Teresa Faticoni
«Non sappiamo più che fare, siamo stati abbandonati da tutti, anche dalle istituzioni». Un grido disperato quello dei 32 operai della ex Yale. In via dei Rutuli ad Aprilia dopo la chiusura dello stabilimento che produceva chiavi, è arrivano Salvatore Graniglia, che ha rilevato sito e lavoratori. Ce ne erano oltre 200 ai tempi d’oro. Ora sono poco più di una trentina, messi in cassa integrazione dal 2007. Gli ammortizzatori sociali scadono a settembre. Quale futuro? Nessuno sa dirlo, nessuno sa prevederlo, nessuno si impegna a far sì che ci sia un futuro. E i lavoratori sono presi dallo scoraggiamento. Graniglia ha investito 7.500.000 euro e, in base agli accordi sindacali, sottoscritti in sede regionale e ministeriale, tutti i lavoratori sarebbero stati assunti a tempo indeterminato. Di più: dopo la tanto sbandierata riconversione industriale (il corso di riqualificazione professionale di 6 mesi già effettuati l'anno scorso è stato possibile grazie ai soldi della Regione Lazio) i dipendenti dovevano rientrare a lavorare già lo scorso settembre. La riconversione prevedeva la nascita in via dei Rutuli di un albergo, un centro congressi e un centro logistica. Ma a settembre non era stato fatto nessun lavoro e quindi Graniglia chiese e ottenne un ulteriore anno di cassa integrazione. «A due mesi dal rientro – si legge in una nota dei 32 -, non ha buttato giù un mattone della struttura e la cosa più grave è che non ci sta pagando gli stipendi da 4 mesi e da 8 i buoni pasto, secondo accordo». Includendo nel computo anche i contributi da versare ai fini pensionistici si tratta di un bel gruzzoletto. «Ha negato ogni accordo fatto dal Prefetto da Latina Frattasi e in Regione Lazio», accusano i lavoratori riferendosi ancora a Graniglia. Ora l’imprenditore ha chiesto e ottenuto dalle banche, con la Regione Lazio che si è fatta garante, un prestito di 3.500.000 euro, per cercare di risollevare le sorti di quel progetto industriale che stenta a decollare. E dire che di esperienze estremamente simili ed finite malissimo in giro ce ne sono: uno su tutti il caso della ex Good Year di Cisterna. Un aborto imprenditoriale e un fallimento istituzionale senza precedenti. Ma che evidentemente rischia di trovare pessimi imitatori. «Prestito accettato – concludono i lavoratori - ma ancora non ci ha saldato tutti gli stipendi e con un futuro nero».
giovedì 2 luglio 2009
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento