giovedì 1 aprile 2010

Le sette penne della mia Quaresima

Luisa Guarino


A Ponza la fantasia popolare personifica concetti astratti e momenti delle stagioni e dei giorni. Basta leggere quanto scrivono gli studiosi di storia e usi e costumi isolani per rendersene conto, Ernesto Prudente, Francesco De Luca, Luigi Sandolo e altri. Accade così che le ore estive dopo pranzo siano raffigurate dalla Controra, che nell’immaginario popolare è una vecchia vestita di nero pronta a ghermire i ragazzini che invece di fare il pisolino giocano in strada; le minacciose trombe d’aria che s’innalzano dal mare sono, in italiano, le ‘code di Zefiro’. Non si sottrae a questa usanza il periodo che precede Pasqua, la Quaresima, di cui stiamo vivendo le ultime fasi. Il lasso di tempo che precede la festività di Pasqua, a Ponza è personificato da una sorta di bambola di pezza, Quaresima appunto, nata molto prima di Barbie & Company e oggettivamente parecchio più brutta. A partire dalla prima domenica del periodo quaresimale questo pupazzo, realizzato a mano da una nonna o una mamma, viene (ma forse sarebbe più giusto dire veniva) appeso in alto, nella parte interna di una finestra o di un balcone; in testa, poste a raggiera, sette penne di gallina, sei nere e una bianca, che rappresentano rispettivamente le domeniche che precedono la festività, e la Pasqua. Pur non essendo legatissima a tante tradizioni della mia isola, continuo a restare molto attaccata alla mia Quaresima, anche se è bruttarella e vecchiotta. Ma l’ha confezionata la mia nonna materna, Fortunata, anzi Fortunatina come la chiamavano a Ponza, che non c’è più da quasi quarant’anni. Certo, guardandola bene, Quaresima avrebbe bisogno di un bel lifting, ma io la trovo bellissima lo stesso. Forse a Ponza resterebbero a dir poco sorpresi dal contesto in cui l’ho inserita, e forse anche nonna Fortunata inarcherebbe le sopracciglia e mi direbbe: “Picceré, che hai combinato!?” Ma io la vedo bene lì, anno dopo anno, in cucina, sullo sfondo di quella specie di bacheca, lo strofinaccio calendario dell’anno in corso, su cui sono appuntati ritagli di vario genere: dagli orari di treni e bus ai vincitori degli Oscar, di Venezia e Cannes; dalle immagini di Richard Gere e Biagio Antonacci a qualche ricetta che non realizzerò mai. Certo, la location è un po’ singolare, ma si sa che nella tradizione popolare il confine tra sacro e profano è spesso molto sottile. Ed eccola là la mia Quaresima, con l’ultima penna bianca in testa e il piccolo fuso per la lana tra le mani. Sa che mi farà compagnia ancora per poco. Ma se ogni anno per me Pasqua ha sempre un senso, è anche merito suo.

2 commenti:

  1. ne avevo sentito parlare del pupazzo della Quaresima ma non ne avevo mai visto uno....
    carino!!!
    comunque è un modo per ricordare una fase della tua vita ed anche tua nonna
    ciao
    francesca

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  2. sembri Quaresima, longa e teseca...l'ho sempre sentito, ma non conoscevo l'usanza. Erano i tempi in cui la chiattezza era mezza bellezza, e le povere Quaresima e Controra sfiguravano.
    rita

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