lunedì 11 maggio 2009

L'ARCINORMALE - Quel sangue perduto

Lidano Grassucci
“Come è triste Venezia” era il ritornello di una canzone di Charles Aznavour. Mi è risuonata in testa per tutta la mattina di ieri, Latina era vuota. Di tanto in tanto l’“offesa” di una presenza umana. Mi sentivo dentro un corpo senza sangue. C’era tutto: i muscoli, lo scheletro, le arterie, le vene. Era anche un corpo muscoloso, ma non c’era sangue, non c’era vita. Un corpo senza vita.
Lo posso dire perché quel corpo l’ho visto con il sangue dentro, con la gente, ed era poderoso, bello. Gli alpini hanno portato, per la prima volta, il sangue qui.
Chi ha pensato questa città si è dimenticato delle persone, questo è un posto per titani, per giganti e, invece, siamo piccoli. Quando c’era il sangue, gli alpini, ti sentivi dentro lo scorrere della vita, la gente rideva, si gridava, si parlava. Sì, ecco si parlava. Di cosa? Del tempo, del luogo da dove si veniva, le ragioni dello stare qui, sotto lo stesso cielo.
Ed era piacevole non esser soli, avere la sensazione che era con altri, che c’erano anche altri qui con te.
Ieri mattina mi sono ritrovato solo, solo con queste pareti che ieri parlavano, queste strade che erano umanità incarnata e che ora sono asfalto, marmo. Pure i pali dell’illuminazione sembrano aspettare il buio per dare luce a nulla. Non riesco a dire, ma ieri era come se nostro padre ci avesse abbandonati, soli, in una angolo di mondo dove non c’è che tristezza.
Ero sparito in questa città vuota tanto quanto eravamo stati evidenti nella città piena. Forse oggi, forse domani, forse fra 10 giorni, ritornerò vedermi come sempre dentro questo posto ma ieri, ieri mattina: “come era triste Latina”.
Come fare? Magari cominciamo a trovare il modo per avere una passione comune, una ragione per fare quello che hanno fatto i 5.000 alpini di Bergamo mentre sfilavano, avere l’orgoglio di gridare “Berghem”. E il nome della loro città nella loro lingua, è il nome della loro città nella loro lingua non dimenticando nel gonfalone di essere anche la città dei mille. Sì, di quei ragazzi che seguirono Garibaldi per liberare dl medioevo il sud. Bergamaschi e italiani.
Ma, per ora, noi camminiamo in silenzio, nel vuoto.

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