sabato 25 aprile 2009

Il 25 aprile è festa, di libertà

Lidano Grassucci
Oggi è il 25 aprile, festa della liberazione. Quando sono arrivato a Latina dal mio paese mi pareva strano che qui si parlasse tanto di San Marco, poco della liberazione. Credevo e credo che questo giorno sia l’inizio di una vita nuova per la mia nazione ferita da una dittatura, da una guerra infame.
Avevo a Latina la stessa meraviglia che mi veniva nel mio paese quando qualcuno considerava il 25 aprile una festa comunista.
Perché in montagna andarono tanti ragazzi cattolici, liberali, socialisti, repubblicani. Senza dimenticare i soldati che rimasero fedeli al loro Re.
Qualcuno dice: dobbiamo rispettare anche quelli che combatterono con i nazisti e con Mussolini a Salo. Umanamente e per ciascuno di loro il rispetto è dovuto, politicamente e collettivamente stavano combattendo per un dittatore e non c’è in questo nulla da rispettare, tutto da condannare.
Cito sempre la frase della signora Thatcher, capo dei conservatori inglesi, che diceva: “I dittatori vanno schiacciati”. Tutti, e senza pietà. Vale per Mussolini, per Castro, per Stalin, per Hitler per Franco.
Mi capita di incontrare l’ex sindaco di Latina Ajmone Finestra. Persona amabilissima che rivendica con onestà intellettuale la sua scelta giovanile di stare con i repubblichini. Mi sta simpatico, ma fece una scelta errata. Gli ricordo sempre che: se avesse vinto lui e i suoi, i liberi sarebbero stati passati per le armi, hanno vinto i liberi e lui è diventato consigliere regionale, senatore della Repubblica e sindaco di Latina. Questo spiega la superiorità della mia Repubblica rispetto alla barbarie ignobile della dittatura. La sua storia è la prova di quanto sia poco nobile il revisionismo, il che non significa non riconoscere episodi ignobili che ogni guerra porta con se.
A chi dice che la Resistenza è comunista ricordo le brigate Matteotti, gli uomini di Azione e Libertà, i liberali delle formazioni autonomi. E i ragazzi di Cefalonia che votarono liberamente per “resistere” ai tedeschi. Per questo oggi sono in piazza, come sempre.
Come saremmo stati in montagna in una repubblica di soviet.
Oggi vanno anche ricordati i ragazzi americani e degli altri paesi che sono venuti a morire qui, nella nostra europa, per cancellare la nostra stessa follia. Quel ragazzi che forse non sapevano neanche che c’era una terra oltre la loro prateria, oltre il loro mare, che si stava suicidando, che stava negando secoli della sua storia per seguire le più tragiche follie che mai storia umana abbia creato, che eliminate quelle restarono per evitare che la barbarie dello stalinismo le sostituisse.
Chiudo con il testo di Pietro Calamandrei, uno di quegli italiani che avevano il culto assoluto della libertà, il culto di Benedetto Croce, di Giustizia e Libertà, il culto di quei liberali che fecero l’Italia. La leggo di tanto in tanto perché è il senso di quel sentire civile che animò i tanti liberi che andarono in montagna, o combatterono in divisa pLo avrai

Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.

Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.

Ma soltanto col silenzio del torturati
più duro d'ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.

Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA
(Piero Calamandrei)

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