sabato 16 maggio 2009

LA FORMICA ATOMICA - Il male dei mezzosangue

Lidano Grassucci
Sono stato invitato a Cisterna ad un convegno sull’integrazione. Era ospite, insieme ad Antonio Pennacchi, Carmelo Giordano, un italiano d’Etiopia si chiama Carmelo Giordano. Ha i lineamenti europei e il colore della pelle della gente d’Etiopia. Racconta del padre, racconta del suo lavoro nel paese d’Africa e spiega come il Negus abbia chiesto ai suoi di “rispettare gli italiani” e parla da italiano, poi racconta di quando è venuto in Italia e parla da etiope. Insomma in Africa immaginava l’Italia, e in Italia sente l’Africa. Antonio Pennacchi parla dei matrimoni misti tra veneti e indigeni nell’agro pontino, parla dell’integrazione tra marocchini (gli indigeni) e i cispadani (i veneti dell’agro). Parla di “dominio culturale” e di cispadani che sposavano marocchine e poi casi contrari fino agli anni ’60.
Mi sento una sorta di prodotto da laboratorio, capisco cosa significa essere mezzosangue. Perché mio padre marocchino di Sezze ha sposato una cispadana. Sono un mostro sociologico. In realtà sono un senza patria, quando andavo in Veneto i miei parenti mi guardavano come fossi un marziano, una cosa da verificare. Dalla parte cispadana della mia famiglia ci facevano poco con i libri, mentre nonna sezzese leggeva tutto e la scuola era tutto. Quelli dei miei rimasti al nord sentendo la mia storia, io studiavo all’università, mi consideravano un po’ spostato, pure malato. Quando stavo tra i cispadani mi sentivo dei loro, e pure quando stavo tra i marocchini. Non avevo una patria definita, ne avevo sempre una di troppo. Ora che ci penso non ho mai avuto un casa definita, nella testa ho la cultura più setina che si può per amore, amore per mia nonna che mi ha costruito lavorando in ogni angolo della mia memoria come un racconto scritto sul libro bianco, ma ho la faccia da polentone, ma ho quel sangue malato che hanno quelli che sono stati sotto la Serenissima senza conoscere il mare. Mi sento come quegli ebrei che avevano servito quella patria che altro non per che la loro, ma che li stava portando a morte perché c’era quel sangue, quel modo di pregare Dio. Guardo Carmelo Giordano e mi viene da chiedere, ma di dove sei? Mi fermo, ma io di dove sono? Mi offre, Carmelo, in perfetto italiano e mi guarda con la pelle che sembra aromatizzata, una crespella etiope. Mi sento come se gli offrissi una pasta di visciolo in setino con questa faccia da polenta.
Mezzo sangue e troppe patrie. Una vita divisa.

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