martedì 17 marzo 2009

Caro Pedrizzi ti scrivo

Fabrizio Bellini
Senatore Pedrizzi carissimo,
come non riconoscerti il merito di essere uno dei pochi esponenti della “intellegentia” pontina, a cercare di provocare un dibattito politico che esca dalle insopportabili tarantelle gossipare che invadono una parte della stampa locale? Colpa dei nostri giornalisti? No, loro si adeguano al contesto e se nessuno scrive o parla, che dovrebbero fare? Inventare? Sarà anche che sembra diffondersi sempre più una sorta di timidezza intellettuale che rattrappisce i pensieri e le mani di chi dovrebbe presentare se stesso e le proprie idee. Certo, chi scrive si espone, ma non è questo il significato ultimo della politica? Esporsi per raccogliere o meno il consenso. Spogliarsi davanti all’elettorato rischiando anche di non piacere. La tua originalità sta nel rompere gli schemi. Tu fai riflettere. Cerchi, ti sforzi, di far ragionare e discutere. Affinché anche il nostro territorio abbia una propria identità dialettica e non d’appendice. E visto che chi pensa, normalmente, scrive, immagino che tu stia aspettando almeno una rispostina, stesso mezzo, alle considerazioni che hai espresso su “Il Tempo” di domenica 15 marzo con il titolo: “ Il futuro è nelle idee non nei leader”. La mia e spero che non sia l’unica, è volutamente mini: non hai ragione. Credo che il futuro sia sempre più dei leader, purché abbiano idee. Esattamente come il passato è degli uomini che hanno avuto pensieri più avanzati rispetto al loro stesso tempo. Io penso che in una società realmente post-ideologica, servano esclusivamente uomini che abbiano la capacità di farci uscire, tutti, dalla palude del pensiero unico conformista e conformato. Immagino anche che un leader sia tale solo perché ha idee e riesce a spiegarle e a farle apprezzare dalla gente. Sente il respiro di un popolo, ne interpreta i sogni, le paure e le speranze. Lo vive. Il leader E’ la gente comune traghettata su un modello condivisibile di futuro. Se vuoi, di un sogno di futuro. In alternativa ci sono solo capoccetti che, cresciuti negli apparati di partito, sono bravissimi a tessere reti ed alleanze basate sulla distribuzione di utilità derivate. Durano poco e in Italia cadono come le foglie. Dietro di loro non c’è altro che la “monnezza” che scopano i Magistrati. Li chiamano grandi costruttori di equilibri politici, ma in realtà non riescono a mantenere neanche il proprio. Penso anche che tutta la rappresentazione politica mondiale ci dimostri questo; da Amadinejad a Chàvez, da Obama a Gordon Brown, da Sarkozy ad Angela Merck, da Berlusconi a Putin. Comunque li si consideri, sono grandi personaggi di un grande tempo. Che ti piaccia o meno, sono leader, nel senso che ti ho appena detto. Dividerli tra conservatori e progressisti mi appare come una semplificazione troppo riduttiva visto che ognuno è portatore di una sua interpretazione della società così forte da definire con il proprio nome, nel proprio spazio, una intera stagione politica. Per spiegarmi, un po’ come fu in Italia per Giolitti che, sarà stato pure il Ministro della malavita, ma ha segnato un’epoca: l’età giolittiana. O Wilson, la Thatcher, Roosevelt e così via. Concludendo, per fare, come hai fatto tu, un riferimento al Partito Democratico, delle difficoltà del quale sinceramente mi dolgo, ti dirò che, secondo me, proprio questa è stata ed è la colpa dei suoi vertici: avere una brillante idea di partito senza avere una idea compiuta di società. Non avere un sogno, né nessuno per far sognare. Solo stucchevole burocrazia. Tessere, primarie, partito leggero, correnti, congresso; ma chi se ne frega? Un partito senza spunti moderni e affascinati che arranca dietro la gente senza riuscire a capirla per davvero. Che si infogna a risolvere un intrigo che non è anagrafico come pensano in troppi, ma generazionale in senso culturale. Sarà per questo che da Livia Turco in poi qualcuno ha cominciato a chiedere scusa. Queste poche righe vogliono essere solo una provocazione di supporto alla tua ben più nobile e articolata sollecitazione. Si rivolgono, nell’ordine, all’On. Sesa Amici, della quale non ho mai letto una riga, all’On Claudio Moscardelli, del quale, invece, ho letto apprezzando lo stile e la “verve”, a Domenico Di Resta e Claudio Fazzone che parlano spesso ma non scrivono mai, al Presidente Armando Cusani che affida quasi sempre il suo pensiero all’adorabile penna di Alessia Tomasini. Scriveranno, Riccardo? Lo spero, ma non ci credo. Dovrai, come al solito, accontentarti di Lidano Grassucci che non si farà sfuggire l’occasione e se non ti offendi, di qualche mia noterella. Come ai tempi del dibattito su Stato e Chiesa. Ma allora avevamo almeno Mauro Cascio che voleva sposarti. Alla prossima. Un abbraccio.

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