sabato 3 aprile 2010
Giulianello - Il suono antico dei Canti della Passione
Maria Corsetti
Il senso vero del Venerdì Santo, il dolore dell’uomo, il dolore di una madre di fronte al sepolcro del figlio. In quella strada larga e deserta alle quattro del pomeriggio di Giulianello ieri è risuonato un canto tragico. Ma talmente bello da lasciare spazio alla speranza. L’avevo già ascoltate le Donne di Giulianello, ma mai nei luoghi delle radici delle loro melodie. Non è solo tradizione, è tutto un mondo che si racconta, è la spiritualità degli angoli della terra, una spiritualità lontana anni luce dalle sedi di Santa Romana Chiesa. Il canto si allunga lungo i vicoli, fino ad arrivare in Chiesa. Una processione i cui unici addobbi sono i fiori sulla Croce del Cristo. È così che deve essere il Venerdì Santo. Di fronte a quel sepolcro le Donne cantano e cantano ancora. Intorno è silenzio e raccoglimento. Il dolore non conosce lussi, non conosce gli abiti della festa. Solo silenzio, dignità e quel canto devastante. Bellissimo. Voci allenate da decenni di vita dura, in campagna. Raccontano le Donne di Giulianello, prima di mettersi in cammino, di quando bambine, avevano dodici anni, iniziarono a lavorare nei campi. «Non c’era orario - raccontano – si iniziava che era buio, di mattina, e si finiva che era buio, di sera». Erano tempi di fame, fame terribile anche per chi si spezzava la schiena. «Cantavamo per dimenticare la fame». Una consolazione che le ha portate fino a oggi. Hanno sessanta, settanta, ottant’anni e più. Negli anni ’70 Giovanna Marini le scoprì, le studiò. Ambrogio Sparagna le ha fatte conoscere al mondo. A credere in loro, ad aiutarle nella loro vita artistica che mai avrebbero immaginato, Raffaele Marchetti. Non è voluto mancare Raffaele ieri, nonostante poche ore prima fosse stato colpito dal dolore tremendo della perdita della mamma. «Mamma avrebbe voluto che io fossi stato qui con loro» ha detto mentre seguiva la processione. Può un canto cancellare un dolore? No, ma aiuta a respirare nei momenti più brutti. Così come ha aiutato tanti donne e tanti uomini a respirare tra le miserie di un mondo ingeneroso. Non c’erano turisti ieri a Giulianello, eppure uno spettacolo del genere ne meriterebbe. Uno spettacolo senza alcuna spettacolarizzazione, crudo ed essenziale, tutto concentrato sull’anima e sul bisogno dell’anima di cercare un perché. Ci sono tanti modi di chiedersi il perché della vita e della morte. Lo hanno fatto i più raffinati pensatori. Ma tutto nasce da lì, dalla tragedia dell’uomo che è la stessa a ogni latitudine. Che è la stessa anche se il figlio che vai a piangere si chiama Gesù.
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