sabato 3 aprile 2010

Filologico - I new-etnici e i bei tempi di una volta



Maria Corsetti

I bei tempi di una volta? Qualche dubbio già mi era venuto. Si cresceva più sani e robusti? Direi che la selezione naturale era spietata e i deboli ci lasciavano le penne. Molto spesso in tenerissima età. La vita sana dei campi? E anche qui. Un conto è una passeggiata tra i fiori e gli alberi di frutta, altra storia è spaccarsi la schiena dalle otto alle dieci ore al giorno. Freddo, gelo o sole da crepare. Chi sopravvive arriva naturalmente a traguardare i cent’anni: ha gli anticorpi da olimpiade e una fibra impastata con l’acciaio inossidabile.  Ieri era Venerdì Santo e le Donne di Giulianello si sono recate al Sepolcro allestito in chiesa cantando. Un canto bellissimo. Tanto da entusiasmare frotte di new-etnici. Io li chiamo così. Si nutrono integrale, sorseggiano tisane, la televisione è spazzatura, il telefono un male necessario. Ascoltano i canti inneggiando ai tempi che furono. Sui bei tempi di una volta mi risponde la signora Auria Marchetti, 88 anni compiuti l’8 marzo. . «C’era fame, tanta fame. Ho iniziato a lavorare in campagna a dodici anni». Ha una voce splendida. «Cantavamo così ci passava la fame». Basta così. I new-etnici possono accomodarsi e andare a raccogliere i pomodori.

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