giovedì 18 marzo 2010

Cinque minuti e le cure palliative



Lidano Grassucci
“Solo cinque minuti”, che sono cinque minuti? Niente, passano in cinque minuti e poi ne arrivano altri cinque, e cinque ancora. E se fossero tutto? Ecco ho incontrato persone che lavorano con chi ha solo cinque minuti. E vedi il mondo da un altro punto di vista. Sono all’unità di cure palliative della Clinica San Marco, è una giornata di sole, un giorno vivo, allegro. Berlusconi ha appena attaccato la congiura comunista, i magistrati lo hanno inquisito per aver parlato al telefono della eliminazione di tutti gli orsi marsicani con possibile rinvio a giudizio per “strage”. Visto da qui sembriamo quel che siamo: ridicoli. «Vede se parlo con uno dei miei pazienti non so se avrò occasione di rifarlo» dice Domenico Russo, il primario di questo servizio in convenzione Asl, qui si combatte forse la cosa che è meno malattia di tutte, l’ultimo pezzo del vivere. Sto qui, Michela Guarda è la coordinatrice del servizio un sorriso disponibile, vero, allegro. Più riservata la geriatra Valentina Di Iorio. La corsia e le stanze sono pittate di fresco, colori pastello e non c’è silenzio, c’è movimento, vivacità. Penso ai cinque minuti, il dottor Russo mi parla delle terapie del dolore, del diritto a non essere lasciati soli. Dovrei correre verso i miei prossimi cinque minuti, invece mi fermo nei miei cinque minuti lì, assaporo. Qualcuno nella tisaneria del reparto ha portato delle zeppole di San Giuseppe con la crema, le guardo le vorrei mangiare con ingordigia. Gli racconto di quando per la prima volta nella mia vita ho incontrato, ho toccato la fine e dei parenti che mangiavano nella stanza accanto a quella del morto per “onorarlo”. Una amica mi aveva raccontato qualche giorno prima che a Petra i morti erano in alto per far meno strada verso il cielo e sotto c’era la stanza dove i parenti mangiavano quando lo andavano ad onorare, in Sud America invece ci mangiano sopra le tombe. Cinque minuti e ti rendi conto che la situazione intorno è tragica ma fa ridere. Prendo il caffè, vado via, ma non inseguo i miei prossimi cinque minuti mi tengo questi che ho, li tengo stretti. Mi telefona un amico arrabbiato, che spreco di minuti.
Ringrazio quelli dell’Hospice, credo che un paese che cura il dolore e dialoga cinque minuti con chi ha cinque minuti sia un grande paese. Lo vorrei dire ad Obama, vorrei dirgli vieni qui e capisci e fai capire ai tuoi perché noi europei siamo civili. Vado via e, per una volta mi sono sentito orgoglioso del mio paese, della mia città e… pure della mia Asl.

1 commento:

  1. Conosco l'hospice di LAtina..assistono mia suocera a domicilio...sono persone che davvero hanno a cuore il tempo di questi malati e rendono loro la dignità che le malattie tolgono e alleviano la loro sofferenza oltre che con le medicine con il sorriso..io li chiamo i miei angeli.Ringrazio Michela Guarda che mi è di sostegno in questi mesi ...ringrazio tutto il reparto Ilda Cucca

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