sabato 29 agosto 2009

RACCONTI - Il sognatore

 Lidano Grassucci
 Per esser strano era strano, aveva una camicia bianca linda. I suoi stivali erano lucidi e… e non aveva fretta. Da queste parti i forestieri bazzicano poco, del resto cosa ci vengono a fare. Non c’è niente e anche noi che ci siamo siamo poca cosa, anzi niente siamo per il curato. Io stavo sulla strada per via della velocità che mi contraddistingue. Mi chiamano lampo, se mi vedi sto già da un’altra parte. Il forestiero invece era lento e pure il cavallo non era proprio un campione.
Lo avevo seguito con lo sguardo dal piano, ora era davanti a me. Quando mi vede si ferma, del resto da queste parti non sono rari gli alberi o l’acqua, o le rovine mancano i cristiani. Mi scuserete nell’uso dei vocaboli, capii molto dopo che tutto aveva un suo senso e che, sbagliando, usavo il termine di cristiano per dire “uomo”. Ma io di non cristiani non ne conoscevo ad esclusione di un paio di giudii che c’erano nel paese ma mi sembravano tali e quali a noi. Li chiamavamo, i nostri ebrei, spagnoletti per via del fatto che, tanto tempo prima, erano arrivati dalla Spagna.
Altro non sapevo. Il forestiero a cavallo mi chiede: “ehi, ragazzino ma il paese?”. Parlava come i vecchi nelle osterie quando ubriachi giocavano con le poesie, parlava meglio del capo delle guardie del Papa quando parlava con il curato. Io pronto: “si arrivato”.
Portava come il breviario del prete, ma non era uguale e fino a quando non mi ha incontrato stava con gli occhi fermi sopra quella cosa. Incuriosito chiedo: “ma che è?”. Lui “un libro”. “Perché sapete leggere?”. Lui di rimando: “Tutti dovrebbero saper leggere”. “I no”. Già leggere, io sapevo leggere: sapevo leggere gli alberi, capivo da dove veniva il vento, sapevo leggere la cavalla e capire se si stava a incazzà, sapevo leggere la marina e vedere se veniva a piove. Sapevo legge il temporale che veniva dalla montagna e scappavo via. Ma ste cose mica le mettevo in fila con il leggere, fu lui, lo straniero a raccontarmele, poi. Quando si fermò.
“Non sai leggere” disse quella volta. “ma come, il curato non ti ha insegnato?”. Mi era già messo paura: “no, no, no. non saccio niente”. Che dicevo, papà quando era partito, alla prima rinfrescata per la palude m’aveva detto: “ statte zitto, non dì niente a nessuno”.
“Ah, tu non leggi. E tuo padre?”. A questa domanda sapevo rispondere, non era difficile, “no, no. nu nun leggemo”. Mi gonfio il petto, perché avevo conosciuto uno che leggeva, mi pareva pure bravo ma le guardie lo presero e lo hanno portato a Velletri, poi non l’ho più visto. Dice che voleva che il Papa non fosse Re, e che voleva esse Re lui, ma che roba. “Re – me disse nonno- c’ha da nasce”. E quello era nato proprio come noi, che Re non siamo.
Le guardie se lo so careggiato e non se seppe più niente. Papà, che nui chiamamo Tata, me disse: “visto figlio me, non legge mai ca so cose cattive. Facemo legge al curato ca isso sa”.
Mo perché mischio tutte ste cose non lo so, ma me ve. Ah, ecco perché. Pel forestiero.
Dice, lui, “non leggi e non sai di Roma?”. Roma, mo non sapevo risponde, a Roma c’era stata nonna pe via de certo lavori che faceva di ricamo e di uno, un gentiluomo, che li voleva pe la figlia.
A Roma c’era stato pure il curato, e il capo delle guardie diceva sempre quando stava al bar: “ave ricevuto ordini da Roma”. Boh, ma che è Roma?
Non parlavo, mica ero fesso. Questo era guardia.
“Non sapete che a Roma c’è la Repubblica?”. Mo, sarà forte che ero alto pe l’età mia, ma qua la cosa se faceva triste, che gli dicevo. La repubblica? E che è. Na volta avevo sentito parlare di sta repubblica i signori in piazza, io so curioso e sento, poi quando mi vedono (so Lampo) sto già ann’altro posto. I signori dicevano “E che è na repubblica qua”. Parlavano serio e in pizzo, erano cose importanti. Il curato: “Satanassi, satanassi”.
Mo questo che vo? “A Roma c’è la Repubblica, hai capito. Adesso sei libero”.
Libero? E chi mi ferma, chi mi ha mai fermato. Ma che vo questo, che libertà dice.
“Sono venuto a dirvelo, siete liberi siete italiani”. Boh, boh. Ma come sarei italiano, che è italiano. Io sono io, sono questa gente mia, cosa vuole questo.
“Ragazzo è tempo nuovo”. Faceva fresco come l’anno scorso di questi tempi, il tempo era tempo uguale. Che dice.
“A Roma Mazzini ha fatto la Repubblica, il Papa è scappato”. Il Papa è scappato? Qua se fa brutta, perché chi parla male del Papa brutta fine fa. “Scherza con i fanti, ma lascia stare i santi”.
Io me ne vado, questo è matto di brutto. Nonno mio dice che il nonno del nonno suo doveva fa quello che diceva il prete. Mo il Papa scappa perché lo dice uno che è più del Papa: “Sto Mazzini è Dio, solo Dio è più del Papa”, gli dico deciso.
Lui mi guarda e ride: “No, no. Mazzini è un uomo, è un italiano”. Ero ignorante ma la capoccia mi girava: “Beh allora che vorresti dì che l’Italia è più del Papa”. Il forestiero mi guarda, gli occhi diventano lucidi come quando mi veniva da parlare di Filomena, la donna mia (ma lei mica lo sa ancora), e dice: “E’ più di tutto, è essere liberi. Uomini con gli uomini”. E tira fuori no straccio, bianco, rosso e verde. Dice: “ecco l’Italia”.
L’Italia è uno straccio? Lui alza quello pezzo di stoffa, in mezzo sul bianco c’era una scritta. Sento un botto, lui cade. Gli hanno sparato le guardie, gli hanno sparato appena visto quello straccio. Lui grida “Dio e popolo, viva la Repubblica, viva Mazzini”.
Era venuto a dirci che eravamo diventate persone, ma io non sapevo leggere.
Sono venute le guardie che hanno strappato la bandiera, il curato ha risolto tutto in fretta: “non entra in chiesa, ha bestemmiato”. Non era vero aveva parlato con me e non aveva detto niente di male, niente. Amava questa Italia come io Filomena mia, mi ha detto libero e non ho capito.
Che cosa mi doveva capitare. Lo hanno sepolto fuori dal camposanto, insieme a due giudii. Sulla lapide non c’è scritto niente. Forse finirà così st’Italia che sognava.

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