venerdì 13 marzo 2009

Sesa - Guidi, il Pd implode

Alessia Tomasini
L’operazione di chirurgia estetica tentata dal centrosinistra non ha prodotto i risultati sperati. Il rischio è che il Partito democratico resti isolato. Domenico Guidi, capogruppo in consiglio provinciale, non ha alcuna intenzione di rinunciare alla corsa per la presidenza. Ma? Il partito, o meglio il comitato dei saggi formato da Loreto Bevilacqua, Claudio Moscardelli e Domenico Di Resta, ha deciso per il sostegno di Sesa Amici. La compagine, che dovrebbe essere una coalizione compatta e determinata sul nome di un leader, non ha fatto altro che spacchettarsi. A repentaglio è lo stesso compromesso con gli altri partiti della sinistra “indipendente” come Rifondazione comunista, Socialisti, Verdi, Comunisti italiani e Sinistra democratica che in Guidi sembrerebbero aver trovato un capo capace anche di attrarre la convergenza dell’Italia dei valori. Si torna, con la candidatura debole, sul piano dei consensi e dell’appeal in provincia, di Sesa Amici, al punto di partenza. Il deputato, ex Democratici di sinistra, non è mai entrata a far parte del dna di questo territorio. Pochi la conoscono, nessuno ha avuto mai il piacere di scrivere il suo nome e cognome nè di sbarrarlo accanto ad un simbolo. Una decisione che dimostra come il centrosinistra pontino non abbia, sino ad oggi, mai combattuto che tante battaglie ma nessuna decisiva per uscire dal limbo del ruolo di opposizione a vita. Optare per una candidatura di bandiera significa deporre le armi prima ancora che le trombe abbiano iniziato a suonare la marcia. Contro il Popolo della libertà formato Armando Cusani, contro quella che è una macchina elettorale collaudata, era necessario calare un asso. Il candidato del Partito democratico doveva essere prima di tutto una persona carismatica, di cui i cittadini conoscono l’attività amministrativa, le capacità politiche, gli obiettivi e i programmi. Rintanarsi dietro ad un nome di apparato non fa che avvalorare l’ipotesi, che ormai serpeggia da più parti, che il Pd sia un gruppo formato da persone demotivate che danno quasi per scontata la debacle elettorale alle provinciali di giugno. Eppure proprio le elezioni provinciali dovevano essere il banco di prova, con le Europee, per dimostrare ai cittadini della provincia che il Partito democratico esiste, ha un’anima e non solo un corpo. Perdere con percentuali di consenso al minimo storico metterebbe a repentaglio, e in modo definitivo, anche l’aspirazione a riconfermare una guida rossa alla Regione Lazio. Eppure sembra che tutto questo, compresa una politica di lungo respiro e lungimirante in termini di poltrone, non interessi minimamente neanche chi come Domenico Di Resta e Claudio Moscardelli dovrebbero guardare prima che all’anno in corso a sopravvivere al 2010. La politica, a destra come a sinistra, ha compreso che il potere reale si organizza democraticamente intorno ad una leadership credibile, vera. Ha ricevuto il messaggio che il consenso si costruisce osando, come dimostra il caso dello stesso Armando Cusani, e di certo pestando qualche piede o incorrendo in qualche muso lungo. Il timore più grande è che quello che doveva essere un vento di rinnovamento sia una tromba d’aria. Tutte le aspirazioni che dovevano portare alla nascita di una grande coalizione capace di contrastare il potere del centrodestra pontino si è rivelato un semplice travaso di volti, nomi e candidati da un contenitore all’altro. L’unica differenza è che più una fattura è grande più stretto diventerà lo spazio per le ambizioni dei singoli leader. L’esorcismo che doveva essere rappresentato dall’eliminazione preventiva di una semplice fusione a freddo tra i quadri dirigenti di Democratici di sinistra e Margherita è fallito. Il partito democratico si sta avvicinando sempre più ad un nuovo capitolo post elettorale, quello dei politici sopravviventi.

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