Raffaele Vallefuoco
Pubblicato su Il Territorio lunedì 5 Ottobre 2009
«Ho sempre amato Senofonte per questa sua parzialità, perché riconosce che lo sguardo di chi racconta può essere onesto se si dichiara parziale» scrive Roberto Saviano nell'ultimo lavoro di patchwork La Bellezza e l'inferno. Una premessa doverosa nel rispetto del lettore. Il tre ottobre anche io ero a Roma. C'ero tra le migliaia di persone che hanno sentito l'esigenza di reclamare «il diritto di sapere e il dovere di informare» come ha scandito Franco Siddi, presidente Fnsi. Tra sindacalisti, democratici, giovani, dipietristi, animalisti e giornalisti, io e la mia ragazza occupavamo, compressi, sessanta centimetri quadrati di Piazza del Popolo. Non devo lavorare e quindi decido di prendere il treno e approdare nella Capitale. In piazza dietro di me un padre con in braccio la raffreddatissima figliola. Alla mia destra un gruppetto di giovani che sventolavano una bandiera del Pd. Tre file di teste mi dividono dai Giovani democratici di Formia, Itri e Gaeta. Tutti lì per arginare una riduzione in schiavitù dell'informazione di cui, però, non conosco il grado di penetrazione. Ma sono lì tra i 300 mila (migliaia più, migliaia meno). «Se diamo fastidio ai potenti - scandisce ancora Franco Siddi in un italiano dal retrogusto sardo - siamo consapevoli di stare a fare il bene del Paese». Il giornalismo, in fondo, è concepito come «cane da guardia della democrazia» metaforizza il costituzionalista Valerio Onida, mutuando l'espressione dalla Corte di giustizia europea. Nella Piazza l'articolo 21 della Costituzione sembra prendere forma. La folla colorata sembra affermare: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure». Non lo sanno, ma stanno prendendo parte a quel pluralismo ideologico che è il fondamento di ogni sistema democratico. «L'articolo 21 ci piace così com'è stato scritto» esalta la Piazza il presentatore giornalista Andrea Vianello. Berlusconi non c'è. Ovvio, eppure, eccezion fatta per cartelli e striscioni che lo invocano, il presidente del consiglio viene lascito fuori. Poche volte è chiamato in causa. Ma è chiara la direzione del niet ad un Lodo dell'informazione. Saviano afferma: «All'estero mi hanno chiesto come sia possibile riunirsi per protestare in nome della libertà di stampa in un paese democratico. La risposta in realtà è semplice. Ovvio. Qui non vengono chiusi i giornali con la polizia politica o i giornalisti vengono arrestati. La libertà di stampa per cui stiamo combattendo è la serenità di lavorare, la possibilità di sapere che è possibile raccontare senza doversi aspettare ritorsioni, senza doversi aspettare che il proprio privato sia utilizzato come un’arma per far tacere». Saviano non è lì in veste di aizzapopolo. Lo osannano come un vero leader, ma è lì «solo» per difendere la qualità dell'informazione: «Se si permette a chi scrive di rispondere solo alla propria coscienza e alla qualità delle proprie parole, molto probabilmente la parola avrebbe potuto evitare catastrofi del genere perché raccontando, riportando, dando alla parola un nuovo valore è possibile trasformare la realtà». Il suo intervento, quindi, scivola, inevitabilmente, nel suo ambito: «L’Italia è il secondo paese, dopo la Colombia, per persone sotto protezione. Raccontare in certe parti d’Italia costringe, chi decide di farlo, a difendere le parole con la sua vita stessa» come dimostra la sua quotidianità blindata che, nonostante qualche perplessità alla Fede, non augurerebbe a nessuno. L’autore di Gomorra, come viene presentato da Vianello, lancia un monito: «La Legalità dovrebbe essere la premessa del dibattito politico, non il risultato». Un valore irrinunciabile per assicurare libertà di opinione, manifestazione e di stampa.
domenica 4 ottobre 2009
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