sabato 1 agosto 2009

I versi di Carlos Vitale

Leone D’Ambrosio
Carlos Vitale è un poeta spagnolo che ama la poesia italiana. Quella di Ungaretti, Montale, Campana, Zanzotto, Aleramo, Saba, solo per fare qualche nome dei grandi del Novecento. Ha tradotto quasi tutto di loro e continua a farlo. Ma Vitale ha instaurato anche un bel rapporto con il nostro territorio e con alcuni suoi poeti. Come Nicola Napolitano, Gerardo Vacana, Giuseppe Napolitano, Americo Iannacone, Francesco De Napoli. E quando può torna nel mitologico golfo di Gaeta, nel mare d’Ulisse, come novello Omero, per parlare di poesia, dei suoi libri e di quelli dei suoi amici italiani e catalani. Carlos Vitale è nato a Buenos Aires nel 1953, ma dal 1981 vive a Barcellona. E' laureato in lettere spagnole e italiane e ha pubblicato numerosi libri di poesia: “Códigos” (1981), “Noción de realidad” (1987), “Confabulaciones” (Premio di Poesia Ciudad de Zaragoza, 1992), riuniti in “Unidad de lugar” (2000), “Descortesía del suicida” (Premio di Narrativa Breve Villa de Chiva, 1997), Vistas al mar (2000). Autoritratti / Autorretratos (Premio di Poesia Venafro, 2001), “Fuera de casa” (2004). E proprio per la traduzione ha ricevuto numerosi premi, tra i quali il Premio Ultimo Novecento nel 1986 per i “Canti orfici” di Dino Campana e il Premio Ángel Crespo nel 2006 per “Poesie” di Eugenio Montale.
Ma Carlos Vitale è soprattutto un poeta. Uno tra i più accreditati nel panorama della poesia ispanica. Poeta dell’esistenza e per comprendere la sua natura, basta leggere “Unità di luogo” che raccoglie quasi tutte le sue liriche tradotte questa volta da Teresa Albasini Legaz. In omaggio a Montale, Vitale sonda, scopre, spera: «Il cacciatore si apposta/ Misura tempo e distanza/ Il bersaglio succede alla morte/ ed è la morte». Una sorta di purificazione interiore, metafora dell’avventura umana, che ha come resoconto la fine dell’uomo su questa terra. È un viaggio la vita. L’itinerario percorso da Vitale è quello interiore e d’intensa memoria. Un dialogo con se stesso e con gli altri. «Gli occhi del delirio/amano la propria realtà/ Io amo la mia/ Nessuna sostiene il mio passo incerto/ Cuore disabitato». È proprio il cuore che s’impone nell’animo combattuto del poeta. Senza forzature, il verso asciutto e scarno, s’irrobustisce nella sua brevità e raffinatezza. Una lirica illuminata e illuminante quella di Carlos Vitale in cui mette radice il valore della nostra esistenza sempre più precaria e caratterizzata essenzialmente dall’assenza di valori spirituali. «Da quale luce/ da quale genere di luce/ sarò stato illuminato doppiamente/ per non essere/ per essere/ soltanto/ questa creazione del corpo e lo sguardo/ che distruggono così/ il proprio limite?». Un’agonia dell’anima dalla quale l’uomo tenta di liberare la sua coscienza e ritrovare così l’armonia divina. Il poeta accompagna il lettore all’accettazione della realtà. In questo senso si comprende l’umana avventura e la sua dolorosa morte. «Solamente nella notte vedo/ Tutto lo splendore annunciano tutta la morte». E’ la morte che si misura con la vita.

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