venerdì 17 luglio 2009

L’incertezza del Diritto, la libertà di Croce e io che non mi sento italiano

Lidano Grassucci



Guardo la tv nazionale, il fatturato dell’industria in Italia è sceso del 25%, del 31% gli ordinativi. Poi il commentatore ci conforta: ma a maggio rispetto ad aprile gli ordini sono cresciuti dello 0.4%. Mi sento un po’ preso in giro, abbiamo prodotto un quarto di ricchezza in meno. Non c’è da ridere. Passo davanti la Pettinicchio, l’azienda simbolo dell’industria di qualità pontina legata al territorio (il resto di retorica mettetecelo voi), è chiuso e ormai le bandiere della Cgil e dell’Ugl sono slabbrate e sbiadite, l’atmosfera è da morto, da cimitero. Dici lo Stato, il potere collettivo ora cercherà di aiutare i cittadini? Ma di cosa parlate: a Ponza la magistratura ha “arrestato i pontili” perché le boe sono prive di concessione edilizia. E li dove c’era vita, economia, piacere di vivere (che è un porto) c’è un cimitero. Taccio della tristezza che mi mette il Villaggio al Parco sulla litoranea di Sabaudia bloccato da una magistratura che ha scoperto che quelle case non si dovevano fare solo quando sono state finite. Sto sulla 156 leggo il cartello: posso andare a 50 chilometri all’ora, pure togliendo il piede del tutto dall’acceleratore non ci riesco. Dentro la mia macchina sono legato come un maiale al sedile. Mi telefonano dal giornale, rispondo grazie alle cuffie che ho in dotazione, e mi avvertono che ad Aprilia hanno fatto una grane operazione e preso 22 criminali. Dico “che hanno fatto?”. Non avrebbero versato i contributi. Non ci credo, chiedo conferma. Ribadiscono. Mi fermo, così dovrebbero indagare sul 70% degli imprenditori italiani, dovrebbero indagare su ogni singolo mio concittadino che si deve difendere. Se questo è il reato, nessuno può scagliare la prima pietra, se questo è il male assoluto, allora siamo tutti rei.
Craxi in parlamento davanti al moralismo ignobile chiese di scagliare la prima pietra. Tutti rimasero immobili, fermi. Ma lui fu costretto a morire in terra straniera, come gli eroi del Risorgimento, come i liberi durante la dittatura fascista.
Nessuno fermò il golpe giudiziario e ora siamo tutti in libertà provvisoria.
Da ragazzo mi ero innamorato di Benedetto Croce. Lui raccontava la storia del mio paese, l’Italia, come percorso per la libertà. Il fascismo era una parentesi, orribile, in questa corsa che era determinata dalla storia stessa verso una Patria di liberi. E ora sto in un mondo dove c’è l’incertezza del diritto. Mi scuserete, ma questa non è la mia Patria. Questo posto non fa per me.
Quando mi ferma anche solo un vigile mi appello, da laico, alla clemenza di Dio. Un giorno i vigili mi fermano: avevo la cintura, l’auto nuova di zecca, le cuffie per il telefonino, mi ero fermato al rosso, ripartito con il verde, non superato la mezzeria, patente in ordine e libretto di circolazione da manuale, assicurazione pagata. Ho usato modi cortesi con i vigili, loro sono stati scrupolosi. Mi ridanno la mia roba dopo i controlli, arriva il capopattuglia e mi dice: “è in contravvenzione non ha i fanali accesi”. Resto di sale. Non credo alle mie orecchie, mi guardo intorno e… vorrei dimettermi da italiano. Mi sa che Benedetto Croce è stato un cattivo maestro, fortuna che è già morto altrimenti gli mandavano i Carabinieri con l’avviso di garanzia per “istigazione alla libertà”.

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