lunedì 21 settembre 2009

Si parli di Stato non di nazione



Fabrizio Bellini

Ho un grande rispetto per il Professor Tommaso Padoa-Schioppa e una profonda ammirazione per la profondità della sua cultura. Unica ombra, la sua attività di Ministro del Governo Prodi nella quale i contorni del “non saper fare “ e del “non poter fare” stentano a definirsi in un giudizio che vorrebbe comporsi in assoluta obiettività. Reso onore all’uomo e allo studioso, vorrei semplicemente segnalare agli amici interessati l’articolo che il Professore ha pubblicato sul Corriere della Sera il 20 settembre scorso dal suggestivo titolo “Si parli di Stato non di nazione”. Padoa-Schioppa interviene con intelligenza nel dibattito, per la verità ancora appena abbozzato, sulle celebrazioni del terzo cinquantenario dell’Unità d’Italia e ricorda che 150 anni fa non è nata una Nazione, in quanto già esisteva, ma uno Stato, quello italiano. Ora, pur condividendo pienamente la sua posizione, per puro spirito di polemica, vorrei affermare che quando il Professore ci propone la lingua come elemento di dimostrazione dell’idea di Nazione, sbaglia. Dante, Petrarca e Machiavelli, che richiama a sostegno, non c’entrano niente. Altrimenti come si spiegherebbe la separazione degli Stati Uniti d’America dall’Inghilterra e della Spagna dal Sud America nonché, viceversa, la coesione della Svizzera? Difficile, come difficile sarebbe voler legare la definizione di nazione a elementi quali la razza, la religione o, peggio, a una comunità di interessi. Ma ha straordinariamente ragione quando ci ricorda che la nascita della nazione italiana è un fatto culturale mentre la formazione dello Stato italiano è un fatto politico. Ed è quello, solo quello, che va celebrato. Secondo me diventa, poi, genialmente affascinante quando scrive: “ La peculiarità della storia italiana non è la nascita recente della nazione, è la combinazione di una nazione precoce e di uno Stato tardivo”. Ora sappiamo tutti che della nostra bella lingua si è fatto scempio e che, forse, per il diffondersi delle semplificazioni legate al linguaggio televisivo, a Internet e agli sms, molti tendono ad usare il termine nazione come sinonimo di Stato e i più ignoranti lo confondono addirittura con paese. E’ questo il senso di questo mio noioso intervento: vorrei riproporre ai lettori giovani la definizione di nazione che, nel XIX secolo, Ernest Renan, ci ha lasciato in eredità. Affinché ogni cosa torni al suo posto e le parole mantengano un significato autentico. Se opportunamente posseduti i concetti di Renan potrebbero sostenere buona parte del dibattito sul federalismo, definirne gli ambiti ed evitarci la supina accettazione di tanti, troppi, luoghi comuni: “ Una nazione è un’anima, un principio spirituale. Due cose che in realtà sono una cosa sola, costituiscono quest’anima e questo principio spirituale: una è nel passato, l’altra nel presente. Una è il comune possesso di una ricca eredità di ricordi; l’altra è il consenso attuale, il desiderio di vivere insieme. La nazione è dunque una grande solidarietà, costituita dal sentimento dei sacrifici compiuti e da quelli che si è ancora disposti a compiere insieme. Presuppone un passato, ma si riassume nel presente attraverso un fatto tangibile: il consenso, il desiderio chiaramente espresso di continuare a vivere insieme.”

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