domenica 1 novembre 2009

Caso Marrazzo, tutta colpa della mafia di Fondi

Droga pontina e Mof dietro lo scandalo,
la mega bufala dell’Unità


Secondo il quotidiano di Concita De Gregorio il pusher dei trans,  Gianguarino  Cafasso, sarebbe originario di Sperlonga.

Irene Chinappi


A tentare di capire il complesso  ragionamento che la giornalista Claudia Fusani dell’Unità ha intessuto per arrivare a collegare il caso Marrazzo con Fondi, c’è da impazzire. In sostanza, il succo delle due pagine di ieri dedicate all’argomento, sarebbe che da Fondi, attraverso Gianguarino Cafasso, ritenuto per giunta originario di Sperlonga (sebbene nel borgo di 3mila anime in croce quel nome non l’abbia mai sentito nessuno), arrivava la cocaina diretta ai trans. E che Piero Marrazzo era «in stretto contatto» con il «confidente dei carabinieri». Il giallo c’è perché il pusher a settembre è morto e i morti parlano meno dei casalesi. Ma sui cadaveri è più facile fantasticare. Ebbene, secondo l’Unità Michele Zagaria, «l’altra primula rossa della criminalità organizzata del casertano» potrebbe aver «trovato rifugio per la sua latitanza in un posto qualsiasi tra Formia, Latina, Fondi e Sperlonga, dove i clan da anni riciclano danaro, fanno arrivare la droga e la smistano soprattutto verso la Capitale». Dunque il collegamento è fatto. Marrazzo uguale trans uguale cocaina uguale Fondi. Cafasso,  su cui i magistrati stanno indagando per scoprire cosa c’è oltre il ricatto dei carabinieri all’ex governatore del Lazio, aveva un bisogno disperato di soldi. E quindi, si presume, avrebbe potuto architettare il tranello.
D’altro canto il presidente dimissionario della Regione Lazio, che al contrario ha facoltà di parola e sarà ascoltato dai giudici, avrebbe tentato di contrastare le infiltrazioni dei casalesi al mercato ortofrutticolo di Fondi. Gli stessi, dunque, amici di Cafasso lo sperlongano, quello che con lui, ricordiamo, era in «stretto contatto». E ci sarebbe riuscito con la nomina di Bruno Placidi, a ferragosto, come rappresentante dell’ente regionale al Mof dando, secondo il quotidiano della De Gregorio «qualche dispiacere a chi gestisce gli affari in quella zona». Poi aveva detto no ad un’altra nomina, che riguarda l’Imof. Per chi non l’avesse ancora capito il succo è che Marrazzo stava dando troppo fastidio ai mafiosi di Fondi. E i mafiosi di Fondi, dunque l’hanno incastrato facendolo beccare dai carabinieri con Natalie e qualche striscia di coca che ancora non si sa di chi fosse. Certo, perché adesso la lupara non si usa più, a Fondi, dove c’è la “quinta mafia”, quella dei colletti bianchi, le armi dei boss sono i trans. Andiamo bene.
Battute a parte, il Mof ci finisce dentro con tutte le scarpe e il presidente uscente, Pino La Rocca, anche se non nominato dall’articolo, appare come la pedina dei casalesi al Mof, sostituito dall’eroe dell’antimafia Marrazzo.
La questione è seria. E rischia di finire in tribunale. La Rocca ha dato immediato incarico ai propri legali di denunciare L’Unità in sede penale e civile. La verità la diranno i giudici.
Intanto a Fondi non resta altro che continuare a subire il massacro mediatico che va avanti da 18 mesi. Certo che inzuppare il pane nell’affaire Marrazzo per tirare ancora una volta in ballo la mafia a Fondi ci mancava. Menomale che c’è l’Unità.

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