mercoledì 30 settembre 2009

L’Italia che non vorrei



Lidano Grassucci





Sono così nero che posso andare con i rossi senza sporcarmi. Questo ho letto ieri sul fondo siglato G.C. di Latina Oggi. Così, il patto Molotov-Ribbentrop, solo che quelli si sono spartiti la Polonia questi quel che rimane della democrazia. D’Alema sarà pure figo, ma fa incontri imbarazzanti. Sarà pure poco fortunato ma avere in prima fila il senatore (povero Senato) Giuseppe Ciarrapico in un incontro di corrente è stato inquietante.
Quella presenza testimonia che è ormai il residuo di una politica falsa, tattica, da melassa di un passato inquietante. Un politologo americano, La Palombara, parlava del sistema politico italiano come modello consociativo. Dc e Pci erano agli antipodi ma il 90% dei provvedimenti legislativi passava con i voti favorevoli di entrambi. Insomma: pubblicamente erano avversari, dietro erano compari.
Quello era il marcio della prima repubblica, non le bombe carta dei giudici. E quel marcio, politico, è quello del capo dei comunisti che trova normale avere davanti uno che esalta il ventennio, che si dice “seguace” di un dittatore. Che anche ieri esaltava la dittatura attribuendola a uomini grandi. I dittatori sono infami, sono vermi da schiacciare come sosteneva e a ragione la signora Thatcher.
Vengo dalla sinistra, per ragioni sociali, per ragioni ideali, per ragioni generazionali. Abbiamo creduto che il marcio erano i dittatori e i compromessi. Ieri erano palesi queste cose, erano visibili.
D’Alema che è diventato presidente del consiglio presentando agli elettori Prodi, barando al gioco. Ciarrapico che è stato fascistissimamente al servizio di Andreotti. Questa è l’Italia paludosa, levantina, codarda che odiamo.
La sinistra non è questa cosa: è orgoglio di stare dalla parte degli ultimi, è rivoluzione.
Perché te la prendi tanto? Perché è la nazione che non vorrei, quella idea bara del vivere civile espressioni di uomini che si sentono giganti e sono nani, mostruosamente nani. Uomini del particolare. E’ facile essere fascista a parole e stare all’ombra di Andreotti, e in piazza ci andavano giovani che la pelle se la giocavano sul serio. E’ facile essere comunista senza aver mai solcato il cancello di una fabbrica, essere comunista con la barca a vela.
Ero tra quei giovani che negli anni ’70 hanno creduto in una Italia nuova, in una Italia che risorgeva giusta dalle ceneri della Resistenza. Spesso nei convegni mi incontro con i miei coetanei di Destra, con Michele Merlino, ci ritroviamo non perché rinunciatari o negatori delle nostre storie ma perché legati dalle nostre generosità.
Ecco, ieri in quella sala al teatro ho visto l’Italia codina, serva e pusillanime che ho combattuto e che combatto.
Due povertà in un convegno solo. Che tristezza.

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