sabato 25 aprile 2009

Campo di Sezze e i miei tuareg

Lidano Grassucci
Ogni tanto mi piglia questa nostalgia. Sono passato dall’alto in aereo sul campo di Sezze, quella terra che va dalla stazione a Ceriara, dall’Ufente alla via Murillo. Era la terra che conosco da piccolo, quella con cui giocavo quando diventava fango e io ci mettevo le mani. Dall’alto si vedeva che era differente, nera, come il carbone. Nera come la pelle di quella gente che ci stava sopra, fresca quando è fresco e calda quando è caldo. Ho visto l’Ufente che correva budello limpido che gioca tra le terre. Nera, nera, da farti male agli occhi e verde da pugno sui fianchi.
Ma soprattutto sola. Ti ci devi abituare a quel silenzio. D’estate la terra bassa ribolliva, l’aria si fermava e gli animali si nascondevano alla frescura. Come nel deserto americano, e i mulinelli sono neri, ma hanno la stessa eleganza di quelli del Sahara.
Sarà per questo che non amo la gente della terra marrone, la gente che viene dalla sabbia. Noi, quelli che da generazioni vivono qui, siamo i tuareg di questo deserto, gli uomini blu di questo angolo di mondo dove solo l’anarchia poteva affascinare. Qui i soli, gli uomini soli, si incontravano di rado e con il coltello. Qui il giusto e l’ignavia erano sangue pesto. Da piccolo quando ci vivevo sentitivi cantare in latino quando c’era ancora il fresco della mattina. Poi sentivi i nomi dei santi a cui affidare le imprecazioni per il dolore, per la fatica che erano piatti, bassi e infiniti come tutto qui.
Stavo in alto e sotto era tutto nero. Me ne sono andato da lì ormai da tanti anni (neanche ricordo quanti), ma ogni tanto mi chiedo cosa ci faccio qui. Cosa ci faccio in queste terre argillose, tra questi canali dove l’acqua corre lenta. Dove la terra non trapassa i pantaloni, dove la terra non è borotalco nero.
Ma forse quei posti da dove vengo, semplicemente, non sono più miei e ormai sono uomo da fango pesante, da terre solide. Insomma non sono più quello che ero.
Però vi assicuro che le terre nere, da dove vengo io, sono la cosa più bella del mondo se ci voli sopra. Un trattore ferisce il nero e non vedi uomo, i tuareg di questo deserto sono invisibili… o, forse, non ci sono più.

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