giovedì 19 novembre 2009

La rimozione della fine



Lidano Grassucci

Raccontiamo oggi di un morto sul lavoro. Morire per vivere è una contraddizione in termini è una barbarie. Il lavoro è cambiato, chi ricorda “Rosso malpelo” il lavoro in cava, il lavoro dei bambini. Guardiamo con disgusto i piccoli che fanno i palloni in Pakistan, guardiamo con pietà i ragazzi davanti alle macchine da cucire nel sud est asiatico.
Noi eravamo così, a 12 o 14 anni i bimbi di queste lande diventavano uomini in palude. Lavoravano in palude.
Ora a 12/14 anni si è bambini, è normale considerare criminale un datore di lavoro che lo facesse.
Cosa è accaduto nel mezzo? Semplice il “lavoro si è riscattato”, è diventato dignità. Ma si muore ancora. Ecco, si muore ancora, di meno, sempre di meno ma ancora.
Come si muore, di meno, ma ancora sulle strade. Sentirò oggi commenti duri sulle morti del lavoro, sulle morti stradali. Ma sono cose destinate ad essere ripetute. Perché c’è un problema della società contemporanea, un problema che per la prima volta assilla l’umanità, la “rimozione della fine”. Come se fosse possibile non finire, come se questo mondo non fosse a termine. Rischiamo di essere mortali che si pensano dei dell’Olimpo.
Andrò fuori le righe, ma questa è vita vera: ci si fa male sul serio; si ride veramente; si soffre altrettanto ed ha un termine.
Ho capito che la fine era umana quando è scomparso mio nonno, per me era grande. Una sorta di Superman, non pensavo ci potesse essere il mondo senza lui. Quando è finita sono venuti i suoi amici, i parenti, i vicini e non piangevano. “Testimoniavano”  della sua vita, poi mangiavano come fosse una festa. Lì per lì non capivo: come non c’è più ed è una festa? Ho compreso tanto tempo dopo. Era un pezzo della vita, era un evento normale, non era una colpa, non era il segno del male, non era sfortuna. Era normale. Forse dovremmo ripensare a quella cultura che della vita accettava tutto, anche l’ultimo pezzo. Non siamo immortali e sentiamo il dolore, ma possiamo vivere felici, la sfida è tutta qui.


Nessun commento:

Posta un commento