giovedì 29 gennaio 2009

Piazza Farnese ricorda i parenti delle vittime di mafia


Francesco Furlan


Da quando scrivo, ho imparato che un buon articolo oltre a dover essere preciso sui fatti narrati deve fare notizia. E’ con questo spirito che ancora una volta ho seguito i fatti alla ricerca della notizia. Mercoledì mattina sono stato a Piazza Farnese a Roma per seguire la manifestazione dell’Associazione Nazionale Familiari Vittime della Mafia. Sono arrivato lì intorno alle nove. Piazza piccolina capace di contenere non più di quattromila persone. ‘Io so’ scritto a caratteri cubitali sui totem affianco al palco sotto cui campeggiava la storica foto che ritrae uno affianco all’altro Falcone e Borsellino. Io so che cosa mi chiedo non appena la leggo. Lo spiegano i familiari che si alternano sul palco e i video che vengono trasmessi. Sonia Alfano, figlia di Beppe, giornalista ucciso dai sicari mafiosi, regge la scena e annuncia un video crudo. Su una silenziosa piazza, che pur in un giorno feriale si va riempiendo al massimo delle sue capacità, viene proiettato un video in cui compaiono, uno dopo l’altro, filmati e foto d’epoca in cui sono ritratti, senza censure, i corpi uccisi di magistrati, carabinieri, poliziotti, innocenti servitori dello Stato trucidati, esplosi, lacerati, senza arti, lasciati cadaveri sulle strade, nelle auto, sui muri, nelle piazze e nei vicoli ovunque la rabbia mafiosa si sia scagliata. Chi scrive fatica a stento a trattenere le lacrime perché in un attimo diviene parte di quell'umanità negata, di quelle famiglie spezzate, improvvisamente si sente più italiano. Dopo il primo choc, un ulteriore pugno nello stomaco. Viene trasmesso, con tanto di sottotitoli, una conversazione intercettata tra Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, noto consigliere dell’attuale premier. Parlano di tale Mangano, ufficialmente stalliere della villa di Arcore di proprietà del premier. Si raccontano tra loro di un recente, all’epoca dell’intercettazione, fatto di cronaca: parlano di una bomba, di qualche chilo di tritolo, di denaro da dare a qualcuno perché Mangano la faccia franca. Proseguono raccontandosi che Mangano è una persona che “non sa né leggere, né scrivere” e che quando vuole mandare un messaggio, mette una bomba. Ridono. Un altro filmato subito dopo: si riconosce Paolo Borsellino. E’ l’ultima intervista rilasciata prima di saltare in aria in via D’Amelio a Palermo. Racconta di un’inchiesta che vede coinvolti Mangano e Dell’Utri. Terminano i filmati e cominciano uno dopo l’altro a comparire sul palco i familiari delle vittime di mafia. Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, è rabbioso e commovente allo stesso tempo. Lui e Sonia Alfano fanno accuse precise. Accusano l’attuale ministro della Giustizia Angelino Alfano di essere stato a matrimoni di noti appartenenti a Cosa Nostra, accusano il presidente del Senato Renato Schifani di essere stato consulente in Comuni sciolti per mafia, accusano il presidente del Consiglio di essere il primo a tenere rapporti con la criminalità organizzata e a puntare all’indebolimento della magistratura nella lotta contro Cosa Nostra. Borsellino è durissimo: “Mio fratello Paolo non avrebbe mai accettato di essere ucciso come accade oggi”. Si riferisce ai magistrati Clementina Forleo, Luigi De Magistris, Luigi Apicella allontanati dai loro posti di lavoro. E urla: “Mille volte avrebbe preferito il tritolo in cui è esploso lui e gli uomini della sua scorta”. Poi entrano in scena i volti noti e attesi: Di Pietro, Travaglio, Grillo. Le frasi che Di Pietro pronuncia nei confronti del presidente della Repubblica Giuseppe Napolitano sono acqua fresca al confronto di quanto è stato affermato sino a pochi minuti prima da chi, per rabbia o perché “Io so”, ha accusato senza mezzi termini i vertici dello stato. Ma la notizia dalla piazza, ieri che ho aperto i giornali più accreditati, era uno striscione esposto, “Napolitano dorme, l’Italia insorge”, e le frasi di Di Pietro, non che in una piazza di quattromila persone, familiari di vittime di mafia non credono più in chi rappresenta lo Stato e anzi indicano, facendo nomi e cognomi, i suoi rappresentanti attuali come i mandanti della morte dei loro cari. In Italia, evidentemente, che chi dovrebbe non creda più nello Stato, non fa alcuna notizia. E nemmeno fa notizia che non senta il bisogno di difendersi chi pubblicamente è accusato di cose gravissime. Più politicamente corretto difendere il Presidente della Repubblica dall’accusa di narcolessia e scarsa equidistanza. E cosa, invece, da preferire eticamente?

Nessun commento:

Posta un commento