giovedì 25 marzo 2010

Ci sono gli echi della terra la cui tragedia è domata solo al canto

Maria Corsetti

Che strano riascoltare quei canti attraverso le casse di un computer.
Filtrati dalla tecnologia acquistano una punta di retrogusto artificiale al quale ormai il nostro orecchio non sa più rinunciare.
Viste dal vivo, ascoltate dal vivo, le Donne di Giulianello sono l'ultima incarnazione dei canti dei contadini, dei canti della passione, dei canti ascoltati durante le processioni.
Scampoli di un mondo dove la sacralità si era impadronita dei riti pagani, senza riuscire però a cancellarne le radici profonde, l'impronta dura del lavoro, della terra, della natura madre matrigna. Un mondo dove la consolazione poteva avvenire attraverso un canto.

Chi l'ha sentito quel canto, durante le processioni, se lo ricorda subito. Per quelle voci alte e quelle figure consumate dal tempo, per la capacità di arrivare lontano nello spazio e nell'anima.
Non è perfetto quel canto, non lo è nella dizione, non lo è nel suono. Ma è armonioso. E' come la natura: imperfetta e potente, armoniosa. E l'incontro con la natura, quella vera, l'incontro privo di filtri di difesa, è difficile, spesso intollerabile.

L'uomo di oggi guarda al passato con la nostalgia verso qualcosa di mai esistito. Si raffigura la tradizione a sua immagine.
E' un antropomorfismo moderno la lettura che viene data della tradizione. Pulita, edulcorata, resa perfetta dall'esercizio metodico e programmato. Quando il mondo cambia è l'unica maniera per conservare l'immagine di quello che è stato.

Le Donne di Giulianello sono quello che è stato.
Non rappresentazione della tradizione, ma tradizione vissuta sulla propria pelle, portata dentro il loro vivere.
Ascoltarle per la prima volta restituisce il senso di estraneità che si prova verso un passato prossimo sepolto in fretta.  

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