mercoledì 2 settembre 2009

Il giusto e l’umano

2 Settembre 2009 
Lidano Grassucci
Faccio questo mestiere per accidenti, e forse lo faccio male. Volevo fare lo storico, raccontare le cose passate del mondo, non la ordinarietà del presente, me lo sono ricordato per via di una e-mail di una mia amica che non sentivo da anni che era inorridita dopo un documentario che raccontava delle bombe atomiche sul Giappone. “Come ha potuto una grande nazione civile fare questo?” Domanda che nelle università del mondo è quasi un ritornello. Le ho risposto di getto, con ragione: “se non lo facevano sarebbero morti migliaia di ragazzi americani e giapponesi”. Poi ci ho pensato, un po’. Ma non si fa la somma dei morti, non si muore in mille, in cento, in un milione. Si muore ciascuno per se, si muore singolarmente. Ed ogni morte è la tragedia. La mia risposta era quella di un medico davanti ad un tumore, cinica, fredda razionale. Non era umana, mi sono ripreso dicendo che “la storia non è umana”. Ma noi lo siamo, noi abbiamo la ragione ma anche la pietà, l’idea che ogni fine è fine del mondo. Perché racconti questo? Per dire che nel mio mestiere, quello che mi ha scelto (il giornale), a differenza di quello che volevo (la storia), deve essere umano, deve essere rigorosamente umano. Deve avere rispetto per il racconto e per chi viene raccontato. Rispetto che significa pensare quando si scrive che dentro le frasi ci sono persone con carne, occhi testa, tristezze e felicità. Il giudizio “hanno fatto bene perché altrimenti sarebbe stato peggio” è giusto, è razionale, ma non è umano. L’idea che i protagonisti delle storie che raccontiamo siamo rei, siano cattivi è giusta, è razionale ma non è umana. Le bombe sul Giappone le avrei sganciate era la cosa giusta, ma resta una cosa disumana. Così quando scriviamo, un pizzico di pietà non farebbe male. Alla mia amica ho risposto con saccenza, non ho risposto con umanità. 

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