sabato 18 luglio 2009

LATINA - Nozze di fuoco, teatro a Capoportiere





Lidano Grassucci

Teatro a Capoportiere? Non lo avrei mai detto che mi sarei trovato ad assistere a uno spettacolo teatrale a Capoportiere a Latina. Invece sto qui con tante altre persone, la giornata è umida, il mare non ci regala la sua brezza, ma non si sta male. Il palcoscenico è piccolo, il pubblico quasi è dentro la scena. Non nascondo di essere arrivato con la solita puzza sotto il naso che hanno quelli che scrivono teatro con la T maiuscola. Quelli che al secondo biglietto staccato al Sistina ne sanno più di Strehler. Il capocomico è Mario D’Arienzo fa l’ingegnere, ma ha il volto dell’attore, lineamenti scavati ipersociale. La terrazza del Miramare si presta è grande, ma familiare, razionale tanto da fare contrasto con la scena della rappresentazione, una casa napoletana di inizio ‘900.
Si rappresenta “Nozze di fuoco” di Benedetto Casillo. E’ una commedia degli equivoci alla Feydaux, una di quelle commedie che testimoniano nel soggetto il legame strettissimo tra Napoli e la Francia. Bravo l’attore, Luigi Pedone, chiamato a recitare Attilio il cornuto, il turlupinato, di turno. Gestualità da attore formato, capacità di cambiare i toni recitativi da chi ha proprietà nello stare nel palcoscenico. Pedone fa di Attilio una maschera da commedia dell’arte aggiungendo al personaggio aspetti che contribuiscono in maniera importante all’effetto umoristico della piece.
Brava anche Cristina Simonetti, chiamata a recitare la parte della moglie leggera di Attilio, amante pensante di Mimì De Rosa. Ha il fisico per il ruolo, la gestualità non esasperata e anche l’eleganza che credo immaginasse Casillo nello scrivere la storia.
Di fatto sono loro gli attori su cui ruota l’equivoco con il conforto di Zia Filomena, al secolo Lina Casoria, della promessa sposta Angela (Oderica Lisi), di suo fratello Matio (Luca Piga). E di Saturnino (al secolo Peppe Cirinnesio) che caratterizza fortemente il personaggio che sarà la chiave dello scioglimento degli equivoci che si intreccino e crescono per tutto il dipanarsi del racconto.
Mimì De Rosa riempie tutte le scene, è quasi una commedia monologo, lui regge lo spettacolo. La gente applaude più volte a scena aperta, si diverte e ride.
Si muove in uno spazio ristretto ma riesce a evitare l’effetto marionetta e resta personaggio sempre. Ha il senso del palcoscenico, ha anche la capacità di tenere il polso del pubblico aggiungendo battute lì dove sente “distrazione”.
Scorre per quasi due ore lo spettacolo, lo spettatore sente il testo (il capocomico è abile a metterci dentro tanta contemporaneità) di fine ‘800 come vissuto, letto, raccontato al presente.
Amori incrociati, solitudini che si confortano in ambito sociali circoscritti, furberie da non furbi e il gioco dello sciupafemmine, della femme fatale e del cornuto poco avveduto, sono ingredienti sicuri.
Ma questo è teatro: dialogo tra chi guarda e chi recita, a cui si somma la capacità dell’attore di far sentire lo spettatore protagonista.
Ho un metro mio per discriminare il teatro bello da quello brutto, la noia. Se non mi annoio è teatro, altrimenti è filosofia, letteratura, autoerotismo. Mi sono divertito ed ho riso, insomma ho assistito ad uno spettacolo teatrale, comprensibile, veloce (nella prima parte c’è stato bisogno di sintonizzarsi accelerando con un pubblico non proprio grande consumatore di teatro). Il fuoco genera tutti gli equivoci il fuoco li risolve, la donna è pericolosa e “solo le cose che non si fanno non si sanno”. Si chiude il sipario e il pubblico è soddisfatto, è teatro.

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