si sarebbe perduto cercando.
Ho, in questo tempo mio problemi di certezze, come se tutto fosse mutato con un prima e un dopo. E mi pongo domande che prima neanche immaginavo: perché nessuno, a Latina, si è indignato, offeso per le strisce blu? Per la loro invadenza? Perché questa città non ha ventuno chiese, non ha le case attaccate alle chiese, ha il Comune con una torre civica “nana” ma presuntuosa. Ha la sindrome del capo che pensa a tutto lui, Latina non ha avuto un signore ha avuto un padre malvagio, falsamente generoso, patetico, debole ma con la voce grossa quando veniva qua nessuno osava dire: “ma se questo è l’uomo della Provvidenza allora è Provvidenza anche mio marito”. Nessuno osava ridere del nanetto mascelluto ma tutti volevano toccarlo, averlo. L’unica città di sudditi senza signore, di monarchici senza Re, di repubblicani senza repubblica. Qui si vogliono bene e il capo è un papà buono, come in Sudamerica, un Sudamerica alle porte di Roma.
Ecco perché la penso diversa perché se da Latina guardi Sezze vedi le case non la chiesa, non il castello, non la torre del Comune, le case. Lì su non ci sono capi.
Il mio tempo è cambiato, un prima e un dopo per colpa di quelle 21 chiese, di quelle case attaccate alle chiese, per i campanili bassi e per la meraviglia che ti prende se da lì su guardi la bellezza di questo creato.















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