Lidano Grassucci
Per chi non ha il dono della fede è tempo in cui il freddo va via, è tempo del grano nuovo che esce a sentire non più il freddo ma il fresco. Per chi crede nel Verbo questo è il tempo in cui la morte incombe e la rinascita è tra tre giorni. Cominciamo dalla fine: nel senso che i riti della Settimana Santa iniziano dalla fine, dalla morte. In molti ieri sera saranno andati a vedere le rappresentazioni, le processioni a Sezze a Maenza, o a seguire i canti delle Donne di Giulianello. Quei riti vogliono “ricordare” la fine, vogliono rendere la fine che è sempre individuale come dramma di tutti. Come momento in cui insieme affrontiamo la questione che le società industriali, borghesi, hanno rimosso. I riti del Venerdì Santo non sono spettacoli come Sanremo, Amici. Le donne di Giulianello non stanno a X Factor, Sono “percorsi” dentro l’umano. Ieri l’umanità tutta si è confrontata con la fine, ha ripreso ritualmente il filo di 2000 anni, ed è ancora viva. E’ risorta, l’umanità vince la fine, l’uomo singolo no. Ecco i riti del Venerdì sono questo: l’esorcizzazione collettiva dei drammi individuali, sono l’idea che la “comunità” è eterna se si ripete, se sta nel circolo infinito del tempo. I riti sono come il mantra indiano, il rosario cattolico, sono gocce che scavano la roccia.
Per questo senso della continuità le nostre radici sono disponibili ad accettare la fine del singolo, il nostro presente no. La processione del Venerdì Santo è viatico, è percorso, la rappresentazione della vita del Cristo è condivisione della storia.
Il canto a Giulianello è collettivo, è l’idea che se si canta insieme, in comunità, il canto non finisce mai. Gli occhi con cui andiamo a guardare i riti del Venerdì Santo sono da critica teatrale, da analisi delle note del canto. E’ come misurare l’altezza dell’Everest con i bit, o di quantificare la quantità del vino di una botte con la misura delle ore.
I riti del Venerdì Santo non ci sono a Latina, ad Aprilia, a Pontinia sono relegate nei monti, sono stati cacciati via dagli uomini nuovi che hanno fatto il piano. La rappresentazione dell’uomo vecchio che fugge dalla pianura cacciato dall’uomo nuovo fascista di Cambellotti che arreda l’aula consiliare della provincia è questo (l’ha usato anche Pennacchi come copertina del suo “canale Mussolini” in odor di Strega). Via i miti del passato, via l’idea comunitaria dentro l’idea dell’individuo senza riti vecchi, con riti nuovi.
Dio è morto e qui potrebbe finire la Storia, per l’uomo nuovo altro non c’è. Per i riti, per gli uomini vecchi, c’è il divino che non termina.
Ma domani si penserà alla gita fuori porta, il resto è tempo perso. E resteremo soli, soli davanti alla fine e anche davanti al vivere. E le Donne di Giulianello? Uno spettacolo bello. La processione di Sezze? Ci sono gli attori famosi.
Una tristezza infinita
venerdì 2 aprile 2010
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