giovedì 3 dicembre 2009

Via dall’Italia, io resterei

Lidano Grassucci

“Non andate via”, Giorgio Napolitano quasi implora i giovani italiani. Restare, ma per far cosa? Io rimarrei? Forse no. Che ci stai fare in un posto in cui contano i cognomi e non le competenze, in cui il merito viene dopo la famiglia? Me ne andrei, via di qui.
Che ci faccio in un posto in cui la mediocrità di star sempre con chi vince è sport unico. Che ci faccio in un posto dove repubblica non significa “cosa di tutti”, ma è intesa come “Cosa di ciascuno”. Non siamo una nazione ma un casuale incontro di egoismi. Sì, è il caso di andar via, di andarmene lontano dove il metro è l’intelligenza, il genio.
Sto in un paese vecchio, triste. In una città dove ci si toglie il cappello davanti al capo e le colpe stanno sempre altrove.
Me ne andrei, che ci faccio qui.
Perché un giovane dovrebbe dar retta a Napolitano? Conosco tanti che se ne sono andati dall’Italia, dalla loro città, da quella che era la loro Patria. Una Patria che dalle mie parti muore spesso, muore perché è un sentire comune e in un mondo di egoisti è cosa estranea come l’acqua nel deserto.
Andarsene? Qua se ne andarono tutti l’8 settembre del 43, tutti dal Re in giù. Tutti, ma ciascuno pensando a casa sua. Il mondo non ci considerò eroi quei giorni, noi non fummo eroi. Anche allora dicevano: ma era difficile fare altrimenti. Perché ci sono sfide facili?
I giovani non hanno futuro, dicono quali che li invitano ad andar via. Ora che ci penso ma chi deve “fare il futuro” dei giovani? Dovrebbero essere i padri a “garantire” il domani? Ma il domani non è dei padri, non è dei nonni, è dei ragazzi.
Questo è il paese in cui ho letto che “è necessario garantire la sicurezza dei militari in aree di crisi”, detto seriamente e nella tv di stato. Insomma si chiedeva un esercito con l’assicurazione contro le cadute. Ho letto commenti tipo: “non c’è lo Stato”. Che sarebbe: non ci sono i cittadini, non c’è la terra. I giovani non debbono andar via i giovani debbono cacciare i padri.
Pier Luigi Celli, quello che ha suggerito al figlio di andar via dall’Italia, è direttore generale della Luiss (l’università privata di Roma) scrive su La Repubblica. Insomma non è un emarginato. Domanda: se questo paese non va di chi è la colpa? Se lui invita ad andar via suo figlio, che magari in America ci può andare, ci dice cosa suggerisce di fare al figlio del metalmeccanico di Termini Imerese? Celli vuol mandare via il figlio perché lui a 67 anni non ha intenzione di schiodare, di far spazio.
Celli non scrive per generosità, ma per egoismo.
No, ho capito non me ne andrei. Resterei per cambiare, per mettermi alla prova. Per coltivare un sogno.
Sì, se fossi un ragazzo resterei qui, al mio posto e ci proverei. Proverei a cacciare i Celli dalla loro supponenza, a mandare a casa coloro che non sognano più perché la senilità è nemica della fantasia.
No non me ne andrei ma manderei un missiva a Celli, a Napolitano a Berlusconi consigliando loro: “ma non è forse tempo che andate a giocare con i nipoti”? Qui non debbono andar vi i giovani, ma in pensione i vecchi.

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